Roma era calda quella mattina, la primavera era alle porte ma gli occhi erano ancora pesanti, stanchi dalla sera prima. La sveglia suona e lei, impreca. Chiunque pensava che fosse ancora una bambina, per le movenze che assumeva, forse per la sua statura e per il viso dolce. Ma Anna era ormai una donna. Strinse le lenzuola rosse, scalciava dal nervoso. Una cosa che non sopportava era dormire poco, eppure ogni sera era la stessa storia.
Elisa la costringeva ad uscire, a fare tardi a bere, a fumare. A scappare da una realtà che infondo spaventava a fuggire dagli impegni, dalle responsabilità che fin da piccolo ti vengono addossate.
Ti crescono come macchine per uno scopo ben preciso.
L'università era una cosa seria, lo sapeva bene. Lo sapeva dei sacrifici dei genitori, lo sapeva quanto costava alla madre.
Abitare a Roma aveva un costo molto alto per una donna separata con un padre assente. Una zona carina, vicino all'università. Lontana dai pericoli.Elisa invece, bhe Elisa non lo sapeva. I genitori non avevano questi problemi, si conoscevano da piccole. Hanno sempre fatto tutto assieme, ogni decisione si prendeva assieme. Anche quella volta che gli era stato chiesto chi dei due genitori seguire, Elisa era lì al suo fianco a tenerle la mano, a dirle che qualsiasi scelta sarebbe stata giusta, anche se, l'avrebbe portata lontano da lei. Ovviamente non fu così, Anna aveva scelto di restare perché era fatta così. Era abitudinaria, aveva delle fissazioni ed era difficile per lei accettare i cambiamenti.
Si sentiva la testa pesante, le orecchie tappate e il sapore dell'alcol ancora in bocca. Ma era ora, era ora di affrontare la vita."Eli facciamo tardi muoviti" i capelli neri ancora sparsi sul cuscino, il braccio fuori dal letto e la bocca leggermente aperta.
Elisa era buffa, sicura di se, ma buffa.
Mugugna qualcosa, forse mi dice di lasciarla in pace. Non era un compito facile svegliarla, convincerla ad assumersi le proprie responsabilità, Elisa era incapace di prendere delle scelte.
Condividiamo una piccola stanza in una casa in centro con altre quattro persone. Lo so è ridicolo, ma era l'unica che potevamo permetterci, che io potevo permettermi, lei finge solo che le va bene, ma so che condividere il bagno con gli estranei non le piace, eppure era qui con me anche questa volta.
Qualche volta dividiamo il letto quando lei ha voglia di parlare, quando è triste, quando sente il bisogno di sentirsi forte.
Dividiamo tutto, anche i vestiti, lei è la sorella che non ho mai avuto."Va bene vado da sola" le bacio la guancia e lei sorride, quando lo fa le sue guance si gonfiano fino a coprirgli gli occhi scuri.
Il sole picchia forte, ma c'è comunque fresco dovuto ad una leggera brezza che mi scompiglia i capelli. Indosso una delle mie cuffiette preferite, è grigia semplice è fatta a mano. Quasi mai prendo i mezzi pubblici, i miei piedi mi portano ovunque se la musica mi fa compagnia.
In classe non c'è ancora nessuno, così mi perdo tra i miei pensieri, tra la musica, la fantasia. Ho sempre avuto questa cosa, la mia mente viaggia, viaggia, mi immagino diversa.
Alcune volte immagino come sarebbe andata se avessi fatto le cose in modo diverso. Se avessi fatto scelte diverse, se avessi incastrato la mia vita con qualcun'altro, se avessi dubitato meno di me stessa.
Passo dal immaginarmi una donna importante di sucesso, ad un adolescente in piena crisi esistenziale. È patetico, ma non riesco a non farlo. Ho sprecato così tanto tempo a dire di no, a ripetermi che certe cose non le potevo fare che non potevo spingermi oltre, che non ci sarei riuscita, così ora mi immagino come sarei se invece le avessi fatte.La porta bianca si apre, arriva prima il professore e poi i miei colleghi. Io non sono brava a parlare, non sono brava a mischiarmi tra la gente. Ho sempre paura di sbagliare, di risultare stupida, insignificante. Ho paura di non essere capita così sto sempre da parte. Aspettando che qualcuno invece faccia un passo verso di me, così da non sbagliare mai ma gli errori vengono comunque senza preavviso.
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Qualcosa In Cui Credere
FanfictionLe parole scivolano come armi taglienti, troppo anche per chi al dolore è abituato. Arrivano fino in fondo, nell'abisso della tua anima, quella parte di te che non mostri a nessuno per vergogna. Neanche a te stesso.