La proposta

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Il cimitero era ormai vuoto. Anche i suoi genitori se n'erano andati e il bambino era lì, in piedi di fronte alla lapide, le mani in tasca e lo sguardo vuoto.

Sentì una mano sulla spalla e si voltò veloce. Era Lara, con i suoi capelli biondi raccolti in uno chignon e il tailleur nero tutto attillato. «Luke, so che stai soffrendo molto» disse.

«Sei molto scaltra, devo dire.» La sua voce era carica di sarcasmo, dovuto al dolore e al cuore che probabilmente non avrebbe più provato pena o compassione.

«Non avercela con me.»

Il silenzio li avvolse a lungo. Il gracchiare dei corvi invadeva le loro orecchie, Luke nemmeno più vedeva la lapide. Guardava oltre, se c'era un oltre, e si chiedeva dov'era suo fratello. Sperò in un Dopo, qualunque esso fosse e sperò che fosse bello.

Sperò di raggiungerlo presto.

«Cassie ed io partiamo domani» disse infine.

«Dove andate, quando tornate?» chiese velocissimo Luke, quasi in preda al panico e si girò a fissarla. A penetrarla con lo sguardo nelle viscere dei suoi pensieri.

«Non torneremo, Luke.» Si chinò e gli stampò un bacio sulla guancia. «Non ho motivo di restare, ormai» ammise.

«Ma lei sì! Cassie ce l'ha, un motivo!» urlò il bambino. Dentro di lui, qualcos'altro prese a sgretolarsi. L'aria non arrivava ai polmoni e la gola gli bruciava.

«Lei è d'accordo con me. Dopo ciò che è successo non crede di essere la persona adatta per starti vicino. Dopo che Jadee ci ha lasciati, io non posso rimanere qui un secondo di più. Non lo sopporto.» Abbassò la testa sui propri piedi e poggiò una mano sulla nuca di Luke a spettinargli i capelli.

Si allontanò, poi si fermò quando Luke disse un'ultima frase, dopo la quale sapeva non avrebbe mai più visto Lara, nè Cassie. Ma lei doveva saperlo.

«Si chiamava Jaden.»

***

La collinetta sulla quale c'era la lapide 'Jaden Hemmings' era deserta. Un paio di lapidi più in là e un bambino al centro, erba verdissima e nient'altro.

E così, pensò, non avrebbe più rivisto Cassie. Se n'era andata, scivolata dalle sue braccia e in un attimo risentì la pressione delle sue dita sulla propria pelle. La bambina bionda, con quegli occhi dentro cui poteva vedere ogni sfumatura di quello che era. Si rese conto di essersi innamorato di lei, così come ci si addormenta: piano piano e poi tutto in una volta.

Eppure come aveva fatto a perdere l'occasione di accorgersene? Perchè aveva avuto così paura a pensare anche solo ad un momento ai sentimenti che provava per lei? Paura. È questo che si prova quando si ha paura: ti senti paralizzato, ti tieni lontano da tutto ciò che può rovinare la tua routine.

Era ancora lì, dopo tutto. Seduto di fronte ad un mucchietto di terra ed una lastra di pietra del colore della ghiaia al sole, sotto la quale giaceva tutto ciò che restava di lui.

Non era come prima, che sentiva il suo cuore in frantumi. Ora sentiva qualcos'altro spingere sulle spalle e accentuare la sua postura gobba.

Gli era caduto il mondo addosso e lui non era abbastanza forte per impedirlo.

Si girò guardigno quando sentì dei passi sulla terra umida.

«Ci sono passato anche io.» Era un bambino poco più alto di lui, i capelli neri come la pece gli ricadevano sugli occhi di cui non sarebbe riuscito a definirne i colori. Verdi? Marroni? «Mi chiamo Michael, siamo in classe insieme, ti ricordi di me?»

Luke annuì, ma non era vero che si ricordava di lui. Si alzò da terra e lo fissò, le mani strette in due pugni scheletrici nelle tasche.

«Clifford.» E allora ricordò. Ricordò quando Michael lo guardava altezzoso nei corridoi, quando lo minacciava facendo sbattere un pugno contro l'altro da una parte all'altra dell'aula, quando Ashton non poteva vederlo.

Era il peggior nemico di Ashton, troppa paura di lui per affrontarlo da solo, troppo orgoglio per ordinare a qualche bullo di farlo fuori al posto suo. Michael Clifford, un nome che non aveva avuto mai un volto nella testa di Luke... fino ad allora.

«Ho perso tutto, proprio come te. Immagino che tu ora voglia entrare a far parte del mio gruppo.» La voce roca era impressionante per un bambino così piccolo. Forse era stato bocciato ed era più grande di quanto pensava.

«Ci penserò» disse con una voce decisa e ostile. «Che mi dici di Ashton?»

«Se vieni con me, i miei nemici saranno i tuoi nemici. I miei amici saranno i tuoi amici.»

Fama, popolarità. Nessun bullo dietro l'angolo pronto a pestarlo. Si sentiva come se gli avessero appena offerto un piatto di caramelle alla ciliegia, le sue preferite. Nella mensa, avrebbe avuto un tavolo pieno di amici con cui sedersi e parlare. Giocare a Yu-Gi-Oh o ai Pokèmon. Tutti avrebbero voluto giocare con lui.

Poi balenò nella sua mente un bambino un po' ciccione, seduto da solo ad un tavolo circolare, con un libro in mano mentre cercava di leggerlo con la sua stessa intonazione, quella di Luke.

Immaginò che avrebbe dovuto pestarlo per conto di Michael. Ecco per cosa lo voleva: fare fuori il suo più grande nemico.

Infine, immaginò il volto addolorato di JJ se lui avesse accettato tutto questo e così la risposta risuonò nei suoi pensieri chiara e semplice, ma non abbastanza per essere messa in atto. Prese coraggio, inspirò ed espirò. Lo guardò, in quegli occhi incredibilmente misteriosi, le labbra ridotte ad una linea sottile in attesta di una risposta.

«Allora?» chiese, impaziente.

Luke prese coraggio, con una rapidità che non sapeva di avere, colpì la mascella di Michael che si ritrovò a terra con una mano sul volto. Gli scagliò un calcio bello stomaco e poco prima di andarsene gli mormorò:

«Allora no.»

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