Cacciatore

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Aprii e richiusi la bocca decine di volte, senza riuscire ad emettere l'ombra di un suono.
Immaginavo che agli occhi dei due uomini, esseri, o quello che erano, che mi stavano fissando in quel momento -entrambi con un fastidioso sorriso da chi la sa lunga- dovevo sembrare molto simile ad un pesce.
Gli occhi sbarrati dalla sorpresa non aiutavano.
Feci un piccolo passo indietro, ancora incapace di formulare una frase di senso compiuto, mentre mille pensieri mi vorticavano in mente, confusi e sconnessi.
Non è lui.
Non può essere lui.
Non è cambiato di una virgola, che sia un vampiro? Ormai non mi stupirei più di niente.
Cosa ci fa quì?
Vendetta? Vuole che mi vendichi?
Non mi era mai passato per la mente.
Perché no?
Non sono una guerriera, ma una fuggitiva!
Come mi ha trovata?
Mi ha già salvata una volta, non avrebbe senso uccidermi ora, giusto? Giusto.
«A parole tue, Lunetta» mi canzonò Cale, ridacchiando con voce acuta.
Dio. Era insopportabile.
«Non voglio vendetta» sussurrai con voce incerta, ignorandolo completamente e rivolgendo tutta la mia attenzione a Massimo, che non aveva distolto lo sguardo dal mio volto nemmeno per un secondo.
«Bugia, bugia, bugia» canticchiò Cale.
Io mi girai di scatto nella sua direzione, ormai fuori di me «non mi interessa di cosa ti sei fatto, uomo palude da strapazzo, se non chiudi subito quella ciabatta giuro che...» non feci in tempo a finire di parlare che scomparve, riapparendo alle mie spalle «che, cosa?» mi provocò con un sussurro, mentre il suo alito caldo mi faceva accapponare la pelle sulla nuca.
Cercai di colpirlo con una gomitata nello stomaco, ma si smaterializzò di nuovo, per riapparire dopo pochi attimi ad un palmo dal mio naso.
Non mi diedi per vinta e gli tirai un calcio dritto verso i gioielli di famiglia, colpendo il vuoto e sbilanciandomi leggermente verso il suolo. Misi le mani in avanti, per frenare la caduta, ma sentii qualcosa di pesante cadermi sulla schiena e schiacciarmi.
Subito dopo, avvertii un dolore sordo all'altezza del naso, e un sapore metallico in bocca.
Un liquido caldo mi colava sulle labbra e il mento, disgustandomi.
«Levati di dosso!» gli urlai, con gli occhi fuori dalle orbite, cercando di far leva sulle braccia per rialzarmi.
«Oh oh, che caratterino la nostra Lunetta!» ridacchiò in risposta.
«Smettila di chiamarmi così!».
«Così come, piccola Lunetta?».
«Puzzolente uomo palude!».
«Non sei contenta di essere la nuova Luna del branco?».
«Non so nemmeno cosa vuol dire».
«Lo capirai».
«Non voglio avere niente a che fare con tutto questo».
«Non hai scelta».
«Stronzate».
A quel punto sentii che mi affermava i capelli in un pugno, e cominciava a tirare.
Urlai a quell'attacco imprevisto e, con i polmoni ora schiacciati dalle sue ginocchia, cominciai a vedere dei lampi di luce nel mio campo visivo.
Mi dimenai, pensando che sarei morta presto ma, a poco a poco, la mia forza era sempre più inesistente e alla fine mi arresi, restando immobile nella sua presa ferrea, mentre Cale rideva sguaiatamente.
Sembrava non riuscisse più a fermarsi.
Mi chiesi se sarebbe stata l'ultima cosa che avrei sentito, quando improvvisamente il peso che mi schiacciava a terra sparì, permettendomi di respirare normalmente.
Tossii così forte da graffiarmi la gola e boccheggiai in cerca di quell'aria che non avevo avuto modo di raggiungere prima.
Quando finalmente riuscii a rimettere a fuoco quello che mi circondava, mi girai, trovandomi davanti una scena agghiacciante.
Cale scalciava e artigliava l'aria, cercando di sfuggire alla presa di Massimo, che lo teneva per il mantello.
Sembrava fargli estremamente male quella posizione, come se lo strato di erba e rametti fosse attaccato all'uomo come a una seconda pelle.
Lo vidi boccheggiare mentre il suo viso assumeva una tonalità pericolosamente vicina a quella del fuoco che scoppiettava alle mie spalle.
Volevo che Massimo lo lasciasse, ma non riuscivo ancora a parlare.
Così cercai di attirare il suo sguardo, di parlargli con gli occhi, ma lui non parve vedermi.
Ero spaventata dal modo distaccato con cui osservava Cale, che sembrava in procinto di morire tra le sue braccia.
Fu solo quando gli occhi dell'uomo si girarono all'indietro e il mantello si staccò definitivamente dalle sue spalle, provocando lo stesso rumore di uno spesso cerotto che viene strappato dalla pelle, che Massimo abbassò le braccia.
Mi trascinai dolorante verso il corpo immobile che giaceva ai suoi piedi in una posa innaturale, e lo scossi terrorizzata.
Non potevo dire di essermi affezionata a lui, una parte di me aveva addirittura desiderato che morisse per quello che aveva tentato di farmi, ma ora che quel pensiero sembrava essersi tramutato in realtà, mi si rivoltò lo stomaco.
Non volevo assistere alla sua morte.
Non potevo sopravvivere a quella vista, ancora.
Gli scostai i rasta che gli coprivano il volto, con mani tremanti, e gli misi due dita sul collo, controllando il battito.
Niente.
Gli presi il polso e ripetei il gesto, ma ancora una volta, non sentii vita sotto quella pelle.
Era diventato freddo e duro come il marmo nel giro di pochi secondi.
Era tutto così sbagliato.
Calde lacrime scesero a solcarmi le guance, mentre prendevo atto di quello che era successo.
E quasi non mi accorsi quando Massimo sollevò il suo corpo esanime e non capii, quando sentii il tonfo sordo di qualcosa di pesante che cade nell'acqua.
Riuscivo solo a starmene lì, con la testa tra le spalle e le braccia intorno alle ginocchia, a proteggermi dal mondo esterno, mentre un fiume di immagini cominciò a scorrermi davanti agli occhi.

Cappuccetto rosso e il lupo [#wattys2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora