Stava per morire

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Stavo scavando un buco sul pavimento, ne ero sicura. Giravo come un'ossessa per il salotto di Trent da almeno quattro ore.
Nessuno l'aveva più visto da quando era corso via al laghetto e io cominciavo a preoccuparmi sul serio.
Era un Alpha grande e grosso e se la sapeva cavare. Me ne rendevo conto, ma sentivo che c'era qualcosa di strano, di sbagliato.
Avevo lo stomaco attorcigliato e non riuscivo a stare ferma.
Avevo bisogno di qualcosa, ma non sapevo cosa.
Forse era colpa del legame.
Forse Trent si era allontanato troppo e ora mi sentivo male, come se il filo che ci univa da quando il legame si era consolidato, si fosse teso e si stesse per strappare.
O almeno, Amelia aveva detto qualcosa del genere.
Le lanciai un'occhiata di sottecchi, per assicurarmi che fosse ancora sul divano e incontrai subito il suo sguardo stanco.
Le stavo rendendo la vita impossibile. Gli e lo si leggeva in faccia.
Dovevo sembrare una pazza, ma io sentivo che qualcosa non andava.
«Devi calmarti» mi disse la mia amica per l'ennesima volta «Alpha Trent tornerà quando si sentirà pronto, Ari».
Esatto.
Si.
Cercai di convincente, ma anche in questo modo sentivo il bisogno di rannicchiarmi in un angolo buio a mangiarmi le unghie.
Lui forse sarebbe stato pronto per vedermi, ad un certo punto, ma io? Quando lo sarei stata?
Non potevo fargli vedere chi ero, ma allo stesso tempo scappare era fuori questione, ormai.
Non solo avrebbe fatto fisicamente male stare lontana dal mio compagno, ma mi avrebbe comunque trovata in uno schiocco di dita.
E non me la sentivo di affrontare la sua rabbia, dopo quello che lui avrebbe percepito come un torto.
In più correvo il pericolo di imbattermi di nuovo in Massimo, o peggio, in Cale, e sentii un brivido freddo scendermi lungo la nuca al solo pensiero.
E allora che diavolo faccio?
Ero anche sicura che Trent sarebbe tornato a dir poco di malumore, dalla sua corsetta.
Mi presi la testa tra le mani.
Non c'era un lieto fine per me, all'orizzonte.
Dovevo scegliere per esclusione.
Quale sarebbe stata l'opzione meno dolorosa?
«Ari» Amelia era davanti a me «che cosa c'è sul serio?» mi chiese «è per quello che gli hai fatto vedere?».
Mi si formò un groppo in gola ripensando alla sua espressione ferita. Non ero mai stata così crudele in tutta la mia vita, e la consapevolezza di aver provocato quella sofferenza proprio a Trent, era quasi insopportabile.
Cercavo continuamente di ripetermi tutti i torti che avevo subito, ma era inutile.
Non riuscivo a provare rabbia.
Solo senso di colpa.
«Si» sussurrai con gli occhi lucidi «gli ho fatto vedere delle cose su me e il mio ex ragazzo e... non volevo, ma lui non voleva neanche provare a non guardare dentro di me e, e... io non posso gestire questa situazione Mel!» ormai sentivo le lacrime scendere senza controllo «io non sono adatta ad essere la vostra Luna».
Amelia mi guardò triste prima di abbracciarmi e cominciare ad accarezzarmi dolcemente i capelli.
«Perché lo hai fatto, Ari?» sussurrò.
Io scossi la testa, per farle capire che non volevo parlarne e, con mio grande sollievo, lei non insistette.
Quando mi fui calmata mi staccai leggermente dalla mia amica e le presi le mani nelle mie «Mel tu devi aiutarmi».
Lei sospirò «l'ultima volta che hai detto una cosa del genere...».
«Non voglio scappare!» la interruppi «so che a questo punto non avrebbe senso...».
«No, infatti».
«Devi insegnarmi a schermare i pensieri, Mel» la guardai negli occhi con determinazione «so che si può fare. Io non riesco a sentire quelli di Trent e non credo che una coppia riuscirebbe a resistere a lungo se tutte le carte fossero sul tavolo... voglio dire, ogni singolo pensiero?».
Amelia, con mio grande disappunto, riprese a scuotere la testa e si allontanò dalla mia presa «non posso...».
«Non accetterò un no. Sei fedele all'Alpha giusto? E hai visto cosa è successo oggi?... voglio solo evitare altre scene del genere» le dissi, leggermente irritata.
Perché dovevo usare la carta dell'Alpha per convincere un'amica a darmi una mano?
«Non è che non voglio farlo. Non posso. Ci vuole del tempo per imparare. Io ci ho messo mesi e Trent è molto più vecchio del mio Val».
Mi accigliai «che vuoi dire? A me sembra che abbiano più o meno la stessa età...».
«No Ari, Trent è un lupo... antico. Ma penso che debba dirti lui il resto. Sta di fatto che è molto forte e per lui resterà semplice riuscire a leggerti».
Mi allontanai per poi buttarmi sul divano di pelle.
Allora avrei dovuto dirglielo.
Non avevo scelta.
Forse però, sarebbe stato meglio aspettare che si fosse calmato un po'. Nel frattempo mi sarei impegnata a chiudere a chiave quella parte della mia vita, in un angolino nascosto del cervello.
Bastava solo un po' di calma e concentrazione. O almeno speravo.
«Ok, è inutile stare qui a dannarsi ancora» dissi ad un tratto, ritrovando la determinazione «credo che mi dedicherò a qualcosa di produttivo, ora».
Amelia mi rivolse uno sguardo sollevato e io cercai di mostrarle il mio miglior sorriso.
Purtroppo per entrambe, non ero ancora arrivata ad un livello di spensieratezza tale da riuscire ad assumere per davvero, un'espressione felice. Ma ehi, io ci avevo provato.
«Brava Ari! Così ti voglio» la mia amica annuii con forza, facendo finta di non aver notato le mie espressioni tutto fuorché naturali e sincere «e cosa avevi in mente?».
Io alzai le spalle «farò dei dolci» dissi con ovvietà.

***

«Così è questo che fai per "rilassarti"?» Mel fece le virgolette con le dita, prima di tornare a mescolare l'impasto della torta al cioccolato.
Fino ad ora avevamo fatto due teglie di muffin con le cocce di ciocciolato, una torta con panna e fragole e una montagna di biscotti con gli smarties.
Mi passai una mano infarinata sulla fronte, per scacciare i ciuffi ribelli scappati alla treccia che poco prima di iniziare quella sessione pazza di cucina, mi aveva fatto Amelia.
Piccolo appunto: non è molto brava ad accorciare i capelli.
«Già» le risposi pensierosa «un tempo disegnavo, nei momenti stressanti, ma poi ho scoperto che anche la preparazione dei dolci riesce a farti azzerare i pensieri».
«E non disegni più, ora?» chiese curiosa la mia assistente cuoca.
«Si... ma molto meno. Di solito, solo quando la situazione è davvero ingestibile. Quando sono furiosa o quando sono triste al punto da non riuscire più ad alzarmi dal letto».
O quando avevo uno dei miei incubi, ma quello lo tenni per me.
«Un giorno però vorrei vedere una delle tue opere» mi disse, speranziosa.
Io annuii un po' a disagio.
Di solito non erano disegni colorati e allegri; usavo i miei schizzi per tirare fuori quello che mi tormentava e, magari, per far rimanere i miei incubi solo su quel pezzo di carta.
I momenti felici li vivevo e basta.
«Ma non sono un granché» la avvertii «non ho mai seguito delle lezioni».
«Oh se vuoi puoi prenderne un paio da miss Eloïse!» esclamò felice «io ci ho provato un paio di volte a partecipare al suo corso, ma era davvero troppo severa. Io lo facevo tanto per, sai, volevo divertirmi, e invece lei mi guardava come se fossi stata un insetto orribile tutte le volte che le portavo un mio acquerello» scoppiai a ridere per la sua espressione accigliata.
Era davvero buffa quando si arrabbiava!
«Sai Mel» le dissi, quando riuscii a riprendere fiato «non sei molto brava a presentare le persone. Insomma» gesticolai per sottolineare il concetto «l'ultima volta mi hai descritto Trent come un lupo aggressivo e terribile e adesso questa miss qualcosa come una megera...» scossi la testa, sempre più divertita.
Lei sgranò gli occhi «e quando avrei detto che Alpha Trent è terribile?» si mise le mani sui fianchi in una posa da chiariamo-subito-un-paio-di-cosine «quella volta ho solo cercato di rassicurti perché eri spaventata...».
«Ma se mi hai detto qualcosa tipo: "Si, i licantropi sono molto aggressivi e fanno paura"».
«Ma perché è vero! Però ti ho anche detto che fanno paura all'inizio. Poi si inizia a conoscerli e cambia tutto!» esclamò.
Io ricominciai a ridere.
«Certo, certo... ma cosa direbbe il tuo Alpha se sapesse che vieni a dirmi certe cose?» assunsi un tono fintamente serio.
Amelia subito si agitò «oh no Aria, non puoi assolutamente dirglielo!».
«Ah si? E che cosa mi darai...» mi interruppi per una terribile sensazione allo stomaco.
Mi piegai in avanti stringendo il bancone così forte che le mie nocche sbiancarono.
Conoscevo quella sensazione.
Troppo, troppo bene, per poterla scambiare con un semplice mal di pancia e un po' di nausea.
Feci dei respiri profondi per cercare di calmare il mio cuore impazzito e, dopo quella che mi sembrò un'eternità, mi girai verso Amelia per rassicurarla.
Vedermi in quei momenti non doveva essere per niente piacevole.
Ma quando i miei occhi si fissarono sulla sua figura, ammutolii. La mia amica, a sua volta, era piegata in due con le mani sul cuore e tremava come una foglia.
«Mel?» cosa le succedeva? «Mel, stai bene?».
Lei alzò gli occhi pieni di lacrime su di me e poco prima di fiondarsi fuori dalla porta, sussurrò un preoccupato «Val, no!».
Allora capii.
Il Beta di Trent era ferito, e stava per morire.

Cappuccetto rosso e il lupo [#wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora