Prologo

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Si erano fermati tutti davanti a quel muro di fuoco.
I soccorsi erano rimasti a guardarlo per alcuni secondi senza sapere da dove cominciare.
Chat Noir stesso era rimasto interdetto, troppo sconvolto per ragionare con lucidità.
E lei era là dentro.
No, non era possibile.
Lei…
«LADYBUG!» aveva strillato riscuotendosi.
Si era infilato tra le fiamme di tutto un quartiere di Parigi a cercarla.
«LADYBUG!» aveva continuato a chiamarla, senza ottenere risposta, tossendo per il fumo.
Non sapeva da dove cominciare, l’incendio era troppo esteso e gli dava l’idea folle che il mondo intero stesse bruciando con esso.
Come era successo?
Non lo sapeva. Papillon aveva liberato delle akume, ma stavano vincendo.
Ladybug aveva sorriso e se avesse saputo quello che sarebbe successo poco dopo, Chat Noir avrebbe messo in pausa il mondo lì. Quando lei aveva guardato il nemico e aveva sorriso, bella, furba, vincente. L’eroina che Parigi meritava. L’eroina che lui meritava.
Chat Noir aveva pensato con distacco a tutto quello che avevano passato insieme, aveva guardato la sua insicurezza, si era detto che dopo tutto era scritto nel destino: i loro Miraculous erano fatti per stare insieme, erano complementari. Loro dovevano stare insieme, che forse era la parte più bella dell’essere Chat Noir.
Loro dovevano stare insieme.
Chat Noir aveva deglutito e tra i suoi pensieri si era fatta largo l’idea che non ce l’avrebbe fatta, era troppo tardi, c’erano cose contro le quali nemmeno Ladybug poteva vincere.
E aveva visto una mano.
No, non una mano. Una macchia, un pois, una tutina troppo attillata.
E non aveva pensato a nient’altro.
Aveva distrutto le macerie che la ricoprivano.
Ladybug puzzava in modo raccapricciante e terrificante, ma era lì e respirava. Lo aveva guardato ansante, gli occhi sgranati dietro quella mascherina e lui non aveva saputo dire nulla, l’aveva tirata su, ignorando lo strillo che aveva liberato.
Era bruciata, stava bruciando.
Aveva spento le fiamme che le avvolgevano il braccio sinistro.
Aveva camminato per lei, si era bruciato per lei, aveva sentito la tutina che lo ricopriva ammorbidirsi contro il suo corpicino bollente e aveva pensato che fosse così piccola, fragile.
Poi c’era stato il bip, mentre Ladybug trascinava i piedi accanto a lui: aveva finito l’energia, stava per trasformarsi.
«Chat» aveva mormorato debolmente.
Chat Noir aveva pensato alle milioni di volte in cui era rimasto dietro una porta chiusa a parlarle mentre aspettava che si riprendesse abbastanza per trasformarsi di nuovo.
«Lo so» aveva detto. «Marinette, lo so.»
Lei era scoppiata a piangere.
Ladybug era scivolata via in un’ombra luminosa lasciando al suo posto una ragazzina ferita e in lacrime, deturpata dalle ustioni.
Chat Noir non l’aveva guardata, immerso in una sorta di rispettoso riservo.
Nella sua mente aveva continuato a pensare che non sarebbe dovuta andare in quel modo.
Quel momento avrebbe dovuto essere diverso.
Avrebbe dovuto essere romantico.
Dolce.
Avrebbe dovuto essere una conferma.
Avrebbe dovuto dirle che l’amava, avrebbe dovuto guardarla sorridere.
Invece la guardò mentre la caricavano sull’ambulanza.

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Prima o poi doveva succedere.
Era inevitabile.

Margherita

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