La morte?

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Aprii gli occhi e vidi solo buio.
Ero morta?
In effetti pareva di si. Cercai di ricordare ...
Malcolm, il suo sguardo assente e poi lo sparo, la mia spalla trapassata.
Quindi ero morta; Malcolm si era salvato però.
Quanto poteva contare la mia morte se la persona che amavo era viva?
Sentii che mi stavo muovendo: ero sicuramente sdraiata.
Sopra di me c'era una zip? Ero in un sacco nero.
Non era così che immaginavo la morte.
Ma c'era una cosa che non aveva senso: se ero morta perché sentivo delle voci?
Provai a toccare la zip e un dolore fortissimo al braccio mi pervase come una scarica elettrica che si dirama in ogni dove.
Capii che non ero morta. Ma allora perché ero in un sacco?
Feci per aprirlo con l'altro braccio.

La luce al neon mi accecò ma poi misi a fuoco il volto della dottoressa.
- no ... Mey, da brava, resta giù ... - e richiuse.
Cosa stava succedendo?
- Dove stiamo ... andando?-
Nessuno rispose.
- Ho detto dove stiamo andando? - chiesi di nuovo.
La voce che rispose mi stupì a tal punto da farmi salire il vomito.
- Devi calmarla Rebecca -.
- Mamma?- chiesi.
Nessuna risposta
- Mamma! – urlai.
- Mey devi stare zitta ora. Ok?- Era la voce della dottoressa stavolta.
- Perché? - stavo morendo di paura.
- Dove state andando? - chiese una voce maschile. Dal tono doveva essere un uomo robusto.
- Il soggetto H112 è morto. Lo portiamo fuori. Il dottor Luster ha richiesto per lei una degna sepoltura - disse la dottoressa Rebecca.
- Fatemi vedere i vostri cartellini di riconoscimento - intimò l'uomo serio.
- Certamente - disse quella voce calma e pacata che era mia madre.
Poi sentii uno sparo e sentii l'uomo imprecare e dare l'allarme.
Gli avevano sparato.
- Corri - disse la dottoressa spingendo ancora più veloce la barella su cui viaggiava il mio sacco.
- Mamma dove stiamo andando? -
- Mey stai zitta per Dio! -
Sbottò e la sua pacatezza di un attimo prima, svanì.
- Siamo fuori! - grido la dottoressa, mentre altri spari si sentivano in lontananza.
Sentii che mi sollevavano e mi posavano su qualcosa di morbido. Come un sedile?
Poi aprirono il sacco e finalmente la vidi.
Capelli biondi lunghi, occhi azzurri e bocca sottile.
- Mamma? - ero incredula.
- Stai giù! – urlò.
- Dove siamo? – chiesi.
- Fuori – rispose.
Subito in me si manifestò un terrore inaudito.
- Malcolm è ancora dentro! -
- Non ha importanza ora! - sbottò mia madre.
No. No. No.
Non volevo andarmene senza Malcolm. Chi lo avrebbe tenuto in vita?
Non io ...
- No! Non senza Malcolm!!!- Urlai. Ma la dottoressa si chinò su di me e mi zittì.
- Lo verremo a prendere ... devi solo aspettare e stare zitta -.
Tacqui.
Mi collegai a Malcolm tramite il legame empatico.
Buio.
E poi di nuovo luce.
Ero in una stanza simile ad ogni stanza della base: grigia e senza finestre.
Mi guardai attorno e notai che le mie mani erano quelle di Malcolm.
- Mey esci dalla mia testa! – urlava.
Io mi alzai e andai a prendere un foglio e una penna. Scrissi poche parole.
- Ti vengo a prendere. Fosse l'ultima cosa che faccio.

Il viaggio parve infinito. Il tempo scorreva particolarmente lento quando eri bendata e chiusa nel cofano di un'auto.
L'unica fonte di sicurezza era la mano di mia madre. Posata sul mio collo, leggera e calda.
Nessuno parlava da molto e avevo rinunciato a divincolarmi per raggiungere Malcolm.
Se avevo paura?
Ero terrorizzata
Lo avrei rivisto?
Era vivo?
Diceva la verità la dottoressa quando prometteva che saremmo tornati per lui.
- Falla scendere -.

Era la dottoressa che parlava con mia madre.
- Rebecca toglile quella dannatissima benda -.
E a quel punto la luce mi accecò. Era mattina.
Avevamo viaggiato tutta la notte?
Provai a connettermi con Malcolm ma era troppo lontano.
Cosa avrei dato per fargli avere un messaggio.
Ma in effetti io non sapevo se sarei mai potuta tornare lì dentro.
O se ne fossi effettivamente uscita.
Una volta il dottore mi disse che non si esce veramente da una brutta esperienza.
Allora ero piccola e non sapevo la sua storia né tantomeno il trauma che aveva subito.
Lui non ne era uscito.
Ma io ho sviluppato una teoria.
Nessuno esce mai del tutto da un ospedale.
Essere rinchiuso ti segna.
Come una cicatrice che, per quanto la nascondi, resta sempre li stampata sulla tua pelle.
In quel momento decisi che non ce la stavo facendo. E che forse era meglio dormire.
Così crollai. Nonostante mia madre. Nonostante la luce. Nonostante le domande e le poche risposte.
Crollai non per stanchezza. O meglio anche.
Crollai sperando di non dovermi più svegliare.
Perché nei sogni ero libera e con Malcolm.
E in quel momento preferivo illudermi che tenere i miei occhi grigi aperti.
Da adesso in poi avrei lasciato che tutto mi accadesse senza muovere un dito.
Mi addormentai .

Soggetto H112 2 (Soggetto H112 saga)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora