CAPITOLO 5. MIRANDA

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INCUBI.

Ero sveglia da un'ora mi giravo nel letto, non riuscivo più a prendere sonno dopo l'ennesimo incubo.

Erano le cinque e a breve la sveglia avrebbe suonato. Incubi su incubi ormai da un anno e mezzo, lo avevo detto anche alla mia psicologa che mi seguiva da quando Mirko era andato via ed ero tornata a casa dei miei genitori. Avevo gli attacchi di panico continuamente, la notte urlavo e piangevo finchè mamma non mi cullava fra le sue braccia e mi addormentavo.

Questa volta avevo sognato Mirko e Bea, insieme. Sognavo che lui la teneva fra le braccia e la cullava ma Bea non emetteva nessun suono, nessun pianto, nessun gorgoglio e Mirko piangeva. Lui poi mi ha guardata e mi ha sussurrato: "E' morta perchè tu, stai frequentando un altro uomo che non sia io." Così mi sono svegliata di soprassalto pensando alle parole di Mirko nel sogno. Ignazio ormai lo frequentavo da mesi.

Erano ormai sette mesi che io e Ignazio uscivamo insieme. Era scattato il primo bacio ma non eravamo andati ancora oltre, lui mi capiva ed io ancora avevo paura di poter rivivere certi orrori.

Ignazio sapeva della mia storia di sette anni ma non sapeva nulla di Bea, non glielo avrei detto. Quando io e Linda andavamo al cimitero dicevamo che visitavamo i nostri cari. Io e Linda portavamo i bouquet di peonie colorate. Ignazio non chiedeva nulla ma si vedeva che quella relazione monotona di soli baci, carezze e parole dolci ormai, gli stava stretta.

Dopo questo sogno rimasi sveglia ancora finchè non fu orario di lavoro. Oggi staccavo prima delle cinque perchè poi nel pomeriggio avrei avuto il colloquio con la psicologa. La vedevo una volta a settimana e le raccontavo tutto ciò che sentivo, che sognavo e che pensavo durante le giornate. Sapeva di Mirko, Ignazio e di Bea. Conosceva anche Linda e conosceva ormai gli amici che frequentavo. Aveva riso quando le raccontai come ho conosciuto Ignazio e mi aveva detto che la mossa migliore era stata uscire e conoscere nuova gente. Rimanere a pensare al passato mi avrebbe portato nel baratro della depressione ossessiva e io quella porta non dovevo aprirla, dovevo rimanere nella stanza dove ci sarebbe stata un'altra uscita, quella dove la luce è più forte di tutto e la parola d'ordine è: serenità.

Alle venti Ignazio sarebbe passato a prendere e mi sentivo pronta a voler fare l'amore con lui, forse sarebbe successo oggi, forse domani non si sa, certe cose non si programmano, succedono e basta.

Ignazio viveva solo perciò la sera andavamo a casa sua, cucinavo e mangiavamo poi ci sedevamo sul divano morbido in pelle a guardare un film. La maggior parte delle volte ci addormentavamo e poi ci risvegliavamo abbracciati. Mi piaceva tutto quello, mi faceva sentire importante, protetta e amata, anche se, l'amore non ce lo eravamo dichiarati del tutto.

Uscì dal mio ufficio e mi diressi dalla mia psicologa, mi toccava una lunga chiaccherata. Speravo che lei potesse levare qualche dubbio di troppo venuto a crearsi nella mia testa. Ormai ero solo un groviglio di pensieri, paranie e dubbi. Ero pronta per un'ennesima strizzata di cervello.

𝓐𝓶𝓸𝓻𝓮 𝓶𝓪𝓵𝓪𝓽𝓸.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora