Intro

10.2K 335 55
                                    

Luke Hemmings, come quasi ogni sera d'altronde, era chiuso nell'armadio di camera sua. Aveva in mano un aereoplanino di carta che gli aveva costruito suo fratello e lo faceva svolazzare di fronte al suo naso imitando con la bocca il rumore del motore.

Brum, Brum!, diceva, mentre le urla dei suoi genitori giungevano dalla stanza accanto, la cucina. Un rumore secco, acuto, un piatto rotto. Bene; stavano cominciando a lanciarsi roba, questo significava essere a metà della litigata.

Come molte sere al mese, litigavano per sciocchezze. Non volevano divorziare, non potevano. Nessun altro avrebbe "accettato" individui del genere.

Lei era una moglie pessima e lui un marito senza speranza, si meritavano.

«Jaden, fila in camera tua!» urlò la donna al sedicenne, che stava tranquillo sul divano a guardare video dal telefono. Video porno, per precisare. Ma per un ragazzo della sua età, a Sydney, era normale.

Bloccò il cellulare ed entrò nella stanza buia, illuminata appena da un piccolo e debole raggio di luna. Si intrufolò nell'armadio, di fronte ai piedi del fratellino e sigillò bene le ante, anche se le urla continuavano a tormentare le loro orecchie.

«Vedo che è ancora intatto, l'aereoplanino,» disse sorridendo. Doveva essere forte, per Luke.

Il bambino annuì. Jaden si sporse verso di lui e gli baciò la nuca, coperta da lunghi capelli biondi.

Adorava il fratellino, era come un figlio per lui, molto protettivo nei suoi confronti. Per questo odiava i suoi genitori. Per colpa loro, Luke stava crescendo chiuso in se stesso, si apriva solo ai libri, loro si aprivano a lui.

Amava i libri di avventura, quelli d'amore e i fantasy. Rubava i libri dalla libreria del padre, oppure li affittava dalla biblioteca comunale, ma i suoi genitori non volevano che ne comprasse di suoi. Non chiedetemi il perché, io sono solo una narratrice da due soldi, non entro nella testa di genitori strambi.

I genitori, per categoria, non li sopporto. Ma i genitori di Luke, proprio li odio.

Quel giorno la litigata durò più del solito. Litigarono per i voti di Jaden a scuola, oggettivamente alti, ma non abbastanza per loro; litigarono perché a cena aveva sparecchiato e cucinato e apparecchiato solo la madre; litigarono per il modo che aveva Luke di aprirsi al mondo, in pratica proprio non si apriva al mondo; insomma, litigavano sempre.

Durante il momento più cloo della litigata, Jadee (preferiva essere chiamato così, ma Luke lo

chiamava sempre JJ) prese tra le braccia il piccolo, che per avere otto anni era davvero molto piccolo costituzionalmente, lo strinse forte e gli coprì le orecchie con le mani.

Non piangeva mai, Luke. Non sorrideva, non si esprimeva. Teneva tutto dentro.

«Domani mattina vuoi andare allo zoo?», gli chiese il fratello maggiore. «Invitiamo anche Ashton!» aggiunse per spronarlo.

Luke annuì, nelle sue orecchie giungeva solo il suono ovattato delle urla. Poi si addormentò, fra le braccia del più grande.

Ashton era un bambino di dieci anni, molto panciuto. Non si distingueva la coscia dalla caviglia, così come dalla spalla al polso era un tubo di ciccia molto coerente.

Aveva i capelli a scodella, biondo scuro e gli occhi verdastri.

Nonostante la ciccia, era piuttosto forzuto. Lui e Luke si erano conosciuti proprio mentre una coppia di bulletti di quarta elementare gli stavano strappando le pagine del dizionario (quando non aveva nulla da leggere, Luke leggeva il dizionario). Ash lo difese con denti e unghie, così diventarono molto amici e accordarono una specie di contratto: Luke era suo amico e leggeva ad alta voce per lui e Ash era suo amico e lo difendeva dai più grandi.

In qualche modo, quell'accordo servì a farli legare.

ConnectDove le storie prendono vita. Scoprilo ora