Epilogo

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Era tutto così doloroso, in quella casa. Aveva deciso ormai da tempo di andarsene e finalmente era arrivato il momento giusto.

Ormai aveva 16 anni, l'età giusta per abbandonare tutto e ricominciare una nuova vita.
Luke mise un piede nel suo nuovo appartamento, piccolo e accogliente, ancora pieno di scatoloni. Uscì in giardino, dove ad aspettarlo c'era un ragazzo alto, capelli biondo sporco e fossette incavate. Era cresciuto davvero tanto ed era molto più magro. Luke ci mise un po' a riconoscerlo.

«Ciao» disse.

«Che ci fai qui?» ringhiò Luke, stringendo i pugni. Era un anno che non lo considerava, nè a scuola, nè se lo incontrava per caso. Faceva parte del suo passato, quel misero diciottenne. Non valeva più nulla e con sè aveva portato tutto ciò che Luke era stato.

«Credevo saresti stato felice di vedermi...» Sentì la voce spezzarsi, si zittì.

«Vattene, Ashton! Non c'è nulla per te, qui!»

«Sei il mio migliore amico... Eri. Io ti voglio ancora bene. »

«Cristo, cresci. Cosa farai in futuro, eh? Ti affiderai a persone più sfigate di te per crearti una famiglia?»

«Tu... Tu parli di famiglia? Tu non sai nemmeno che cos'è una famiglia!» Il suo viso era tutto rosso, come da piccolo, quando si imbarazzava per il suo peso.

«Vattene o ti spezzo le ossa» disse Luke, mentre una rabbia incontrollabile si impadroniva di lui. Non faceva altro che pensare a quanto gli mancasse Jadee da diversi anni e il tempo non aveva ancora cancellato il dolore.

Ashton se ne andò, le mani in tasca e la nuca chinata è da allora non si rividero più. Era strano, vederlo così, ma non insolito. L'espressione da cane ferito era ormai un cliché sul volto di Ashton. Luke non sorrise e non pianse, si rigirò e tornò nella sua dimora, mentre un nuovo demone si impadroniva di lui. Poteva sentire il suo odore, di acre delusione. Prigioniero di se stesso.

Passò un'altra stagione e l'inverno bussò anche alle sue porte. Luke aveva trovato lavoro in un bar, era ben pagato e senza problemi riusciva a mentenersi in pari con l'affitto. Il suo aspetto era migliorato, decisamente più sexy e attraente. Vestiva scuro, ma i capelli biondi spiccavano da quelle tenebre in un ciuffo alto, così come gli occhi azzurri guazzavano vuoti fra le ragazze che gli facevano la corte, più di quante si aspettasse, ma meno di quante avesse bisogno. Cominciò a trattare con il sesso, usare quelle prede facili come se non avessero sentimenti. Illudere fino a ucciderle. Gli piacevano le loro espressioni di puro piacere durante un orgasmo, così come amava vederle annegare nel dolore.

In giorni che sembravano come tanti, strane figure cominciarono ad apparire nel suo locare: un accogliente bar con poltrone, divanetti di pelle e tavolini da tè in vetro o marmo. Le aveva notate fin da subito, davvero insolite in quel posto di classe, vestite di pelle nera e jeans strappati.

Sedevano a un tavolo, non ordinavano nulla, lo osservavano per un po', parlottavano e poi sparivano così com'erano apparse.
Fu quando uscì quella sera per una passeggiata al chiaro di luna che la sua vita prese una strada parallela, più divertente e adrenalinica.

Lo raggiunse al centro della strada vuota un ragazzo dai capelli di un colore indefinito tra l'azzurro e il bianco, con sfumature gialle per il colore dei lampioni e si presentò con una tale nonchalanche che Luke ne rimase affascinato.

«Sono Micheal Clifford» articolò lo sconosciuto con un sorriso sghembo.

«Wow» esclamò sarcastico Luke, ma anche lui sorrise. Per la prima volta dopo anni si sentiva a suo agio.

Si fermarono di colpo, in mezzo alla strada vuota e ben illuminata così che Luke poté osservare le sfumature grigiastre delle sue pupille, le vene rosso sangue dei suoi occhi e la pelle pallida come la neve. Poi parlò: «Ti osservo da un po'».

«Lo so.»

«Partecipa allo Yell» disse d'un fiato. Luke rispose con un'occhiata confusa, ma lui riprese, dandogli una pacca sulla spalla. «È una corsa motociclistica annuale. Amico, ci divertiamo!»

Luke si scrollò dalla sua presa sulla spalla e con le mani in tasca cambiò direzione, mentre il ragazzo restava in attesa di una risposta. «Non so guidare una moto.»

«Ti posso insegnare. Si vincono donne, Hemmings. Sesso e droga.»

A quelle parole, Luke si fermò e sorrise tra sè e sè, mentre la lingua si divertiva con il suo piercing. In fondo, non sarebbe stato nulla di male.

«Ci si vede.» Riprese a camminare, sull'asfalto nero e bagnato dalla pioggia di quel pomeriggio.

E si rividero.

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