CAPITOLO 4: La Sirenetta Della Laguna

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Salto sui massi con leggerezza, mi sembra di volare.

Il vento di libeccio mi scuote i capelli, forse mi sta aiutando ad essere più veloce.

E dire che questo percorso lo faccio sempre.
Come se raggiungere la laguna fosse essenziale per la mia vita: come aprire gli occhi al mattino, come chiuderli prima di addormentarsi.

Come respirare.. come vivere.

"Muoviti, Selvaggia... muovi le gambette secche che ti ritrovi!", mi ordino, col cuore che batte all'impazzata.

Sto percorrendo la scogliera, unisce la spiaggia al mare aperto; scorre in verticale, senza tregua, per un centinaio di metri, unendo la battigia del Bagno Sociale fino alla laguna.

I suoi gradini sono scogli appuntiti, legati tra loro come una collana di perle, come i pezzi di un puzzle che disegna tutta la mia esistenza.

La luna è l'unica amica che possiedo, l'unica luce che illumina il percorso, assieme a quella delle stelle e al faro in lontananza, all'altezza del porto di Viareggio; ma non ho bisogno di vedere, perché io sento.

Mi affido all'istinto piuttosto che alla vista. E ciò mi basta.

Conosco questo percorso di sassi come ogni singola parte di me, come la strada di...

"... casa... perché la Laguna è casa mia..."

Sono a metà della scogliera quando alzo la testa.

«CHI C'È?!» grido, strizzando le palpebre per abituare le pupille all'oscurità. «FERMATEVI! NON POTETE STARE QUI! AH STRONZI!»

Niente, nessuna risposta.

Sento soltanto il fischio della brezza del mare e il rumore delle onde che sbattono sulle rocce.

«OOOOOH! C'È NESSUNO?!?» urlo di nuovo che manco la gocciolina di sodio.
Quella particella sfigatissima che, comunque, ha una vita sociale più interessante della mia.

"Ancora... silenzio..."

Mi mordo il labbro, tentando di cogliere quei segnali che, all'improvviso, ho scorto nei riflessi sul medaglione dei miei genitori.

«Eccola lì...» mormoro, col profumo della salsedine che mi accarezza il viso.

Vedo la luce.
Proprio lì, nella laguna.

Vedo alcuni fasci luminosi che vibrano sopra la superficie del mare, come piccoli fiocchi di sole sul manto scuro dell'acqua; e nascono dalla grotta, sono dentro.

Così come sono nel mio radar che Raz Degan può accompagnare solo.

«ADESSO VENGO LI... E VI APRO COME L'ULTIMO NUMERO DI FOCUS!»
stringo la mano in un pugno, furiosa come una tempesta. «MÓ M'AVETE SCASSATO LE OVAIE, EH!»

Senza attendere oltre, torno a saltellare sui massi, mi sento un Super Mario a caccia di stelline e funghetti magici.

Corro, fino alla fine della scogliera, incazzata come un toro da monta diventato impotente.

«Wendy... sono la volpina cattiva!» esordisco con la frase geneticamente modificata di Jack Nicholson in Shining per incutere timore ai clandestini che hanno osato profanare il mio universo.

Il mare, che si allarga inesorabilmente di fronte a me, si confonde con il cielo stellato sopra la mia testa; ma non sto fissando l'orizzonte, come una bimbaminkia romantica dinnanzi ad un panorama da petting time. Sì, Libera conserva vecchie copie di 'Cioè' e ho avuto il fegato di leggere la posta delle adolescenti anni 90.

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