Paura

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Il cielo era limpido e la luce del sole s'infiltrava tra i rami degli alti pini, facendomi bruciare gli occhi.
Sentivo le braccia e le gambe nude pizzicare a contatto con l'erba fresca, mentre il suono del mio respiro riempiva il silenzio.
«Aria stai bene?» vidi l'orlo di una gonna azzurra svolazzare sopra la mia fronte, prima che qualcuno si inginocchiasse accanto a me.
Rimasi immobile, cercando di guadagnare qualche altro secondo.
«Sta bene» sentii dire ad una voce maschile «sta solo temporeggiando» potevo quasi vedere il sorrisetto di scherno del lupo, ormai chiaramente disgustato dalla mia debolezza.
Certo, era facile per lui, nato con le zanne e gli artigli, giudicare quelli come me, che si ritrovavano con le unghie sottili e un sorriso fin troppo innoquo.
Pallone gonfiato.
«L'hai colpita troppo forte, guarda che lei non è come noi!» strillò Amelia, passandomi una mano sui capelli, come per rassicurarmi.
In quel momento avrei solo voluto dormire.
«Ma se è imbottita più di un divano...» grugnì l'altro.
«Kiev!».
Sospirai, prima di sollevarmi faticosamente a sedere.
Di certo non potevo sperare in un po' di tranquillità, in compagnia di quei due.
Lanciai un'occhiata all'uomo che avevo di fronte.
Non era particolarmente alto, per essere un licantropo. Trent lo superava di diversi centimetri ma, quando lo avevo visto per la prima volta, qualche giorno prima, ammettevo di non essermi sentita comunque molto tranquilla sapendo che per i prossimi mesi avrei combattuto con lui ogni giorno. A prescindere dalla statura sotto alla media, infatti, era ben piazzato. Al momento indossava una tuta nera che gli fasciava come una seconda pelle sia i muscoli poderosi delle gambe, che quelli definiti e potenti del busto e delle braccia.
Guardandolo da quella prospettiva, poi, non potevo non notare le enormi spalle, che sembravano in grado di sostenere il peso di una casa.
Aveva le braccia conserte e le gambe aperte, in una posa fiera e altezzosa, come al solito, e mi guardava come avrebbe fatto un Aquila con un piccione.
Lui era il predatore, potente e capace, mentre io mi limitavo a sopravvivere con poca grazia.
Incrociai il suo sguardo, nero come la pece, che poco dopo si spostò con fare annoiato su Amelia.
Stavano ricominciando a discutere, ma non li ascoltavo più.
Ero troppo impegnata a cercare di sollevarmi con il giubbotto antiproiettile che mi aveva dato Trent, per concentrarmi su qualcos'altro.
Anche se stavo decisamente fallendo.
Era esageratamente grande per me, e a malapena riuscivo a muovermi con quel coso addosso.
Sapevo che lo scopo era anche quello di diventare abbastanza forte da riuscire a combattere con su qualsiasi cosa e in qualsiasi situazione, ma speravo che se mai ci fosse stata una battaglia, sarei stata abbastanza fortunata da avere protezioni che mi rendessero meno goffa.
D'un tratto mi sentii bruscamente sollevata «e poi che diavolo è questo coso? È ridicolo» disse una voce burbera alle mie spalle, prima che i miei piedi toccassero terra.
«Sono d'accordo» ansimai, sfinita «ma avrei preferito alzarmi da sola, grazie».
Era tutto così umiliante.
«Si allora siamo in due» disse Kiev, apparendomi davanti «ma non riesci nemmeno a camminare da sola, non è vero?».
«Senti...» strinsi i pugni lungo i fianchi.
Non sopportavo quando mi trattava come una bambina viziata che non è in grado di combinare niente di buono.
Non avevo chiesto io di essere trattata come la loro Luna, e di certo non ero stata io a volere Amelia o chiunque altro come guardia del corpo.
«È ovvio» m'interruppe «che tu debba farti male, questa non è una lezione di danza classica, principessa, ti verranno dei lividi e forse ti romperai una costola o due...» vidi la sua lunga barba bionda aprirsi per lasciar spazio ad un sorriso inquietante.
Io mi limitai a guardarlo male, mentre cercavo di togliermi quel coso.
Ero stufa quanto lui di quella situazione.
«Kiev! Sei sordo per caso? Lei non...» Amelia si era avvicinata furiosa al mio allenatore, pronta a continuare la discussione.
«...non è come noi, bla bla bla, lo so» replicò stizzito lui «e allora morirà in battaglia».
Con la mano destra riuscii ad arrivare al laccio sul fianco e a liberarmi in parte dal giubbotto.
«Non morirà, ha solo bisogno di un po' più di tempo» disse sicura Amelia «e di un allenamento adeguato».
Un tonfo attutito dall'erba fece girare entrambi nella mia direzione «Mel, Kiev ha ragione».
Respirai profondamente, godendomi la sensazione di leggerezza e freschezza che solo la rimozione di due kg di imbracatura poteva donare. Intanto lei mi guardò con occhi sgranati, stupita quasi quanto Kiev per le mie parole.
Si girò verso il mio allenatore e poi di nuovo verso di me, come se sospettasse che ci fossimo messi d'accordo.
«Aria» mi disse dolcemente, toccandomi una spalla «non devi farti intimidire, ci arriverai con più calma».
Annuii, guardandola negli occhi «lo spero, ma ho paura di non avere tutto il tempo che credi tu».
Sapevo che in circostanze normali Amelia avrebbe avuto più che ragione, ma le cose si stavano complicando sempre di più.
Troppe persone erano venute a conoscenza delle mie capacità e, come se non fosse bastato, probabilmente non avrei dovuto fidarmi di nessuna di loro.
Per la maggior parte del tempo mi ero affidata a Trent, che aveva sempre dimostrato di volermi proteggere, anche se in un modo tutto suo. Fastidiosamente suo.
Ma ora?
Avevo passato gli ultimi cinque giorni a cercare di convincermi che fosse dalla mia parte, ma da quella notte in infermeria, quando se ne era andato di tutta fretta in compagnia di una Sally coperta di sangue, sentivo che qualcosa si era rotto nel nostro già fragile rapporto.
Ti sta mentendo su Marco.
Ti sta mentendo su Marco.
Ti sta mentendo su Marco.
Quelle parole continuavano a riaffiorare nella mia mente, a prescindere da quanto cercassi di scacciarle e il fatto che Trent si facesse vedere a malapena e che fosse più taciturno del solito, non migliorava la situazione.
Più restavo sola, e più riuscivo a pensare con lucidità; il rapimento, l'aggressione a Marco, l'allontanamento forzato da tutte le persone a cui tenevo, e i suoi segreti...
«Che vuoi dire?» sbattei le palpebre, ritornando alla realtà.
Amelia mi stava guardando con apprensione mentre Kiev si era ormai allontanato per risistemare i coltelli e le pistole che mi aveva fatto usare nella prima parte dell'allenamento, in uno dei suoi inquietanti borsoni neri.
«Lo sai anche tu Mel» le dissi «c'è tensione nel castello in questi giorni e ho paura che stia per succedere qualcosa».
Lei distolse lo sguardo e cominciò a torturarsi le mani «n-no... non ti devi preoccupare di questo. Vedrai che Alpha Trent sistemerà tutto».
M'immobilizai «tutto cosa?».
Amelia alzò di scatto lo sguardo verso di me, con aria colpevole «tu sai qualcosa?».
«Ecco... non proprio».
Quella sua negazione, tutt'altro che credibile, fu per me molto simile ad un pugno assestato dritto dritto nello stomaco.
Sapevo che, per quanto avessimo legato negli ultimi tempi, la mia amica era prima di tutto fedele al mio compagno e non sarebbe mai andata contro al suo volere, anche a costo di ferirmi; non mi ero mai fatta illusioni su questo. Ma il fatto che lei sapesse la verità sui problemi di quello stesso branco del quale tutti volevano che fossi la Luna, e io no, mi aveva buttata totalmente a terra.
Insomma, ma che diavolo volevano da me?
Che facessi parte del loro mondo e provassi ad aiutarli, o che me ne stessi in disparte in un angolino ad obbedire e assecondare i loro capricci?
«Lasciamo perdere» dissi cominciando ad allontanarmi con passi veloci «l'allenamento per oggi è finito».
Non avevo alcuna intenzione di farmi prendere per il culo, un secondo di più.
Sentii la voce di Mel che mi chiamava ormai a distanza di diversi metri, ma non mi fermai.
Tutto quello di cui avevo bisogno era in infermeria.

Cappuccetto rosso e il lupo [#wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora