Capitolo 19

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Uscì dalla stanza come un razzo, ma la folla di persone della servitù lo avvolse, rendendo difficile ogni movimento. C'era chi urlava, chi piangeva, chi cercava una qualche via d'uscita, ma la consapevolezza che tutto sarebbe finito in pochi istanti li rendeva dolore fatto in carne e ossa.
Newt cercò di non arrendersi però. Conosceva il Palazzo come le sue tasche e avrebbe trovato una soluzione. Ma la cosa da fare prima di tutto era trovare Thomas e portarlo in salvo. Notò che nessun soldato era in quella folla, erano tutti all'entrata a cercare di bloccare l'avanzata dei rossi.
Passavano i minuti, ma di Thomas nessuna traccia. L'ansia stava iniziando a impossessarsi di nuovo di lui, la sua mente diventava poco lucida, stava letteralmente impazzendo al pensiero che gli avessero fatto del male. Sentì ancora urlare, colpi di pistola e pianti silenziosi di donne del Palazzo che avevano perso ogni speranza, abbracciando per l'ultima volta il proprio figlio e rimpiangendo di essere nate in Russia.
A Newt mancò l'aria mentre vagava per quelle stanze. Si appoggiò al muro, cercando di riprendere le forze, mentre le lacrime gli rigavano il volto e nella sua mente comparivano le peggiori immagini: non riusciva neanche a pensare che avessero già preso Thomas, non riusciva neanche a pensare che l'avessero.. Gemette dal dolore, aprendo gli occhi e continuando la sua ricerca. Lo chiamò a voce alta, urlò il suo nome, lo invocò sperando di ricevere una qualche forma di risposta, ma non c'era nessuno a gridare "Newt", non c'era nessuno.
Ma poi lo vide e fu come respirare, come uscire dall'acqua dopo essere quasi annegati, come toccare terra dopo essersi lanciati nel vuoto senza sfracellarsi. Era lì davanti a sé, in un corridoio affollato in cerca di spazio per passare.
I loro sguardi si incrociarono e nessun quadro aveva i colori più belli di quell'azzurro e di quel miele mescolati insieme con una sfumatura di speranza.
"Newt!" urlò più forte che poté Thomas, spingendo persone e liberando la strada verso il soldato.
Newt fece lo stesso, piangendo ancora e ancora, fino a quando non riuscì a prendere la mano dell'altro, in una scossa elettrica mai sentita prima d'allora. Avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che ce l'avrebbero fatta, ma non c'era tempo, così fu costretto a distogliere lo sguardo dal volto del pianista e stringere la sua mano così forte da farla diventare più bianca del normale, per poi trascinarlo correndo verso una probabile uscita.
Corsero per un tempo infinito in quel Palazzo. Sentivano che i rossi stavano avanzando, che le guardie non avrebbero resistito per molto e quindi dovevano sbrigarsi. "Di qua." gridò Newt, svoltando improvvisamente ad un vincolo che, però, si rivelò cieco. "Maledizione." imprecò ancora, mordendosi un labbro senza però darsi per vinto. Tornarono indietro, continuando quel lungo corridoio che terminava con una scalinata. Scesero velocemente, rischiando più volte di inciampare, mano nella mano sarebbero crollati tutti e due.
Ma era così che ormai funzionava, o nessuno o entrambi. Erano diventati una sola persona, se uno dei due non c'era, l'altro non respirava.
"Newt." chiamò Thomas, in quella che sembrava un gemito di dolore piuttosto che una richiesta. Il biondo non si voltò verso di lui, ma iniziò a sfregare il pollice contro il dorso della mano del pianista, per farlo calmare e per dirgli che era al sicuro.
Ma ormai di sicuro non c'era più niente.
Arrivarono nei sotterranei del Palazzo, luoghi bui e impolverati probabilmente mai utilizzati. Thomas tremò per il freddo che regnava in quelle stanze, ma continuò a correre seguendo il passo del soldato, che sembrava conoscere bene le strade.
"Dove stiamo andando Newt?" chiese con fatica per il fiato che mancava, sia per la corsa, sia per la paura.
"Dovrebbe esserci una stanza con un passaggio che porta fuori." spiegò il biondo, guardandosi intorno tentando di ricordarsi quale fosse la porta giusta.
Poi un sospiro di sollievo: l'aveva trovata.
Si voltò verso Thomas, con gli occhi che brillavano, facendogli capire che l'uscita era in quella stanza, davanti alla quale si erano fermati.
Aprì la porta della stanza, piccola e angusta, con qualche vecchio mobile probabilmente intaccato dalle tarme. Sentirono passi scendere dalle scale su cui erano passati: l'avanzata era vicina, le guardie avevano ceduto. Newt si fece coraggio e entrò nella stanza, trascinando Thomas con sé e chiudendo la porta. La poca luce che filtrava permetteva di individuare la porta del passaggio di cui Newt si ricordava. L'aveva scoperto l'anno prima, quando una notte annoiato e senza sonno, aveva vagato nel Palazzo in cerca di una stanza per lui e Thomas. Si avvicinò a quella porticina, girandone la maniglia con ansia, mentre il pianista dietro di lui fremeva perché nonostante tutto avevano trovato la via d'uscita.
Newt riuscì addirittura a sorridere, mentre tirava verso di sé la porta.
Un sorriso che durò esattamente un secondo.
Un secondo in musica è un'unità fondamentale. In un secondo puoi riprodurre più di una nota. Puoi inserire una pausa, oppure iniziare una nuova battuta. Puoi inserire un inizio di scala o di un arpeggio, oppure puoi semplicemente metterti davanti al metronomo e ascoltare il ticchettio. Un solo ticchettio in un secondo.
Un secondo nella vita è un'unità fondamentale. In un secondo puoi baciare il tuo ragazzo a fior di labbra, puoi sfiorargli la guancia oppure puoi anche farlo ridere. Un secondo può essere riempito con un sorriso o con un gemito di piacere, con un "Ti amo" detto all'improvviso o con l'inizio di una citazione di Tolstoj. Un secondo può essere anche il passo dell'armata nemica che avanzava. Un secondo può essere la consapevolezza della fine, che tutto era perduto.
In un secondo ci si può anche rendere conto che il passaggio segreto visto un anno prima e in cui tanto speravi era stato murato.
Un solo battito di cuore in un secondo.
Poi il nulla.
Newt si voltò verso Thomas, dopo essersi reso conto che era tutto finito. Lo superò velocemente, spostando davanti la porta un vecchio comò mal ridotto, cercando per quanto era possibile di ritardare l'arrivo dei rossi.
Thomas era rimasto nella sua posizione, aveva chiuso gli occhi e aveva rivolto il suo pensiero alla sua famiglia. Mentalmente aveva detto addio alle sue quattro sorelle, ricordandosi dei loro sorrisi e dei loro abbracci. Aveva detto addio anche a sua madre, la donna più importante della sua vita, sperando che non soffrisse troppo per la perdita di un figlio. Pregò un dio che forse non esisteva e che li aveva destinati alla morte affinché la sua famiglia fosse in salvo.
Newt intanto aveva teso l'orecchio verso la porta della stanza, cercando di sentire dove erano arrivati i nemici. Ed erano più vicini di quanto pensasse.
L'unica cosa che gli rimase da fare, perciò, era voltarsi vero l'amore della sua vita e baciarlo per l'ultima volta. Fu un bacio devastante che presto iniziò ad avere il gusto amaro delle lacrime, di gemiti di dolore e di speranze perdute.
Le loro lingue stavano vorticando in una pericolosa danza della morte.
"L'amore impedisce la morte. L'amore è vita." pronunciò Newt, non appena di staccò da quel bacio costruito sulla sofferenza.
"Tutto, tutto ciò che io capisco, lo capisco solamente perché amo." aveva continuato Thomas, citando forse per l'ultima volta il loro amato Tolstoj, che in qualche modo li aveva uniti. O forse, si sarebbero ritrovati comunque, in un'altra vita senza guerra, senza fobie, senza nulla che potesse separarli.
"È solo questo che tiene insieme tutto quanto." concluse Newt, abbracciando l'altro e aspettando la loro fine.
Non ebbero bisogno di dirsi altro. I loro sguardi, incastrati l'uno dentro l'altro, parlavano per loro.
Lo sguardo castano ringraziò quello azzurro per aver guarito le ferite di guerra, per avergli fatto conoscere un mondo bellissimo, per avergli permesso di farsi amare.
Lo sguardo azzurro ringraziò quello castano per avergli insegnato ad amare, per averlo fatto innamorare e per averlo salvato da sé stesso e dalle sue paure.
Poi una spinta contro la porta: qualcuno stava cercando di entrare.
Thomas sorrise a Newt.
Newt sorrise a Thomas.
Non si pentirono di nulla. Tutte le scelte prese aveva portato le loro strade ad unirsi, per questo non avevano alcun rimpianto o rimorso.
Andava bene loro così, andava bene anche morire. Purché lo facessero insieme.
Un'altra spinta contro la porta: questa volta il comò dalle gambe troppo logore per far forza, si spostò di qualche centimetro.
Newt però aveva voglia di fare un'ultima cosa, prima di cadere in balia dei nemici. Voleva toccargli la guancia. Era così che aveva iniziato ad amarlo per la prima volta. Perché sì, si era già innamorato del pianista al loro primo incontro e poi anche al secondo e al terzo. Più passavano i giorni, più Newt si innamorava di Thomas.
Così, con la mano leggermente tremante, appoggiò le dita sulle guance bagnate del pianista, salutandolo in questo modo.
Gli disse addio proprio come gli aveva detto ciao, all'inizio di quella che sarà per sempre la più bella storia d'amore.
L'ultima spinta contro la porta: il tonfo del vecchio mobile che aveva ceduto.
I cuori di Thomas e Newt batterono per l'ultima volta.
In sincronia.

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