Calengol

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«Ma che scena commovente» disse una voce sibilante alle mie spalle.
A quel suono m'irriggidii, improvvisamente tesa, e Trent, senza darmi il tempo di capire cosa stesse succedendo, mi spostò bruscamente dietro di lui.
Mi stava facendo scudo con il suo corpo, separandomi da quella che ora potevo dire con sicurezza essere una potenziale minaccia.
«Oh, oh no piccolo Alpha, non devi avere paura di me» continuò la voce, provocandomi un brivido di disgusto. Non riuscivo a capirne il motivo, ma istintivamente sapevo che quell'uomo -o almeno credevo fosse un uomo, visto che Trent mi copriva completamente la visuale- era cattivo.
Mi sentivo un idiota anche solo a pensarlo, ma il mio corpo non sembrava ammettere repliche: era il caso di darsela a gambe.
Io però strinsi i pugni, e affondai ancora di più le scarpe nel terreno.
«Non ho paura di te Calengol» chiarì lui con severità, stringendomi un polso come per assicurarsi che fossi ancora lì «ti sei sottomesso a me molto tempo fa, ricordi?».
«Ricordo che se non avessi giurato fedeltà, avresti... mhm... com'era la tua minaccia?... ah si...» fu bruscamente interrotto da Trent che, trasformandosi improvvisamente in lupo, cominciò ad avvicinarglisi con fare minaccioso.
Calengol, che ora potevo vedere a qualche metro dalla figura possente del lupo nero, non sembrò particolarmente intimorito da quel comportamento.
Mi chiesi, sinceramente sconcertata, se fosse stupido.
Forse non se ne era accorto, ma non aveva davanti esattamente un cucciolo di chihuahua...
Anche se, c'era da dirlo, nemmeno lui scherzava in quanto ad aspetto sinistro. La prima cosa che notai, nella penombra della foresta, fu lo strano mantello che gli ricopriva tutta la parte superiore del corpo. Sembrava fatto di erba e dei piccoli rametti appuntiti si innalzavano all'altezza delle sue spalle e braccia. Era nudo dal bacino -coperto da un pezzo di stoffa umido- in su. La sua pelle, che rifletteva leggermente la luce del sole, era di un verde oliva che catturò il mio sguardo per diversi secondi.
Mi ritrovai, per la seconda volta nel giro di due giorni, a pensare che non avevo mai visto niente di simile.
Quell'uomo era un tutt'uno con il sottobosco.
«Oh, cosa c'è piccolo Alpha? Non vuoi che Aria sappia chi sei davvero?» parlò guardandomi negli occhi, con un ghigno malefico dipinto in volto.
In tutta risposta Trent ringhiò avventandosi contro di lui, ma non fu abbastanza veloce.
Tutto accadde molto velocemente.
Una mano ossuta mi strinse la spalla sinistra, mentre un braccio umido e viscido mi avvolgeva la vita, allontanandomi da Trent.
«Nooooo!» sentii il suo urlo terrorizzato prima che una forza sconosciuta mi trascinasse lontano da lì, facendomi sollevare le gambe e svolazzare i capelli davanti agli occhi. Mi si tapparono le orecchie e sentivo i polmoni bruciare in cerca di ossigeno, mentre il mio campo visivo si riempiva di pallini neri.
Poi più nulla.

Mi risvegliai su qualcosa che odorava di marcio.
Cercai di sollevare le palpebre ma era come se fossero diventate improvvisamente troppo pesanti.
Provai quindi a muovermi, per far capire a chiunque si stesse aggirando per la stanza saltellando e canticchiando, che ero sveglia.
Volevo fargli capire che doveva svegliarmi, aiutarmi a tornare alla realtà.
Ma tutto quello che riuscii a fare fu muovere leggermente un paio di dita.
Fu uno sforzo immenso.
«Oh si, per un po' non riuscirai a muoverti, ma non ti preoccupare piccola Aria, mi occuperò io di te» sghignazzò al mio orecchio una voce spiacevolmente famigliare.
Dopo poco, le tenebre mi riportarono infondo, privandomi della percezione.

«Che cosa sei tu?» Catia era distesa a terra accanto a me e mi guardava con occhi terrorizzati.
Perché?
Anche gli altri bambini mi fissavano e nei loro sguardi lessi la rabbia e il disgusto.
Era come se al mio posto fosse improvvisamente apparso il ragno più grosso della storia.
Non riuscivo a capire...
Io, volevo solo aiutarla...
Scappai a casa, piangendo. Ma quando raccontai alla mamma quello che era successo anche lei cominciò a singhiozzare.
Riempì la mia valigia di vestiti e cibo, ma io gridavo, piangevo e le tiravo la maglietta.
«Cattiva»
«Cattiva»
«Cattiva»
Le urlavo.
Non volevo andare via.
Non lo avrei fatto mai più, ma non volevo andare via.
Poi, senza preavviso, qualcuno mi trascinò lontano. Un uomo con gli occhi azzurri.
Io scalciavo, ma lui era troppo forte e non mi lasciò andare anche quando degli uomini cattivi chiusero la mamma e il papà in casa e le diedero fuoco.

Mi svegliai di botto, soffocando un grido.
Ero sudata e scossa da tremiti incontrollati.
Mi portai una mano al petto, come a voler trattenere nella gabbia toracica il mio cuore scalpitante, mentre cercavo di scacciare le terribili immagini che ancora mi scorrevano davanti agli occhi.
Fu solo dopo diversi secondi che riuscii finalmente a calmare il respiro e a guardarmi intorno.
Ero seduta su un materasso sporco e qualcuno doveva avermi tolto il mantello rosso per appoggiarlo sul mio corpo a mo' di coperta.
Me lo levai di dosso, ancora tremendamente accaldata e presi a scrutare nella penombra di quella che sembrava essere una caverna.
Sentivo delle voci rimbalzare sulle pareti rocciose e alla mia destra, dopo una curva, intravedevo il fioco bagliore di un fuoco.
Non sapevo cosa fare.
Andare in quella direzione e affrontare quel Calen-qualcosa, oppure addentrarmi nel buio totale senza sapere se mi sarei persa?
In altre parole, scegliere l'incudine oppure il martello?
Sospirai, maledicendo il mio karma negativo. Che cosa avevo fatto di male per essere stata rapita due volte nel giro di quarantotto ore? E in entrambi i casi da creature che sembravano venute fuori dal libro di favole che mi leggeva mia mamma quando ero piccola, tra l'altro.
Uno schifo.
Certo, forse non era proprio così che avrei definito Trent, ma...
Scossi la testa.
Non era il caso di incoraggiare quel tipo di pensieri su di lui, né adesso né mai.
«Oh oh, ti sei svegliata» Calen-qualcosa stava battendo le mani con l'entusiasmo di una quindicenne davanti al suo idolo musicale.
Ecco, appunto.
Ora non avevo più neanche una scelta.
«Comincio a pensare che dovrei metterti un campanellino al collo» borbottai, alzandomi.
Ero troppo stanca e di malumore anche solo per essere spaventata.
No ok, non è proprio vero ammisi a me stessa ma finché ho un po' di coraggio, meglio tirarlo fuori.
Lo strano uomo palude non sembrò essersi offeso per le mie parole e continuò, anzi, a saltellare sul posto, fissandomi con una luce di follia negli occhi bianchi.
«Piccola, piccola Luna, non sai da quanto tempo ti aspettavamo» mi prese le mani nelle sue provocandomi una smorfia «il grande Lupo non sarà contento, ma vedrai che gioia quanto ti scoprirai un portento!».
Aveva anche cominciato a parlare in rima?
«Non so perché tutti continuiate a ripetere che mi aspettavate» sbuffai indispettita, sfilando le mani dalla sua presa «ma su una cosa hai ragione, di sicuro il "grande Lupo" come lo hai chiamato tu, sarà un tantino incazzato in questo momento, caro il mio Calen...» ripresi il mantello da terra e lo indossai.
Lui ridacchiò nervosamente alle mie parole, ma si limitò a dirmi che potevo chiamarlo Cale.
Io scrollai le spalle, indifferente.
«Sai» mi spinse verso la zona illuminata della caverna «sto facendo una cosa molto pericolosa per te» affermò quasi serio.
«Per me? Non mi sembra di averti chiesto niente di tutto questo!» ancora una volta gli allontanai le mani, che mi avevano sospinta delicatamente sulla schiena.
«Oh, non l'hai fatto, ma ti stiamo per fare un grande, grandissimo favore, piccola Aria» a quel punto arrivammo a destinazione, una piccola zona tondeggiante con al centro un falò e una cassa di frutti, tuberi e radici.
Immaginavo che quella sarebbe stata la mia cena.
«Noi?» domandai, fissando la schiena di un uomo che affilava coltelli accanto al fuoco.
Mi strinsi addosso il mantello, improvvisamente infreddolita.
C'era qualcosa di famigliare in lui, forse i capelli biondi, le spalle larghe e muscolose, le mani piene di piccole cicatrici, oppure semplicemente il suo modo di muoversi.
«Certo» continuò Cale «Massimo ed io».
«Massimo?» ero sempre più confusa.
«E sentiamo, che cosa stareste facendo di tanto rischioso per me?» chiesi ironica, continuando a fissare la schiena fasciata da una maglietta nera.
«Non è ovvio?» ridacchiò l'uomo palude, facendomi pizzicare le mani dalla voglia di afferrarlo per le spalle e scuoterlo, nella speranza che i suoi neuroni si risvegliassero dal loro lungo sonno.
«No. Per niente» lo fulminai con lo sguardo, anche se, ancora una volta lui continuò a sorridere come se nulla fosse.
Era per caso cieco? Sordo? Si era fatto troppe canne?
Cavolo, quest'ultima ipotesi non sembrava così assurda.
«Libertà, vendetta... ti stiamo offrendo il nostro aiuto per sconfiggere il tuo nemico di sempre, ragazzina» questa volta a parlare fu l'uomo.
Aveva una voce profonda e fiera.
Trattenni il respiro.
No, non poteva essere lui...
Si girò verso di me, mostrandomi finalmente il suo volto «Ci stai?» chiese, con un ghigno beffardo stampato in volto.
«Tu!» sussurrai sconvolta.

Cappuccetto rosso e il lupo [#wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora