I. Terza Verità

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Theo teneva le mani serrate sul volante e gli occhi inchiodati alla strada che si snodava al di là del parabrezza. Non aveva bisogno di voltarsi per sapere che Mason se ne stava rigido sul sedile del passeggero, teso, immobile e silenzioso come una preda in attesa. Non aveva neanche bisogno di chiedergli se ci fosse qualcosa che non andava: avrebbe fiutato il suo nervosismo da un chilometro di distanza. Cominciava a diventare contagioso.

Scott li aveva mandati in ricognizione, e adesso i due erano sulle tracce della prima metà dell'Anuk-Ite, la creatura che aveva rubato il corpo di Aaron. Non erano particolarmente entusiasti della decisione presa dall'Alpha, ma non avevano dato voce al loro disappunto: si erano messi in marcia senza fiatare, decisi a mettere fine alla follia collettiva che da settimane avvelenava la città.

Dal momento in cui avevano lasciato la clinica, però, chiusi nel loro silenzio e poi costretti nello spazio angusto di un'automobile, entrambi avevano avuto modo di riflettere sulla situazione, e Mason sembrava essere giunto a conclusioni piuttosto allarmanti, a giudicare dai segnali chimici irradiati dal suo corpo.

Theo roteò gli occhi. «Non ho alcuna intenzione di ucciderti, Mason», disse in tono secco. Era riuscito a bloccare la frustrazione prima che gli avvelenasse le corde vocali, ma la sua calma era solo una maschera.

Mason si lasciò sfuggire un sospiro e scosse la testa. «Sì, non sarebbe una mossa molto intelligente».

Theo non rispose subito. Se fosse stata un'altra persona avrebbe frenato di colpo e gli avrebbe urlato che anche lui aveva una coscienza, che non agiva solo per un tornaconto personale - non più, almeno - ma non lo disse. Lui non era un'altra persona, e non era nemmeno sicuro che quella fosse la verità.

«Se sei così preoccupato, perché hai accettato di farmi venire con te?»

«Non volevo creare problemi».

Theo gli lanciò un'occhiata. Mason non lo guardava, il capo rivolto verso il finestrino e lo sguardo perso nel paesaggio che scorreva rapido all'esterno. La chimera tornò a fissare la strada davanti a sé: in lontananza, il liceo di Beacon Hills si stagliava contro il cielo di quel pomeriggio domenicale, pallido e grigio di nubi che non promettevano pioggia.

«Be', non eri costretto a farlo», lo rimbeccò Theo a bassa voce. Sperò che l'altro non avesse notato il lieve tremito nelle sue parole.

Finalmente raggiunsero il parcheggio della scuola. Avevano deciso di cominciare lì le loro ricerche, nella speranza di rinvenire qualche indizio sull'attuale posizione di Aaron, nonostante lui avesse smesso già da giorni di frequentare le lezioni. Theo fermò l'auto e ne aprì lo sportello. Si diresse verso l'entrata della Beacon Hills High School e sentì l'altra portiera sbattere dietro di sé.

«Ascolta», gli disse Mason.

Theo alzò gli occhi al cielo, ma non si voltò, rimanendo in attesa. La voce di Mason era più decisa, adesso che si trovavano all'esterno e la distanza che li separava era aumentata, ma la chimera ancora percepiva in lui il sentore pungente della diffidenza.

«Se c'è una cosa che so, è che in questa guerra avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile».

Theo incrociò le braccia al petto e si girò nella sua direzione. «Sì, a questo credo ci siano arrivati tutti», disse. La sua mente tornò al momento in cui Peter Hale si era fatto vivo con un volante abbrustolito in una mano e il corpo ricoperto di cenere.

«Perfino il tuo».

Theo inarcò le sopracciglia e fece per andarsene, infastidito e vagamente offeso, ma Mason gesticolò chiedendogli di fermarsi. Abbassò le palpebre, quasi stesse cercando al loro interno le parole giuste da tirare fuori, e quando li riaprì disse: «Liam si fida abbastanza da lasciarmi venire con te, e noi non possiamo permetterci di fare storie su ogni decisione presa da Scott».

Theo lasciò che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi. Si sforzò di controllare ogni muscolo del viso nel tentativo di mantenere un'espressione neutrale, che non tradisse il calore innaturale che gli aveva irrorato lo stomaco. Era una sensazione estranea a cui non era sicuro di riuscire a dare un nome, e che non era certo di trovare gradevole.

Si schiarì la gola. «Ma?», chiese. L'altro ce l'aveva scritto in fronte, che c'era un "ma".

«Questo non significa che io non pensi di doverti tenere d'occhio».

Restarono a fissarsi per alcuni secondi, occhi negli occhi, i volti inespressivi, poi Theo annuì e si allontanò. «Sbrighiamoci a trovare Aaron prima che sia qualcos'altro a trovare noi».

La ricerca di Aaron li portò ai condotti sotterranei in cui solo qualche giorno prima Brett e Lori erano andati incontro alla morte. L'odore acre della sofferenza permeava le pareti delle gallerie, Theo se lo sentiva premere contro le narici come un gas oleoso e tossico che gli si appiccicava agli abiti per poi strisciargli lungo braccia e schiena. Poteva quasi sentirne la consistenza sotto le dita, spiacevole e umidiccia. Si strofinò le mani contro i jeans e scrollò le spalle nel tentativo di allentare la tensione.

Continuava a pensare alla conversazione avuta con Mason poco prima. "Liam si fida di te", gli aveva detto, e, nonostante avesse cose più importanti su cui concentrarsi, Theo non riusciva a smettere di ripetere quella frase nella sua testa; ogni volta le parole erano seguite da una scarica di emozioni che lo attraversava da capo a piedi, confondendolo e trasformando il suo corpo in un fascio di nodi - nella gola, nello stomaco, ovunque. Il suo cuore accelerava sempre, in quei momenti, e Theo era grato del fatto che Mason fosse umano e non possedesse le capacità sovrannaturali dei lupi mannari. Sarebbe stato imbarazzante dovergli dare spiegazioni.

Si era rassegnato da tempo al fatto che nessuno, a Beacon Hills, sarebbe mai riuscito ad accordargli la propria fiducia. Aveva avuto la sua occasione per avvicinarsi al branco di Scott, ma lo aveva fatto con l'ambizione a corrodergli il cuore e il bisogno spasmodico di dimostrare che lui non era un fallimento. Li aveva traditi, tutti quanti, e aveva pagato per questo. Avrebbe pagato in eterno per questo - che fosse all'inferno oppure no - e in fondo credeva che fosse giusto così. Non aveva il diritto di pretendere il perdono; era già tanto se non lo avevano rispedito sottoterra.

«Senti qualcosa?», gli chiese Mason, e la sua voce fu un colpo di pistola nel silenzio che li circondava.

Theo trasalì. Tese le orecchie e chiuse gli occhi per concentrarsi, ma nei cunicoli non c'era altro suono al di là del battito dei loro cuori e del soffio dei loro respiri via via più irregolari. L'aria attorno a loro pareva vibrare, animata da una strana elettricità. La chimera si ritrovò a rabbrividire, mentre i pensieri gli si confondevano, annebbiati da una sensazione di terrore inspiegabile.

«Paura», mormorò Mason. La voce gli tremava. «È come se qualcosa non ci volesse qui».

Theo gettò un'occhiata alle pareti umide dei condotti. «Siamo in due, allora».

«Vuol dire che siamo sulla strada giusta».

Mason afferrò la mazza con entrambe le mani e scrollò le spalle. Aveva la fronte madida di sudore, ma i suoi occhi brillavano di una luce febbrile che a Theo diede i brividi.

«Dobbiamo seguire la nostra paura».

Non mi dire, pensò Theo, ma si mise subito in marcia.

Le tre verità di Theo Raeken (Thiam)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora