Capitolo 35

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Al di fuori di quella stramaledetta stanza, Sheyla, in fondo al corridoio, si accorge della mia presenza. 
La sua espressione muta in un lampo, da quella di sorpresa a quella di tensione, preoccupazione, nell'individuare la mia, evidentemente in preda al panico. 
Quali spiegazione posso darle? Come posso dirle, con estrema naturalezza, che il suo ragazzo ha tentato di mettermi le mani addosso? Come potrebbe prenderla? 

  «Cosa... Cos'è successo?», domanda balbettando. 
Tengo la testa china, osservando il pavimento... Non ho intenzione di incontrare i suoi occhi chiari.
Lei mi oltrepassa con lo sguardo, scorgendo il suo ragazzo quasi esanime, a terra, all'interno della stanza.
Presumo che lei intuisca qualcosa, quando si porta le mani alla bocca, con un'espressione difficile da decifrare. Sorpresa? Delusa? Probabilmente entrambe. 
Mi lascio sfuggire un'altra lacrima, quando vedo le sue iniziare a scenderle giù lungo le guance.
  «Mi sta chiedendo di Ian, la porto da lui», si intromette Ethan, serio, rivolgendosi a Sheyla. 
Annuisce, come se fosse l'unica cosa in grado di fare in quel momento. E' completamente scossa, sottosopra, e al pensiero mi si stringe il cuore. 
Ethan mi tiene stretta per le spalle per tutto il tempo. Lungo le scale, in mezzo alla folla del piano di sotto, nel parcheggio fuori dalla casa di Travis. 
Il pensiero di quel ragazzo che mi tocca mi fa venire la nausea, e mi costringo a non pensarci, stringendo gli occhi e premendomi le tempie. 
Mi fa accomodare sul sedile del passeggero della sua Alfa Romeo grigia, e dopo essersi assicurato che io stia bene, da gas. 
Non so nemmeno cosa io stia facendo. Perchè stiamo andando da Ian? Perchè sento il bisogno di andare da lui? Probabilmente mi prenderà in giro, dicendomi che sono un'idiota, che non so cavarmela da sola. Eppure non mi importa, perchè ora come ora voglio solo sentirmi stretta tra le sue braccia, sentirmi dire che va tutto bene, che lui è e sarà lì per me. Che tra noi è ancora tutto esattamente come prima. E' inutile mentire a sè stessi, io ci spero ancora. 
Ethan guida in silenzio, osservandomi di tanto in tanto. Io mi limito ad osservare fuori dal finestrino la mia cittadina buia, tornando continuamente con la mente a quegli attimi di smarrimento, di paura, di tensione. Gli occhi colmi di lacrime, che mi rifiuto di lasciare andare. 
Dal mio trasferimento, sembra che niente vada per il verso giusto... Proprio quando mi sembra che le cose stiano per migliorare, quando credo di fare un passo avanti, ecco che, come per magia, le circostanze me ne fanno fare tre indietro. 
Un fiocco di neve si schianta contro il finestrino, seguito poi da un altro, e un altro ancora. 
 «Nevica...», informo il conducente, con la voce strozzata. 
Lui annuisce, con un sorriso tirato. Ed ecco che il silenzio ritorna, più assordante di prima. 
Ci fermiamo in un quartiere costernato da piccole case... Dopo di che, Ethan, mi indica una casetta in mattoni rossi sulla destra, non molto grande, ma comunque graziosa. 
 «Ti accompagno fin lì, poi me ne vado.», mi informa, semplicemente. 
Ci dirigiamo verso il vialetto di quella casa, illuminati solo da un lampione malandato. Non ho idea del perchè io mi trovi qui, e inizio a pentirmi della mia stessa decisione...
 Spero, perlomeno, sia lui ad aprirmi, perchè trovarmi davanti ai suoi genitori, in uno stato così pietoso, non mi pare proprio il caso, e a quest'ora della notte, tutt'al più. 
Mi volto per un attimo verso Ethan. Sui capelli chiarissimi si sono posati dei candidi fiocchetti di neve, che mettono in risalto ancora di più il chiarore dei suoi occhi limpidi. 
  «Grazie, grazie davvero...», gli sussurro, tutto d'un fiato, prima di bussare.
Lui mi guarda, con quell'espressione di apprensione così sincera. O meglio, che mi è sempre sembrata sincera. Ho come l'impressione che lo sia. 
Attendiamo per un paio di minuti, provando a bussare ancora una volta in maniera più decisa, e proprio quando sto per arrendermi, facendo retrofront, la porta si schiude. 
 «Sì?», una voce femminile viene da dietro di me. Sobbalzo. 
Mi volto di scatto, e mi ritrovo davanti una graziosa ragazza sulla ventina. Ha dei grandi occhi verdi, e dei lunghi capelli mossi che le incoronano il pallido visino. Indossa un pigiama rosso.
Nell'esatto momento in cui ci scorge sulla soglia, sbianca in viso, e sbarra gli occhi, sorpresa, quasi in maniera negativa. 
Non capisco il motivo di tale reazione, e proprio quando sto per aprire bocca, nel tentativo di dire qualcosa, o più probabilmente di giustificarmi in qualche maniera, la porta si spalanca. 
Compare ora Ian, dietro la misteriosa ragazza, con indosso solo un paio di pantaloncini, da cui si intravedono i boxer neri. Con il torso nudo, si sfrega le braccia per il freddo, prima di accorgersi di noi. 
Ora sono io a sbiancare. Un'ondata di delusione mi scuote dalla cima della mia testa, alle dita dei piedi. 
  «Oh, scu... scusate», riesco a dire, mettendo entrambe le mani avanti. 
Ian, osservandomi negli occhi gonfi, riesce come a captare qualcosa, e si precipita poi addosso ad Ethan, prendendolo per il colletto della camicia. 
  «Cosa le hai fatto?», urla, mentre la ragazza, ancora sulla soglia, abbassa lo sguardo. 
Mi infilo tra i ragazzi, spingendo via Ian.   «Niente, niente Ian! Lui... mi ha solo aiutata», urlo a mia volta. 
Lui torna a concentrasi su di me, con lo sguardo perso, chiaramente confuso. «Aiutata?», mi domanda, senza togliermi gli occhi di dosso. Annuisco. 
  «Io... io me ne vado», fa Ethan, sussurrando, tenendo la testa china, come a voler nascondersi da qualcosa. Ian annuisce, prendendomi sotto braccio, nel tentativo di portarmi dentro. 
Stavolta quella ad essere confusa sono io, dal momento che vuole che entri a casa sua in presenza di una ragazza, che probabilmente si è appena portata a letto, tuttavia mi faccio strada, seguendolo, e non appena metto piede dentro, un odore familiare mi pervade le narici. L'odore di Ian. 
Ci dirigiamo nell'ala sinistra della casa, entrando in un'accogliente cucinetta. 
Mi costringe a sedermi su una delle sedie bianco latte, mentre la ragazza si offre di prepararci del tè. 
La situazione è decisamente imbarazzante, ma accetto, sorridendole. Sembra così gentile...
Ian si siede accanto a me, indicando la ragazza. «Lei... lei è Megan, mia sorella». 
Non posso crederci, mi si forma un groppo in gola. 







  





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