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Anna

Aurora mi ha fatto male.
Non la credevo capace di fare una cosa del genere, e invece l'ha fatto.
Mi ha sbattuto addosso al frigorifero con una forza tale da far crollare non solo il mio corpo, ma anche tutte le mie certezze.
E l'unica certezza che avevo era che, nonostante tutto, lei non mi avrebbe mai fatto del male.
Fisicamente perlomeno.
E si sa che quando cominci poi ci prendi gusto a far male agli altri.
Ma santo cielo Aurora, devi smetterla.
Devi farla finita perché io tra poco non riuscirò più a sopportare nulla, e a quel punto anche il rumore di uno spillo che cade mi darà fastidio.
Spiegami ora che senso aveva accusarmi del fatto che Luca fosse andato con Marina. L'altro ieri era con Samanta, e credo che la settimana scorsa un'ora dopo aver fatto "l'amore" - come dici tu - con te siaa ndato con un'altra.
È fatto così, e non era certo compito mio avvisarti.
Mi avresti picchiata.
Come ora.
Mi rimetto in piedi aggrappandomi al bancone in granito della cucina e mi passo la mano sulla testa un po' dolorante.
Anche la schiena mi fa male, ma niente in confronto al mio cuore.
Esco come una furia dalla cucina e, nel raggiungere il corridoio, scaravento a terra un vaso blu cobalto pieno soltanto di aria e polvere, una statuetta egizia riportata da uno dei tanti viaggi di nonno e il posacenere, quello di cristallo.
Tanto qui nessuno fuma, mi giustifico nella mente.
Lo facciamo fuori, l'una convinta di nasconderlo all'altra.
Ci costruiamo la tana dietro nuvole grigie nella speranza che una di quelle, prima o poi, sarà il nostro ultimo respiro.
E noi vogliamo vederlo quell'ultimo respiro, vogliamo vederlo per buttarci dentro, prima di andarcene, tutta la merda e lo schifo che ci siamo tenute addosso per tutti questi anni.
Aurora, spaventata dal rumore dei vetri infranti, si lancia come una saetta in corridoio, appena in tempo per vedermi sfrecciare accanto a lei, raggiungere il salotto e rompere tutto ciò che mi capita sottomano.
È tutto completamente rosso, non so se per la rabbia o per il sangue, brucia tutto, bruciano tutte le cose e io brucio con loro.
E distruggo.
Distruggo tutto.
La cornice della mia prima comunione, il pesce di cristallo dell'isola d'Elba, lo zoccolo olandese e la statuetta della Torre Eiffel parigina.
Afferro una riproduzione in scala del Big Ben e altri piccoli monumenti di Londra quando Aurora, di scatto, mi afferra la mano.
-Fottiti- sussurro tra i denti, ma lei lo sente e d'impulso mi tira uno schiaffo, pentendosene subito dopo.
Aurora.
Perché l'hai fatto di nuovo?
Ti guardo e mi dispiace di non riuscire a buttarti addosso tutto l'odio che provo in questo momento.
Urlo.
Urlo e squarcio il silenzio.
E tu mi stringi la mano e urli con me.
Forte, straziato, assurdo, desolato.
Ho gli occhi chiusi e non ti vedo, ma so che sei praticamente nella mia stessa posizione.
E non so spiegare come ho fatto a trovarmi, pochi secondi dopo, abbracciata a te.
-Aurora, mi stai facendo del male- le dico e lei tira su col naso.
-Scusa– sussurra a labbra strette come se nessuno dovesse sentirla.
Ma il dolore è ancora troppo vivo e io non riesco a perdonarla.
Così mi stacco da lei e me ne vado in camera, tirando poi fuori da sotto il letto la mia valigia nera.
Domani parto, Aurora.
Ho deciso.
Parto, così finalmente te la smetterai di rompermi le scatole e di sfogarti su di me.
Parto, perché starti lontana forse è l'unico modo per rimanere viva.
La testa ancora mi fa male, Aurora, non è stata una botta leggera.
Comincio a prendere vestiti a caso e a buttarli dentro la valigia evitando di pensare a mia sorella e a quanto lei mi abbia ucciso stavolta.
Qualche pantalone, magliette e felpe, nulla di troppo pesante che ancora non è neanche ottobre e si sta bene.
Mi metto al computer e in poco tempo prenoto un biglietto sulla FrecciaBianca per Roma ringraziando il giorno in cui Aurora ha deciso di regalarmi una carta con cui pagare gli acquisti fatti su internet.
È domenica e sono solo le undici della mattina, ma oggi pomeriggio ho le prove di danza presto e forse è meglio che cominci a preparare le cose da portare a lezione.
A metà del mese prossimo balleremo ad una manifestazione e così ogni weekend la nostra insegnante ci piazza sempre qualche prova.
Tutte che si lamentano, ma a me fa comodo.
Fa comodo perché meno tempo sto con Aurora, meglio mi sento.
Non so se fisicamente reggerò le prove di oggi, il dolore è ancora abbastanza intenso, ma di certo non rimarrò a casa.
Sistemo il body e le scarpette nella mia borsa nera e poi mi perdo per un paio d'ore a immaginare un itinerario in giro per Roma.
Mi risveglio dal mio stato di trance solo quando sento bussare alla porta.
-Chi è?
Domanda inutile, in questa casa viviamo solo io e Aurora, e se non è zuppa è pan bagnato.
-Posso entrare?
Aurora fa capolino dalla porta e io la fisso, e non so se il mio sguardo dice 'entra pure' o 'sta alla larga'.
Sospira ma alla fine entra, richiudendo la porta dietro di sé.
-Potevi anche lasciarla aperta, non c'è nessuno in casa! - sputo fredda, cercando di essere il più distaccata possibile da lei che nel frattempo si è seduta ai piedi del letto sul quale io sono sdraiata.
-Credo che sia proprio questo il problema.
La guardo interrogativa aspettando che prosegua, ma lei resta in silenzio persa probabilmente in qualche ricordo.
-Ovvero?- domando alla fine spazientita.
-Ovvero non funziona così, non funziona più. Io e te non funzioniamo.
Nulla di nuovo, me l'aspettavo, io e lei non abbiamo mai funzionato.
Siamo un po' come quelle calamite, che più le avvicini più loro si respingono, si attaccano solo se giri una delle due dalla parte opposta, ma qui né io né lei abbiam voglia di cambiare.
-Mi sono presa una responsabilità troppo grande, come ho potuto credere di poterti crescere? Dovevi restare con la zia.
Non sa quello che dice, non lo sa.
Siamo stati anni con la zia, la sorella di mamma, e l'abbiamo odiata talmente tanto che non abbiamo neanche più avuto la forza di odiarci a vicenda io e lei.
Quando la mamma è morta eravamo ancora un po' ingenue io e Aurora, ma lei mi aveva fatto una promessa assicurandomi che avrebbe preso il mio affidamento appena compiuti i diciotto anni.
Il giudice non aveva fatto obiezione quando aveva notato i segni dei lividi sul mio corpo e i tagli sui miei polsi.
Già, mia zia mi picchiava e io mi tagliavo, e detta così sembra quasi una barzelletta.
Che brutta abitudine, quella di entrambe.
Da quando vivo con Aurora i lividi sono scomparsi e i tagli aumentati.
Non lo so se lei lo sa, l'unica cosa che so è che non mi interessa saperlo.
Pensieri contorti, giri di parole. Ne vado matta perché sono l'unica a poterli capire, gli altri ci impiegherebbero una vita e mezza.
-Aurora ma che cazzo stai dicendo?
-Quello che penso. E ora vieni a mangiare che è pronto.
Si aza come uno zombie ed esce dalla mia camera come fosse radio-telecomandata.
Pensavo che questa conversazione sarebbe finita con un abbraccio e che mi avrebbe fatto rimpiangere di aver buttato i soldi per il biglietto di Roma, ma a esser sincera l'unica cosa che mi ha fatto rimpiangere è di non averlo prenotato prima.

-Anna, ancora? - sussurra la mia insegnante fissandomi i polsi fasciati.
Seduta a terra nella sala di danza fletto e stendo le punte dei piedi per scaldare le caviglie in attesa che le mie compagne arrivino per cominciare le prove.
-Non l'ho fatto apposta, te lo giuro...
-Io non so più che devo fare con te – dice lei avvicinandosi e sedendosi vicino a me.
-A quanto pare non lo sa più neanche Aurora – sussurro più rivolta a me che a lei.
-Che vuoi dire?
Le mie compagne entrano in sala salutando e chiacchierando e mi salvano dal dover rispondere.
La lezione passa piuttosto velocemente, la coreografia comincia a venirci davvero bene e Michela, la nostra insegnante, è molto soddisfatta.
Rimango ad allungare i muscoli qualche minuto in sala per poi raggiungere lo spogliatoio e cambiarmi.
Sono le cinque e mezza di pomeriggio e il cielo è ancora chiaro, così decido di tornarmene a piedi evitando l'interrogatorio che sarebbe sicuramente avvenuto se mi fossi fatta riaccompagnare a casa da Michela.
Prima di andarmene l'ho avvisata che avrei saltato un paio di lezioni, e anche se lei non mi è sembrata per niente contenta non mi ha fatto nessuna domanda. Sa bene quando ho voglia di parlare e quando no.
Tornata a casa Aurora non c'è, ed è un bene, 'ché non ho voglia di vederla.
Dopo essermi fatta una doccia sistemo le ultime cose per il viaggio e nascondo tutto sotto il letto, poi mi preparo un tè caldo che sorseggio leggendo un libro prima di addormentarmi ad un orario abbastanza insolito per me che sono abituata ad andare a dormire tardissimo.
Non è il sonno, è solo che non vedo l'ora che arrivi domani, sono eccitata come i bambini il giorno di Natale.
E per me che il Natale non esiste più da tempo va bene così, ripiegare su qualcosa di assurdo come una piccola e stupida fuga.
Ma è ciò che mi serve per sentirmi viva, per sentire che ci sono, che esisto, che vivo, che respiro, che non sono morta.
Per ora.

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