Licantropi

3.6K 208 13
                                    

«Trent è un licantropo, Aria, ed è l'Alpha del nostro branco».
Sbattei ripetutamente le palpebre, fissando Amelia che, a un passo da me, ricambiava il mio sguardo con fermezza.
Licantropo...
Alpha...
Cominciai a giocare con l'anello che portavo da quando ero alle superiori, una semplice fedina argentata, in segno di nervosismo.
Non sapevo se sarebbe stato meglio ridere o piangere e cercavo un indizio sul volto della ragazza che aveva pronunciato quelle parole, rimanendo però delusa. Era estremamente seria ma nei suoi occhi non scorsi nemmeno un briciolo di pazzia e questo a dir poco mi confondeva.
Insomma, mi ero aspettata una spiegazione assurda e pensavo di essere pronta a qualsiasi verità ma... licantropi? Andiamo.
Io ero la prova vivente che al mondo esistevano creature diverse, con capacità fuori dalla norma, ma non riuscivo a capire come fosse possibile che un corpo si trasformasse completamente nel giro di pochi attimi.
Due nature e una sola anima.
Sbattei di nuovo le palpebre forse nel tentativo di svegliarmi da quel brutto sogno.
«È l'alpha» la mia non era una domanda. Sapevo che tra i lupi esistevano delle gerarchie e che l'alpha era il capo indiscusso del branco. Inoltre non mi stupiva più di tanto che proprio Trent ricoprisse quel ruolo, ma ancora non riuscivo a realizzare quella verità.
Non volevo essere come le protagoniste dei libri che spesso leggevo, tanto ingenue da non credere a qualcosa che non rientrasse perfettamente nella loro visione del mondo.
Io non potevo essere così cieca neanche volendo.
Avevo visto con i miei occhi il cambiamento che la rabbia di Trent poteva scatenare.
Ma le parole di Amelia non erano ancora riuscite a scalfire la superficie, non erano entrate in me per distruggere alcune delle mie più vecchie convinzioni.
Dovevo vedere.
«Si, il tuo compagno è il capobranco» mi rispose subito Amelia, scrutandomi con attenzione.
Sembrava convinta che da un momento all'altro avrei potuto svenire o mettermi le mani tra i capelli e cominciare a urlare come una pazza.
Per un momento mi chiesi se non sarebbe stato più saggio per me fingere una delle due reazioni, ma poi scacciai quei pensieri.
Non era il caso di farsi vedere deboli.
«Mostramelo» dissi soltanto.
Lei parve indecisa «Aria...».
«No» la interruppi alzando una mano «come pretendi che possa credere anche solo a una parola di quello che dici se non hai intenzione di provarmi che non sei una pazza o che non sono finita in una di quelle sette che venerano divinità fasulle?».
Lei parve pensarci su ancora un po' ma alla fine annuì, sconfitta «volevo rimandare a più tardi tutto questo, pensavo che non fossi pronta, ma voglio fidarmi di te e provarti che sto dicendo la verità» detto questo, si voltò e, senza controllare se la stessi seguendo, aprì l'unica porta che non avevo cercato di forzare quella mattina.
Era di legno scuro, con una forma che ricordava quella delle finestre, ed era nettamente più grande delle altre. Era posta ai piedi dei pochi scalini che portavano al letto e dal passaggio ormai aperto s'intravedeva un largo open space che racchiudeva un lussuoso salotto e una cucina con tutti gli optional.
Insomma, un sogno.
Ad ogni modo in quel momento di tensione riuscii ad ammirare il gusto di Trent per l'arredamento, solo in parte.
Sentivo il cuore battere all'impazzata e le mani sudare.
La mia testa e il mio corpo erano in subbuglio, prede di di una confusione che avevo conosciuto solo a undici anni, quando per la prima volta mi ero resa conto di essere diversa dagli altri.
Non capivo cosa stava succedendo e avevo paura perché ero sola.
Ora ero più forte, forse più preparata ad affrontare qualcosa di simile, ma non potevo mentire a me stessa: ero comunque terrorizzata.
Amelia mi guidò per diversi corridoi, oltrepassando porte dalle forme più disparate e attraversando scalinate in pietra.
Si, decisamente ci trovavamo in un castello.
«Cosa sai di me?» le chiesi ad un tratto, incapace di sostenere ancora a lungo quel silenzio assordante.
«Non molto a dire il vero» rallentò il passo per permettermi di affiancarla; forse aveva capito che avevo bisogno di distrarmi «Alpha Trent al momento starà sicuramente facendo delle ricerche» mi rivelò.
«Si ma tu cosa sai?» insistei.
«So che ti chiami Aria Mazzocchi, che vivi a Milano, che frequenti l'università, che hai ventun'anni e che eri in vacanza con i tuoi amici quando Alpha Trent ti ha percepita» in effetti non era molto. Erano tutte informazioni basilari.
«Cosa vuol dire che mi ha percepita?» chiesi curiosa.
Ero spaventata, si, ma questo mondo cominciava ad affascinarmi. E poi, pensai, che male c'è ad informarsi un po' prima di scappare?
Amelia mi lanciò uno strano sguardo prima di rispondere «Ecco... i licantropi hanno un olfatto molto sviluppato. Anche gli altri sensi sono più forti di quelli di un comune umano, ma l' olfatto forse li batte tutti. Ad ogni modo» mi guidò verso l'ennesimo corridoio «sembra che per loro la compagna che la dea Luna ha scelto abbia un profumo particolare. Forte, certo, ma quasi afrodisiaco. Un licantropo adulto può sentirlo anche a km di distanza e Alpha Trent è in assoluto il più forte, quindi credo che potrebbe davvero averti sentita anche da qui» concluse pensierosa.
«Perché? Esattamente dov'è qui?» avevo quasi paura a fare quella domanda.
Lei mi sorrise enigmatica «per ora sappi solo che questo è il territorio dell'Alpha» sbuffai.
Certo, ora avevo capito tutto.
Dopo un momento di silenzio le feci la domanda che più mi spaventava «hai detto che mi ha "percepita"» sottolineai l'ultima parola facendo le virgolette in aria «e che poi è venuto a prendermi...» Amelia annuì in risposta, aspettando che continuassi «questo vuol dire che... che quel lupo enorme, nero e con gli occhi gialli era... Trent?» mi toccai nervosamente la treccia, preparandomi per sentire la risposta.
«Esatto» Amelia mi guardò con preoccupazione.
«Ah» dissi soltanto.
« So che all'inizio fanno paura. Sono grossi e possono essere molto aggressivi» riflettè.
«Così però non mi aiuti» borbottai infastidita.
Lei continuò come se non avessi aperto bocca «ma tu non sei una qualunque, tra poco farai parte del branco e se qualcuno si azzarardasse anche solo a spaventarti credo che Alpha Trent potrebbe compiere un massacro» ridacchiò.
Dannazione, questa ragazza non mi aiutava affatto.
«E chi mi protegge da lui?» chiesi.
Amelia si girò di scatto verso di me e mi guardò come se mi fosse appena cresciuta una seconda testa «Aria lui non ti farà del male. Non può. È il tuo compagno e credimi, la tua sicurezza ora è la sua priorità. Farti del male andrebbe contro a qualsiasi suo istinto!» gesticolò vivacemente cercando di farmi capire il concetto.
Io alzai gli occhi al cielo «tu stessa hai detto che potrebbe diventare molto aggressivo e poi non sarei la prima ad essere vittima di violenza da parte di un uomo che dice di volermi proteggere» le ricordai.
Ma non li leggeva i giornali?
E qui non si parlava nemmeno di un uomo normale, ma di un licantropo che poteva farmi a fette anche solo con un movimento della mano.
In più era il capo, nessuno sarebbe andato contro al suo volere per me.
Era già evidente.
«No Aria» si fermò per fronteggiarmi «qui non stiamo parlando di esseri umani. E il legame tra compagni non è paragonabile ad una relazione normale. Si tratta di un rapporto dettato dal destino, nato per volere della dea Luna in persona. E anche se un licantropo può diventare aggressivo, non si spingerebbe mai a fare del male alla propria compagna. Mai.» io annuii, sorpresa dalla convinzione che trapelava dalle sue parole.
«Quindi non ci sono mai stati casi di violenza domestica?» lei fece no con la testa, alleviando leggermente la pressione che sentivo sulle spalle.
Ricominciammo a camminare e dopo pochi minuti ci ritrovammo in uno splendido giardino.
C'erano fiori di campo che crescevano al limite della piccola radura, e frutti che pendevano maturi dagli alberi.
Mi chiesi come fosse possibile tutto questo. In fondo eravamo a fine ottobre e anche se avevo intuito anche solo affacciandomi alla finestra che era una bellissima giornata di sole, non era possibile che ci fossero fiori ovunque e che la temperatura fosse così alta.
Sembrava primavera inoltrata.
Quasi mi vergognai all'idea che in più di vent'anni di vita, non avevo capito niente del mondo in cui vivevo.
«Notevole vero?» Amelia mi guardava con fierezza.
Io annuii soltanto, cercando di chiudere la bocca che si era istintivamente aperta per la meraviglia.
Non avevo idea di dove mi stesse portando la mia amica (sarà stato il caso di cominciare a chiamarla così?) ma dovevo ammettere che non me ne sarebbe potuto importare di meno. In quel momento mi bastava continuare ad attraversare tunnel naturali, formati da alberi che si piegavano verso i loro vicini, unendo le chiome, o da rami secchi che, posizionati in modo da formare archi simmetrici, erano stati poi ricoperti dal glicine.
Credevo di non aver mai visto posto più bello.
Ero così distratta da tutto quello che mi circondava che non mi ero accorta di essere arrivata a destinazione fino a quando Amelia non mi toccò un braccio «siamo arrivate» disse, indicandomi con un movimento della mano un enorme albero al centro di una piccola radura.
Intorno al suo tronco era stata costruita una scala a chiocciola e sui suoi rami si intravedevano ponticelli e casette di legno.
Ai suoi piedi stavano giocando diversi bambini che non avranno avuto più di dieci anni.
Li osservai divertita mentre si rincorrevano ridendo, ma per poco non caddi dalla sorpresa quando uno di loro, un ragazzino con i capelli color grano e un paio di orecchie a sventola, non saltò verso un suo amico e, ancora in aria, si trasformò improvvisamente in un piccolo lupo marroncino.
A quel punto anche altri due bambini, un maschio e una femmina, lo seguirono cominciando a giocare con lui. Gli altri, invece, indifferenti alla scena che gli si era parata davanti, continuarono a divertirsi come se nulla fosse.
«Le bambine cominciano a trasformarsi con lo sviluppo, di solito intorno agli undici, dodici anni, mentre i maschi solo qualche anno dopo; anche se ovviamente c'è sempre qualche eccezione» disse, continuando a guardare i bambini con un sorriso ebete sul volto.
«Sai» continuò sovrappensiero «io non sono nata lupa, quindi non so se per mio figlio varrà lo stesso meccanismo, ma spero davvero che si trasformi presto» si accarezzò dolcemente la pancia facendomi sgranare gli occhi «dicono che poi sia più semplice gestire il corpo da lupo».
«Sei incinta!» quasi urlai facendola sobbalzare «e non me lo hai detto».
«Si... ecco...».
«Accidenti Mel! Avrei potuto aggrediti prima in camera! Perché hanno mandato te?» domandai arrabbiata.
«Ecco Alpha Trent...»
«Quell'incoscente!» la interruppi sempre più alterata «avevo in mano una statuetta d'oro per l'amor del cielo» quando l'avessi rivisto, mi avrebbe sentita!
La mia sfuriata fu interrotta dalla risata di Amelia che evidentemente trovava la mia preoccupazione ridicola.
Ma erano tutti pazzi in quel posto?
Io la guardai male, ma lei non sembrò accorgersene quando si piegò in due dalle risate e si passò una mano sugli occhi per asciugarsi le lacrime.
«Che hai da ridere si può sapere?»
«Oh niente è solo che» cercò di ridarsi un contegno aggiustandosi i capelli dietro alle orecchie «sembri davvero una vecchia moglie che se la prende col marito compinaguai» sbuffai «e pensare che neanche un'ora fa mi hai chiesto di farti scappare come se stessi per morire».
«Guarda che non mi sono comportata affatto così» cercai di giustificarmi ormai rossa in viso «è solo che... che...» non sapevo nemmeno io come finire la frase.
Amelia ed io ci guardammo negli occhi, serie per un secondo, per poi scoppiare a ridere senza ritegno.
Che tipa...

Passammo il resto della mattinata sedute all'ombra di un albero secolare, rubando di tanto in tanto una mela matura, e chiacchierando come due vecchie amiche.
Dopo un paio d'ore sapevo già che avevamo parecchie cose in comune: il compagno di Amelia l'aveva percepita durante la perlustrazione del territorio e l'aveva subito portata con se, contro la volontà della ragazza.
Lei aveva cercato di ribellarsi e di scappare più volte fino a quando non aveva capito di essersi innamorata di lui, Valerio, e si era arresa cercando di costruire la sua nuova vita in questo posto.
L'ultima parte della storia mi faceva storcere il naso perché il mio obbiettivo rimaneva quello di scappare, ma Amelia era palesemente la persona più felice sulla faccia della terra e un po' la invidiai.
Io non avrei mai conosciuto un amore come quello. Non potevo essere sincera al cento per cento con nessuno, quindi tanto valeva evitare ogni illusione.
«E non sei rimasta in contatto con la tua famiglia? Gli amici?» le chiesi alla fine del suo racconto.
Lei annuì «scrivo abitualmente a mia sorella e di tanto in tanto la vado a trovare, ma uscire dal territorio del branco è pericoloso per una compagna, soprattutto se non accompagnata, quindi non è sempre facile» le strinsi la mano.
Immaginavo quanto potesse essere dura allontanarsi dalle persone che si amano, anche se è per amore «e lei? Viene mai qui?» domandai, intuendo già la risposta.
«No, solo i componenti del branco possono stare qui, o gli ospiti che Alpha Trent decide di accogliere. Ma non si tratta mai di esseri umani» mi spiegò.
Io annuii, triste per la mia nuova amica.
Fu il suono di qualcosa che cadde a terra e un pianto disperato a riportarci alla realtà.
Scattammo in piedi e corremmo verso la direzione delle urla, trovandoci presto davanti al bambino biondo di prima, che, seduto per terra, si stringeva la caviglia destra, piangendo. Gli altri bambini lo circondavano spaventati mentre Amelia li raggiungeva.
Io, invece, improvvisamente rinsavita, mi fermai a un paio di metri di distanza.
Ma era già troppo tardi.
Strinsi gli occhi in un'espressione sofferente e provai a concentrarmi sul respiro per allontanare tutto il resto.
Purtroppo per me, ero troppo vicina per quello.
Potevo percepire parzialmente il suo dolore, l'angoscia, la rabbia e la paura.
Feci un passo indietro, con il fiatone, mentre Amelia rassicurava i bambini.
Senza resistere un secondo di più, mi girai di scatto e cominciai a correre nella direzione opposta.
Non mi preoccupai di guardarmi intorno. Vedevo solo macchie indistinte di verde scorrermi accanto, mentre la paura mi chiudeva in una morsa la gola.
Stupida.
Stupida.
Come avevo potuto perdere il controllo in quel modo? Correre da lui? Ero impazzita?
Ma era stato istintivo e sapevo che se non mi fossi allontanata subito avrei finito per farmi scoprire nel peggiore dei modi.
Così, accellerai il passo, ignorando i muscoli doloranti e i polmoni che sembravano voler scoppiare per lo sforzo.
Ora più che mai, dovevo scappare.

Cappuccetto rosso e il lupo [#wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora