10 | la poesia rifiutata

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Non poteva esserci un modo migliore per iniziare la seconda settimana del mio terzo anno di liceo con il solito brusio di sottofondo dei miei compagni

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Non poteva esserci un modo migliore per iniziare la seconda settimana del mio terzo anno di liceo con il solito brusio di sottofondo dei miei compagni.
A quanto pare era arrivato un nuovo studente nella sezione B e da come ne parlava la più - o almeno, così era stata etichettata sin dal primo anno - ficcanaso della mia classe, era davvero un bel bocconcino. Quest'informazione vagava da bocca a bocca di ogni studentessa da stamattina, ebbene poteva risultare un'affermazione disgustosa e credetemi, in quel momento mi sentivo su di giri e tra poco mi sarei messa a rigurgitare i miei biscotti mangiati a colazione sul quaderno di latino.
La professoressa si voltò, silenziando l'intera classe, come se avesse il potere di prendere il fiato di tutti e finirli fino all'ultimo.
Assottigliò le labbra, scocciata della sua inutile spiegazione sugli argomenti fatti l'anno scorso, nessuno stava prestando attenzione come lei non stava prestando attenzione alla sua camicietta bianca sbottonata.
Per gli unici maschi presenti nella classe, sarebbe stata un ben di Dio per quelle grosse palle di bowling che aveva al petto ma, era una cinquantenne piena di rughe con tre figli, e al solo pensiero veniva da vomitare a tutti.

Deglutii, cercando di concentrarmi a ciò che la professoressa aveva scritto alla lavagna e iniziai a riportare il tutto sul quaderno.
«Perfavore, non dimenticatevi di portare il vocabolario di latino domani», disse, intrecciando entrambe le mani. Era talmente disperata e assetata della nostra attenzione che tra poco si sarebbe messa in ginocchio, addirittura pregandoci di studiare la quarta declinazione.
Chiusi il quaderno, stiracchiandomi proprio nell'esatto momento in cui la campanella suonò, segnando l'inizio della pausa pranzo.
Mi alzai dalla mia sedia, osservando le mie compagne e i miei compagni uscire dalla classe e così feci anche io, dirigendomi verso la sala pranzo. Quel giorno la mia migliore amica della sezione B, Denise, aveva avuto la fantastica idea di passare una giornata con sua nonna perchè ovviamente, i tre mesi di vacanze non erano bastate, lasciandomi così da sola a pranzare.
Era l'unica migliore amica che avevo, tanto valeva tenermela stretta, era sincera, tranquilla e sempre disponibile, sapevo che su di lei avrei sempre contato.

Come al solito, la sala pranzo era sommersa da studenti e studentesse seduti ai tavoli a chiacchierare mangiando coi propri vassoi pieni di cibo.
Storsi il naso quando le mie narici inspirarono l'odore delle lasagne: non erano buone, niente nella mensa era buono, ma mi toccava mangiare o mi avrebbero ritrovato morta di fame in classe.
M'incamminai verso il bancone dove la cuoca ci dava il cibo, presi un vassoio e m'infilai nella fila, superando un bel po' di studenti che, troppo occupati a chiacchierare con altri, non s'erano neanche accorti. Presi una piccola porzione di lasagna e una mela da gustarmi subito dopo e non appena mi voltai verso i tavoli, sospirai: scegliere un posto dove mangiare tranquillamente senza attirare troppo l'attenzione era la cosa che odiavo fare di più al mondo in questi tre anni di liceo.
Se mi sarei seduta su un gruppo a caso mi avrebbero guardato male, se mi sarei seduta da sola, mi avrebbero guardato comunque tutti, dandomi della sfigata senza vita sociale.
Così doveva andare ovviamente, preferivo mille volte mangiare da sola con mille occhi addosso che seduta a terra accanto al bagno dei maschi.

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