Capitolo 9

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Una notte a metà Dicembre, Thomas si era appena svegliato dopo un orribile incubo. Le immagini che aveva visto passare davanti mentre dormiva erano ancora fresche e vivide nella sua mente, mentre il respiro cercava di regolarizzarsi.
Aveva sognato le sue sorelle e sua madre nella sua vecchia casa a Mosca. Era piccolina ma accogliente, e tutte e cinque le donne della sua vita erano sedute in salotto. Poi un boato che Thomas poteva ancora benissimo sentire risuonare nelle sue orecchie. Finestre che si rompono, la stanza si riempie di rosso.
Poi il nulla, poi il risveglio.
Il giovane madido di sudore si mise a sedere, facendo leva sulle mani ancora leggermente tremanti. Strinse fra le dita le lenzuola bianche, provando in tutti i modi a calmarsi. La gola era secca e gli bruciava, gli occhi pieni di lacrime: aveva bisogno di una boccata d'aria fresca e di un bicchiere d'acqua.
Si alzò dal letto con fatica, poiché le gambe sembravano esser appena schiacciate da un tir. Indossò una vestaglia qualunque sopra il pigiama e infilò i piedi freddi dentro le ciabatte, prima di uscire dalla sua camera. A quell'ora il palazzo era quasi deserto. Vi era qualche servo sveglio per eventuali richiami da parte della famiglia imperiale, qualche guardia in giro e nessun altro. Thomas puntava di andare dritto in cucina, a recuperare una qualsiasi bevanda idratante, ma a circa metà tragitto si sentì chiamare.
"Tommy!" ripeté ancora la voce che costrinse il pianista a voltarsi. In fondo al corridoio, poco prima delle scale si situava la stanza di Anastasija e Marija. Quella notte, Newt era di guardia.
"Che ci fai sveglio?" chiese, abbassando questa volta la voce poiché tutto il Palazzo dormiva. Thomas si avvicinò con passi lenti al soldato, facendo scivolare sul pavimento le ciabatte per non fare rumore.
"Brutta nottata." disse solamente, passandosi una mano tra i capelli e sospirando pesantemente.
"Di nuovo una notte insonne e tormentosa : io provo questo sentimento -" cominciò Newt a citare, prima di essere interrotto da Thomas e dalla sua voce bassa , che soffiava in un sussurro effimero."-io, che ridevo delle sofferenze degl'innamorati. Quello di cui ti ridi è poi quello che servi." concluse il pianista.
"Mi piace quando cogli le citazioni di Tolstoj." mormorò Newt, guardando la finestra del corridoio davanti a sé. La divisa stretta ai fianchi e i soliti stivaletti neri lo rendevano ancora più bello, pensò Thomas, che di conseguenza arrossì.
O probabilmente era già arrossito per quella frase sugli innamorati, sulle notti insonni e tormentata dalla figura di chi si ama e che popola la mente e i sogni.
Thomas non aveva mai conosciuto l'amore.
L'aveva sempre osservato dall'esterno, stando molto attento a non avvicinarsi troppo per non scottarsi. Ne aveva visti così tanti di innamorati che ormai quasi non gli facevano più effetto. Erano ovunque, ballavano sulla sua musica, si baciavano di nascosto alle feste da ballo in cui suonava, si abbracciavano ai suoi concerti.
Ma dentro di sé lo sentiva che qualcosa stava cambiando. Anche perché altrimenti una semplice frase di Tolstoj sull'amore non gli avrebbe fatto un certo effetto.
O era forse la voce di Newt?
"La tua notte insonne e tormentosa è causa di una sofferenza da innamorato?" chiese Newt dopo qualche istante di silenzio. Si sedette per terra, appoggiato allo stipite della porta della stanza delle granduchesse, con lo sguardo più scuro del solito, nonostante la luce della luna che filtrava dalla finestra.
Thomas arrossì leggermente, ma per fortuna la semi oscurità gli permetteva di celare il suo imbarazzo. "Hai qualcuno, Tommy? Qualcuno che ti ami intendo, qualcuno che aspetta il tuo ritorno a casa." continuò il biondo, senza neanche guardarlo negli occhi, trovando più interessante osservare le sue mani bianchissime.
Thomas rabbrividì a quelle parole, o meglio, rabbrividì al tono con cui erano state dette. Era forse deluso Newt? Non voleva crederci, il pianista sperava di fraintendere. Ma da qualche parte dentro il suo cuore sapeva che non voleva affatto sbagliarsi. Per questo, si sedette accanto a lui.
Appoggiati entrambi alla porta, guardavano la finestra davanti a loro come il quadro più bello del palazzo. La notte russa era come incorniciata, le stelle apparivano come macchie di colore piccolissime che rendevano la tela buia una meraviglia.
Uno di fianco all'altro, probabilmente avrebbero voluto raggiungere insieme quelle stelle. Ma dovevano accontentarsi di poggiare le loro mani vicine sul pavimento senza mai toccarsi.
"Ho la mia famiglia." rispose Thomas, dopo svariati minuti di silenzio. "Nessun altro." aggiunse poi.
Newt appoggiò la testa indietro, evitando di guardare il ragazzo accanto. Ma la sua mano parlava per lui: si era mossa automaticamente verso quella di Thomas ancora appoggiata sul pavimento e aveva subito trovato le dita del pianista, accarezzandole lentamente con i polpastrelli. Sfiorò tutte e cinque le dita per conoscerle una ad una per poi staccarsi da quel contatto così piacevole.
Thomas non mosse la mano di un millimetro. Si era lasciato toccare, godendosi quei tocchi delicati che riscaldavano le dita fredde. "T- tu hai qualcuno?" chiese titubante, rannicchiandosi con le ginocchia portate al petto e il mento su di esse. Neanche lui osava guardare l'altro. Se Newt avesse risposto positivamente, si sarebbe dovuto rassegnare e lasciarlo perdere, magari non parlandogli più e andandosene dritto a letto senza comunque dormire. Ma se avesse risposto negativamente, la cosa si faceva ancora più complicata.
"Quando si è soldati, quando si va in guerra.. Non si può avere nessuno, Tommy." rispose il biondo amaramente, con un il sorriso più triste del mondo.
Il pianista smise di farsi tutti quei problemi. Per la prima volta in vita sua reagì d'istinto, non preoccupandosi di niente. Dentro, le sue fobie gli stavano urlando di non farlo, ma fuori c'era quel sorriso triste di Newt che avrebbe vinto su qualsiasi altra cosa.
Così, voltandosi verso di lui, strinse la mano del riccio nella sua.
E intrecciò anche le dita con quelle sue, perché ormai il gioco era fatto.
Newt si lasciò stringere, accarezzare dal polpastrello del pollice del pianista, mentre mostrava a Thomas un sorriso più acceso del precedente.
"Meravigliosa notte di luna; le urla degli ubriachi, la folla, la polvere non guastano la bellezza; una radura umida, chiara sotto la luna, dove cantano le rane e i grilli, e qualcosa ti attira là; ma arrivi là e qualcosa ti attirerà ancor più lontano. La bellezza della natura non suscita nella mia anima piacere, ma qualcosa come un dolce dolore." citò Thomas, perdendosi negli occhi del biondino che sembravano davvero una radura umida, chiara sotto la luna.
Con la mano libera, Newt gli accarezzò la guancia, come ormai era diventato d'abitudine. "Cos'hai sognato?" chiese in un sussurro.
Thomas si beò di quel contatto, chiudendo gli occhi e rilassandosi mentre Newt si prendeva cura della sua pelle come nessun altro aveva mai fatto.
"Ho sognato la guerra." rispose, dopo circa un minuto di pausa. "E non riesco a pensare a ciò che c'è fuori da questo palazzo, non riesco a pensare al fatto che la guerra per te non è solo un sogno ma la cruda realtà."
Thomas aveva il cuore un po' più leggero dopo quella confessione. Gli aveva rivelato una delle sue paure e implicitamente anche la paura di perdere quel soldato dagli occhi splendenti.
Tremò leggermente al ricordo di quell'incubo e forse Newt se ne accorse pure perché l'istante dopo aveva avvicinato alla sua bocca la mano di Thomas, osservandola come se fosse la cosa più bella del mondo. "Non tremare." mormorò Newt con la sua voce rauca che fece rabbrividire Thomas ancora di più. Il biondo appoggiò le labbra sulla pelle fredda del pianista, ricoprendola di veloci baci delicati. Come aveva immaginato. "Non tremare." ripeté ancora fra un bacio e l'altro.
Un turbinio di emozioni invase Thomas come non era mai successo. Quei tocchi bruciavano sulla sua pelle come marchi indelebili, mentre il respiro si mozzava e il cuore iniziava a mancare di qualche battito. Le cure delle labbra di Newt erano il miglior modo che avesse mai provato per superare un incubo e le paure che ogni giorno lo affliggevano. Ed era fantastico, pensò in quel momento Thomas, godendosi ogni piccolo bacio del soldato.
Poi sentirono un rumore proveniente dalla stanza. Il pianista ritirò la mano di scatto, alzandosi immediatamente. "Si sono svegliate forse, devo andare." disse senza neanche guardarlo negli occhi, riferendosi chiaramente alle granduchesse.
Anche Newt si mise in piedi, un po' deluso da quel ritiro improvviso del più piccolo. "Buonanotte, Tommy." sussurrò, ma il diretto interessato era già troppo lontano per sentire quell'augurio lieve.
Il pianista decise che la cosa migliore da fare era infilarsi sotto le coperte sperando in sogni migliori, ora che parte di quell'incubo era andato via dalla sua mente.
Il cuore di Thomas batteva in 'allegramente'.

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