Chapter 7-Bad liar.

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Il sole ormai non più raggiante delle sei, entrava dalla finestra del locale come se volesse dirmi di uscire da qui ed affrontare il ragazzo argentino.

Strofinai violentemente lo strofinaccio sulla macchinetta del caffè; ormai splendeva ma la paura di mettere un piedi fuori dal mio posto di lavoro e trovare Paulo in macchina pronto a parlarmi, mi diceva di continuare a pulire.

Non ero mai stata una ragazza solita a prendere sotto mano le situazioni scomode, anzi amavo gestirle di tutto pugno, ma con lui era diverso.

Ero quasi intimidita da ciò che avrebbe potuto dirmi; forse voleva scusarsi e dirmi che quello che c'era stato tra noi era stato solo un momento di debolezza, un errore.

Sentire queste parole mi avrebbe fatto troppo male, non ero pronta per nulla del genere.

Sorrido malinconia, i ragazzi prima non mi interessavano, non avevo paura di un loro rifiuto perché non accettavo mai i loro inviti; ora mai si erano rassegnati e non mi chiedevano più neanche di studiare insieme.

Evitavo il genere maschile come nel medioevo i ragazzi della novella di Boccaccio evitarono la peste scappando da Firenze e rifugiandosi in campagna.

Grace mi si avvicinò cauta, vedendomi sotto pensiero; sentì la pressione della sua mano sulla mia schiena così mi girai con sguardo perso nel vuoto.

Misi a fuoco i suoi occhi poco dopo e mi ricomposi; mi guardava in modo strano, come se da un lato si prendesse gioco di me ma dall'altro fosse stupita e scioccata allo stesso tempo.

-Cosa fai ancora un qui?
Posso benissimo finire di pulire io, il tuo turno è finito da venti minuti-, disse indicando il grande orologio presente sul muro e sorridendomi.

Era così cordiale e gentile nonostante ci conoscessimo da pochissimo tempo; non riuscivo a capire come facesse a dare tanta confidenza a gente sconosciuta, quando io riuscivo a fidarmi a malapena di alcune persone conosciute fin dalla nascita.

-Oh sta tranquilla, non ho niente da fare e pensavo di darti una mano-, dissi indossando dei guanti gialli trovati sul bancone e mettendomi all'opera, lavando svariate tazzine bianche.

La ragazza mi affianca nuovamente, ridacchiando in un sospiro.

-Sarò anche una semplice barista, ma il mio cervello è ancora intatto e tu non sai mentire-, mi sfila i guanti di mano e li indossa al mio posto.

Si abbassa e solleva da terra una bottiglia di detersivo verde che infine fa ricadere su una spugna che sembra essere nuova.

Guardo nuovamente l'orologio, sono le sei e trenta, ormai Paulo si sarà rassegnato; sarà andato via senza aspettarmi e dopo tutto non lo biasimo.

Dovevamo vederci mezz'ora fa ed io ho deciso di rimanere qui dentro per più tempo, appunto per evitarlo.

-Forse hai ragione, vado un attimo un bagno-, sussurro sorridendo per poi salutarla con un gesto della mano.

Raggiungo la toilette riservata allo staff e mi ci butto dentro; tutto questo era surreale.

Non mi erano mai piaciuti i calciatori; quando ero in Argentina tutti i ragazzi della mia scuola amavano il calcio, provavano a stupirmi con i loro trucchetti con il pallone ma io non li degnavo di uno sguardo; quello sport mi sembrava stupido ed insensato, cosa c'era di bello nell'inseguire un oggetto bianco e nero dalla forma sferica su un campetto verde?

Da quando ero qui invece, tutti i miei ideali se n'erano andati; mi ero fatta consolare da un calciatore, ero stata a dormire a casa sua e mi ero sentita bene tra le sue braccia mentre le sue labbra sfioravano le mie in modo delicato.

Ciento ochenta y cuatro días para amarla. |Paulo Dybala|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora