Capitolo 45: Evelyn

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Rimango imbambolata ancora per un secondo sul posto, osservando la santarellina sistemarsi i ciuffetti che le ricadono dalla coda, dietro le orecchie, palesemente in imbarazzo. 
Dio, quanto non sopporto questa situazione. 

Bè, di certo, non consentirò alla sua opprimente presenza di rovinarmi la serata. Dopo tutto, è Capodanno, che vuoi che me ne freghi di lei? Devo assolutamente mostrarmi noncurante. 
Trascino Ian prendendolo per il polso proprio a quel banchetto, mentre Anthea si guarda attorno, a disagio, come a voler sfuggire dalla situazione. No, carina, ormai ci sei dentro. 

Mi posiziono proprio di fronte a lei, sfoderando uno dei miei classici sorrisi, che la maggior parte dei ragazzi della Jacob's, definisce ''in grado di stregare chiunque''. 
Alzo il soppracciglio, incrociando le braccia, nell'attesa della sua imbarazzante reazione, mentre guardo Ian, che nel frattempo è impallidito. Sarà solo un attimo sconcertato, niente di più, mi costringo a pensare. Lui è qui con me, e vuole me... Non è così?

Dopo un periodo di tempo che pare un'eternità, la bambolina di fronte a me si riprende da quello che sembra essere un trance, ricomponendosi. 
Mi sorride, ora, senza tuttavia guardarmi negli occhi. «P-per due?», domanda, balbettando, mentre, con le mani in preda a degli evidenti spasmi angusti, versa il poco liquido rimasto in due bicchieri, porgendoceli, silenziosa.

Sbuffo in una silenziosa risatina, che mi obbligo a trattenere, prima di strapparle il bicchiere dalle mani, per poi darle le spalle, richiamando l'attenzione del mio accompagnatore, che nel frattempo rimane impalato sul posto.
  «Ian?!», scandisco meglio, con la voce leggermente incrinata, che all'istante tento di schiarire. 
Che mi prende? Una ventata di ansioso turbamento mi sconvolge completamente. 
Cosa troverà mai, in quella? Cosa sono, queste sue reazioni? 

Ian si volta verso di me, lo sguardo basso, fisso sul vuoto. Spento, esattamente come l'interruttore posizionato nel suo cervello scombussolato, dato che nell'ultimo periodo, sembra essersi completamente assentato da tutto. Non ha reazioni, non ride più, non mi stuzzica, con le classiche battute maliziose. E io non sono da meno, totalmente soffocata dalle situazioni dell'ultimo periodo. 

  «Grazie...», le sussurra, piantandola poi in asso, lasciandola con la bocca ancora leggermente schiusa dallo stupore, mentre io mi scopro a stringere più forte la pochette luccicante che tengo tra le mani. 

Mi raggiunge, poco dopo, scrutando attorno a lui. 
Un provvisorio palco, nell'ala destra della spaziosa palestra in parquet, è allestito con gli stessi festoni floreali dell'ingresso;  le luci sono puntate proprio al centro, dove gruppi di amici, o coppiette di fidanzati, si avvicinano, mettendosi in posa, pronti a farsi scattare una foto ricordo da uno dei ragazzi dello staff, che impugna una polaroid professionale. 
Osservo una ragazza dalla pelle scura, in un elaborato abito rosa cipria, schioccare un bacio sulla guancia del compagno, che nel frattempo sfodera un sorriso divertito, per poi essere illuminati dal flash della macchina, ed osservare interessati, una volta estratta la stampa, il risultato dello scatto.
Mi sorprendo a sorridere, alla vista dei due piccioncini, ripromettendomi che, prima del termine della serata, dovrò convincere Ian a partecipare. 

Do un'ultima occhiata ad Anthea, che nel frattempo è stata raggiunta dall'amica fidata... Sheyla, mi pare si chiami, che ci osserva con la coda dell'occhio, con il volto mortificato. 
Ne approfitto del momento, trascinando nella pista semivuota Ian, che, riluttante, si guarda attorno, imbarazzato. 
Scuoto i fianchi, vicino a lui, avvolgendogli il collo con le braccia, ciondolando a ritmo del lento che il dj ci propone ora. Mossa dopo mossa, Ian sembra sciogliersi lentamente, seguendomi con i passi. 
Sprofondo nella sua camicia, incapace di trattenere un sorriso, dovuto al suo palese impegno nel vedermi felice.
Alzo, poco dopo, lo sguardo, e lo ritrovo a fissare un punto della palestra a me incognito, che decido, dunque di seguire, con i miei occhi. 

Come non detto... Guarda lei. 
Devo resistere, non posso fare scenate, così torno a concentrarmi sul ballo, cacciando via le lacrime che iniziano a minacciare di comparire. 
I suoi occhi, subito dopo, incontrano i miei, e mi costringo a lasciare andare un sorriso forzato, che lui ricambia, nonostante la freddezza nei suoi occhi. E' glaciale. 

La voce del preside Forks ci interrompe, e la folla si avvicina all'imponente palcoscenico. 
  «Buonasera a tutti i presenti!», esclama il preside, impugnando un microfono, e posizionandosi proprio al centro del piazzale. 
Qualcuno, vicino all'ingresso, lancia un grido di incoraggiamento, seguito dalla moltitudine di presenti, mentre il Forks prosegue. 
 «Benvenuti all'evento di Capodanno della Jacob's, ragazzi... Vi auguro di passare una splendida serata!», grida, prima di congedarsi, lasciando il posto ad un gruppo di ragazzi, che si divincolano sul palco, intenti a mostrare i loro notevoli movimenti, in una fantasmagorica coreografia, illuminati solo da un paio di luci, sui toni del blu oceano. 

  «Balliamo!», grido ad Ian, riprendendo i miei movimenti, stavolta molto più veloci, che, imbarazzato, tenta di imitarmi, e devo ammettere che non se la cava affatto male, nonostante il suo insolito outfit, che lo rende leggermente impacciato. 

[...]

La serata risulta essere piacevole, dal momento che la passo quasi interamente a ciondolare in mezzo alla pista, circondata da persone che compiono movenze di ogni genere, da quelle più contenute, a quelle invece più sfrenate, sotto l'incitamento del dj. 

Rido come una pazza quando una figura maschile va a sbattere contro Ian, facendolo, per poco, precipitare sul pavimento. Il mio accompagnatore, da vero burbero quale è, lo spintona via, incurante dell'espressione mortificata del malcapitato, prima che io, con le lacrime agli occhi dal ridere, non lo trascini via con me. 

  «Quell'idiota... Se ti becco, ti smonto!», gli urla con quel suo classico tono arrogante, prima di farsi strada tra la folla, che lo osserva, sbalordita. 
Scuoto la testa, ma sorrido. 

Approfitto della vicinanza allo stand Fotografia, e lo conduco lì, preparando la mia espressione da cucciola, che solitamente funziona.
Lo guardo, sbattendo le palpebre, seguite dalle mie folte ciglia, in lenti movimenti. 
  «Non ci pensare nemmeno...», sbraita, con la fronte corrugata, spolverandosi le maniche bianche della camicia. 
Alzo gli occhi al cielo. «Eddai, ti prego Ian!», congiungo i palmi delle mani, facendo il labbruccio, vedendolo sciogliere sotto il mio sguardo, a poco a poco. Ci casca sempre. 
«Diamine, chi me l'ha fatto fare?», continua a brontolare, ma nel frattempo si appropinqua allo stand. Sorrido, vittoriosa. 

Veniamo accolte da un ragazzo con degli occhialini tondi ben piantati sul naso, che tenta di sorridere, ma è chiaro che qualcosa lo turba. 
«Solo un secondo...», ci intima con un sorriso forzato, prima di richiamare l'attenzione di qualcuno con uno schiocco di dita. 

Ma tu guarda, che fortuna... Anthea si avvicina lentamente, incerta, al collega, che inizia a tremare, sussurrando qualcosa nell'orecchio di lei.
Lei posa una mano sulla schiena di lui, come per rassicurarlo, per qualche strano motivo a noi ignoto, e percepisco Ian irrigidirsi all'istante. Bè, più di quanto già non fosse.

L'incaricato delle foto-ricordo si avvicina noi, palesemente imbarazzato. 
Le goccioline di sudore che gli tempestano la fronte. Ma che gli prende?
 «Non mangiate i voul au vent alla salsa di gamberi...», ci consiglia, prima di consegnare, lesto, la fotocamera ad Anthea, e precipitare via, sicuramente diretto al bagno, in preda a dei tremendi conati di vomito, che è evidente cerchi di trattenere. 

Anthea fa spallucce, più a disagio di noi, abbozzando un sorrisetto nervoso, invitandoci a sistemarci al centro dello stand. 
Posiziona la fotocamera sul cavalletto, soffermandosi con lo sguardo su Ian, un po' troppo a lungo per i miei gusti. 
  «Fate un bel sorriso...», si costringe a dire lei. 
Tuttavia, non l'ascolto. Devo assolutamente vedere la reazione di Ian, non posso lasciarmela sfuggire. 
La osserva estasiato, e mi domando cosa ci trovi in una ragazza completamente priva di trucco, che indossa una semplice t-shirt e un paio di pantaloni neri, e con una bonaria coda di cavallo. 

Con tutte le ragazze ben vestite che sono presenti alla festa, perchè lei? Perchè non io?

La luce del flash mi abbaglia...

La foto sbuca fuori dalla fessura della polaroid, mentre Anthea la acchiappa, agitandola nervosamente e soffiandoci sopra, e dopo un paio di minuti me la porge. 
  «Peccato...», annuncia lei, rivolgendosi a me. «E' uscita leggermente sfocata, ma trovo che sia comunque carina.»

Sono ancora intontita da quanto appena avvenuto. 
Il cuore che minaccia di squarciarmi il petto, la mente completamente svuotata... Inizio a domandarmi cosa cavolo ci faccio io qui, con una persona che nonostante mi guardi, nonostante sia qui con me, in realtà pensi solamente ad un'altra. A lei.

Tengo stretta la fotografia tra le dita, osservando la mia espressione sconvolta nello scoprire la sua, completamente ammaliata dalla figura di fronte a noi. Le guance arrossate, le labbra schiuse, gli occhi più luminosi che io abbia mai visto, su quel volto sempre aggrottato. 

  «Se volete, posso scattarvene un'altra...». propone lei. 

Scuoto la testa, sorridendo sinceramente. «No, va benissimo.», la informo, voltandomi poi verso il mio accompagnatore, che nemmeno ora, si decide a toglierle gli occhi di dosso. 

  «Vado... Vado un attimo in bagno», balbetto, prima che lui annuisca. 

[...]

Ho mentito, sì, mi trovo sulla strada per tornare a casa. I piedi indolenziti, per via dei tacchi vertiginosi, il vestito ingombrante, che limita i miei movimenti. 
Non avrei resistito un secondo di più. Ho dovuto andarmene, codarda come sono.
Chi sono io, per impedirgli di amare chi vuole? Nessuno, non ne ho il diritto. 
Ian vuole lei, è chiaro, e io non mi metterò di certo in mezzo. Non quando si tratta di lui, non quando si tratta dell'unico ragazzo disponibile a starmi accanto, anche quando le mie care amiche si inventano altri progetti, pur di evitare me, la lagnosa ragazza dalla madre malata. 

Mi precipito in casa, accolta da mio padre, che sbalordito mi domanda: «Come mai già di ritorno?». 
Tuttavia, quella domanda sarà destinata a non ricevere risposta, dal momento che se dovessi aprire bocca, scoppierei in una valanga di lacrime. 

Mi catapulto su per le scale, schiudendo la porta della camera di mamma. 
Mi stendo delicatamente accanto a lei. Gli occhi chiusi, apparentemente rilassata, come per prendersi una pausa dalle estenuanti giornate dolorose che è costretta a vivere. 
Osservo la sveglia, proprio di fianco a me, sul comodino. 00:00. 

 «Felice anno nuovo, mamma...», le sussurro in un orecchio, accarezzandole i folti capelli rossi, prima di lasciar andare una lacrima salata, che scende giù lungo la mia guancia, per poi sprofondare proprio sulla spalla di lei. 















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