3°capitolo - bad impressions

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Il giorno seguente, in 3h arrivammo sul posto.

Guardai l'orologio.

20:06

«Siamo in ritardo.» constatò.
Lo fulminai «Lo so!»
«Vorresti darmi la colpa?!» ‹Non dovrei?› -gli lanciai ancora un'occhiataccia.-
Apriì la portiera della macchina «Se tu non–..» «Non provare di nuovo a dirmi che se abbiamo sbagliato strada la colpa è la mia!»
Sbattei la portiera «Tu hai voluto girare a destra!»
Anch'esso la sbatté «Sì perchè io sapevo dove andare!»
«Senti, non c'è tempo per questo adesso.» gli dissi mentre ci stavamo incamminando.

Dopo altri due minuti di discussione su chi avesse ragione e chi non l'avesse ci fummo davanti... ‹E questa dovrebbe essere una casa?› -mi chiesi con una smorfia in volto.-

Nicolas «Ma è una catapecchia.» è non avrebbe saputo dirlo meglio.

Andava bene il non farsi notare, ma così secondo me era troppo. Era una struttura grande ma pur sempre rovinata. Non c'era neanche nessuno a farle da guardia. Né uomini, né sicurezza.

Potrebbe essere una trappola.› -mi dissi.-

Dopo aver salito quel paio di gradini spinsimo la porta in vetro, il puzzo che mi arrivò alle narici mi irritò gli occhi. Sapeva di fumo e di vecchio.

Due uomini ci fermarono.

«Sì, è arrivato.» annunciò all'auricolare e poi disse qualcosa in russo.

«Puoi andare.» mi disse dopo avermi perquisito. -Gli tirai una brutta occhiata- ‹Ma tu guarda questo idiota che pensa che possa avere una pistola quando basterebbe un sasso per buttare giù l'intero posto.› «Ah, alt.» si rivolse al mio compare «Tu rimarrai quì con noi.»

Io e Nicolas ci scambiammo un semplice sguardo di intesa.

«Di quà.» mi fece strada uno dei gorilla pelati.

Attraversammo il grosso salone che aveva tutta l'aria di essere una discoteca. Alzando gli occhi potei notare delle vetrine, i pali ai lati, un bancone, e via dicendo.
Salite le scale a chiocciola e superate una miriade di stanze questo si fermò per aprirmi una porta. Ed entrai

«Siediti.» ‹E già il suo tono non mi piace.› mi disse col suo particolar accento marcato «Jhones.» calcò il mio cognome.

Mi ritrovai davanti un uomo più giovane di quel che potessi aspettarmi, ma sulla freddezza che emanava avevo perlomeno fatto centro.
Mi stava guardando col mento tirato all'insù e con le braccia ancora incrociate fra loro, cambiò posizione l'attimo dopo, mettendo i gomiti proprio sulla scrivania.
Mi stava studiando ed io stavo facendo lo stesso.

«Perchè un Jhones vorrebbe parlare con me?»
«E cosa fa un Russo in Messico?» ribattei.
Ivan rimase a guardarmi «Conosco bene i tuoi modi di fare, me ne hanno parlato inglese.» ‹Avevo ragione. Sono in contatto.› -mi dissi.-
«E quali sarebbero?»
«Non aver paura di niente. Voler piegare tutti.»
Lo volli analizzare a mia volta «Ivan Vakholav, il russo. So bene che anche tu non sei molto diverso da me.»
Si sporse in avanti, con fare minaccioso «Sono completamente diverso invece. Nei metodi, nelle strategie, e scelgo sempre con attenzione a chi non pestare i piedi per rimanere dove sono.» ‹Un vigliacco, in poche parole.› «Sono abbastanza furbo anche nel modo in cui non manco di rispetto a chi mi sta davanti arrivando in ritardo.»
«Non volevo fosse una mancanza di rispetto.»
Il russo serioso che mi si ritrovava davanti mi disse «Sei furbo. O almeno, fai finta di esserlo, sai raggirare perfettamente con le tue parole ma non è così che quì si va avanti.»
«È una specie di lezione?» domandai.
«Non avevo finito.» tuonò.
Io, con calma, dissi «Non–..» «Ti fermi quà davanti alla porta col tuo leccapiedi» ‹Nicolas, dice?› «a guardare il posto che io gestisco con ribrezzo e con fare altezzoso e poi osi anche parlarmi come se fossi un tuo pari? Non ci siamo proprio. Non hai capito bene come funzionano le conversazioni con me.»
Mi aveva stancato ‹Stai ca–..› ‹No.› «Le conversazione funzionano che io ti faccio una domanda e tu rispondi. Così vanno.»
«Sparisci dalla mia vista, Jhones.» fu autoritario.
Ma prima che potesse farmi alzare gli volli porre una domanda «Non hai mai avuto intenzione di avere davvero una conversazione con me, vero?» non mi rispose «Sembri anche odiare il mio nome.»
«Va'. Fuori-da-quì.»
‹Non ho intenzione di mollare.› «Ti ho posto in mezzo una bella domanda retorica.»
Si alzò dalla sedia, entrarono i suoi uomini «Non farti mai più vedere neanche per sbaglio quì a Durango e nei dintorni.»
Mi presero per la spalla «Ivan, aspe–..» «E non basterà rimandarmi quella tua puttana per far sì che io accetti di rivederti.» ‹Come l'ha chiamata?›
Mentre lottai per non farmi sbattere fuori gli urlai «So che stai aiutando mio fratello!»
Li fermò con un cenno della mano, venne verso di me, mi fu muso a muso «Non insudicerei mai la mia persona con un possibile accomunamento a voi Jhones.»

VIVERE NEL PERICOLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora