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Aurora

È un giovedì come un altro, la sveglia suona e io scaravento il cellulare giù dal comodino.
Grazie mamma per aver messo la moquette in camera mia, o si sarebbe frantumato lo schermo.
Mi rigiro nel letto un paio di volte prima di stiracchiarmi e disfarmi delle coperte per alzarmi.
Infilo le ciabatte, un paio di infradito viola che tanto ancora è caldo, e vado diretta in camera di Anna.
Non è tornata, neanche stavolta.
È partita lunedì, la sua valigia non c'è più sotto il suo letto e sul suo computer ho trovato la prenotazione di un biglietto per Roma.
Se fosse stata stupida l'avrebbe cancellata.
E invece no, lei non è affatto stupida, e l'ha lasciata lì apposta, sullo schermo, in bella vista, fingendo una dimenticanza in realtà programmata.
Il tutto allo scopo di farmi sentire in colpa.
C'è riuscita, per un attimo stavo anche per andarla a prendere a Roma.
Poi la parte buona di me ha pensato che magari ha bisogno di un po' di tempo per stare da sola, quella malvagia che se n'è voluta andare e adesso se la cava da sola.
In entrambi i casi la decisione finale era quella di non partire.
Non so se questo mi renda una cattiva persona, so solo che è dannatamente difficile prendere la decisione giusta.
Se poi si tratta di Anna è pressoché impossibile.
Dedico una mezz'oretta a sistemare un po' la casa e poi mi preparo un tè caldo.
Rigorosamente senza zucchero.
Anna dentro ci mette il miele, io niente.
Anna.
Non ho la più pallida idea di cosa stia facendo in questo momento, ma so per certo che non ha dormito molto.
Nessuna di noi dorme molto, forse dovremmo farci prescrivere delle gocce, o forse ci va bene così.
Siamo animali notturni noi, a metà tra pipistrelli e vampiri, nottole in caverna, gufi sui rami, bisce sotto sassi che han perso la concezione del tempo.
Che poi, a ragionarci un minuto, cos'è il tempo?
Non mi rispondo neanche, che stamattina voglia di impegnarmi non ne ho, e svio i pensieri verso l'imminente verifica di inglese.
Niente di impossibile, la scuola non mi ha mai dato problemi nonostante io passi davvero poco tempo sui libri.
Avrò ereditato da qualcuno una sorta di memoria fotografica.
C'è solo da capire da chi.
Da mamma no di sicuro, l'unica cosa che si ricordava erano le ricette per i dolci, e a volte abbondava con zucchero o farina, quindi oserei dire che non sapeva a memoria neanche quelle.
Forse andava a intuito.
Ottima invenzione, l'intuito, e anche qui ci sarebbe da capire cos'è.
Un'invenzione come le altre, probabilmente.
Dubito fortemente che l'homo erectus avesse una benché minima idea dell'intuito.
Anzi,non aveva neanche idea di cosa fosse un'idea.
Forse queste cose se le sono inventate uomini che non sapevano spiegarsi il mondo, e così hanno cominciato a chiamare ogni cosa con un nome qualsiasi.
Chissà perché il telefono si chiama telefono, il tavolo si chiama tavolo e la porta si chiama porta.
L'unica cosa che so è perché mi chiamo Aurora.
E perché mia sorella si chiama Anna.
"Anna" vuol dire "grazia", "graziosa", tutti aggettivi che si addicono perfettamente a lei.
"Aurora" vuol dire "luminosa", "brillante", tutti aggettivi che a me non si addicono proprio.
La mamma c'ha visto giusto con lei, un po' meno con me.
Ma non importa, un nome è pur sempre una parola, la dici e vola via, la scrivi e la puoi cancellare.
L'unico problema è quando le parole te le marchi dentro, lì la cosa si fa un po' più difficile.
Niente d'impossibile però, si può trovare una soluzione anche a questo, solo che io ancora non l'ho trovata.
In realtà, forse, si può dire che non l'abbia mai neanche cercata.
Non ci metto molto a finire di bere il tè, butto la tazza nel lavandino 'ché tanto è già scheggiata sul bordo e mi fiondo in bagno per darmi una rinfrescata e prepararmi per la giornata.
Rifinisco gli occhi con una matita nera e del mascara, e lascio le labbra di un rosa tenue; sto pur sempre andando a scuola, il rossetto rosso sarebbe decisamente fuori luogo nonostante sia il mio preferito.
Bordeaux, per la precisione.
Il tragitto da casa a scuola non è per niente lungo, mi piace farlo a piedi la mattina, ma non vedo comunque l'ora di prendere la patente. Ho intenzione di cominciare i corsi dopo le feste natalizie, così poco dopo il mio compleanno dovrei riuscire a dare il primo esame, quello di teoria, ed il resto dell'anno posso concentrarmi sull'esame di maturità che si sta avvicinando.
-Aurora!
Mi giro e sorrido a Vittoria che mi fa segno di aspettarla mentre lei attraversa la strada.
-Ciao Vic – dico stampandole un bacio sulla guancia.
Non è esattamente la mia migliore amica, non si può dire ch'io ne abbia una, ma è colei che ci si avvicina di più.
Perlomeno così dicono gli altri, io non saprei, di mio, spiegare cosa sia Vittoria per me.
È forse la cosa più bella che ho, Anna a parte.
-Studiato per inglese?
La guardo e scoppio a ridere.
-Giusto, che te lo chiedo a fare? Non studi mai e prendi sempre dieci, chissà come fai!
-Magia! - proseguiamo a ridere finché non arriviamo davanti scuola.
Per cominciare bene la giornata ci aspetta un'interminabile ora di latino, seguita da una di greco e una di storia.
Poi, dopo l'intervallo, inglese.
Appena mettiamo piede in classe l'ansia e l'agitazione sono palpabili.
-Ma così in ansia siete? - domando mentre mi accomodo al mio posto, ultima fila.
Mirko, dall'altra parte della classe, mi fulmina e io scoppio a ridere con Vittoria al seguito.
-Non siamo tutti geni come te, miss Aurora! - tenta di sfottermi con un tono tutt'altro che carino, ma non me ne curo.
-Già, e grazie al cielo non siamo tutti simpatici come te, signor Mirko, o il mondo sarebbe una vera merda!
Vittoria scoppia a ridere e stavolta anche gli altri nostri compagni non si trattengono, ma veniamo subito smorzati dalla professoressa Rizzelli.
Latino.
Ancora mi chiedo chi gliel'abbia data la laurea a questa, non è capace nemmeno di mettere due parole in fila in italiano, figuriamoci spiegarci una lingua morta.
Bah,l'Italia è un paese tanto strano.


-Anna si è fatta sentire? - mi domanda Vittoria mentre si sistema al suo posto accanto al mio, dopo l'intervallo.
-Macché.
-Sei preoccupata?
Scuoto la testa ma la mia espressione lascia trasparire fin troppa insicurezza.
-Vedrai che sta bene!
Di colpo spalanco gli occhi.
Ero così concentrata ad accusare Anna per essersene andata che non mi ha mai neanche sfiorato l'idea che potrebbe esserle successo qualcosa.
-Merda.
-Aurora che c'è?
-E se le fosse davvero successo qualcosa?
-Non è possibile! Ti avrebbero avvisata!
-Ma come?
-Un modo per rintracciare i familiari si trova sempre, Anna sta bene credimi! Altrimenti perché non provi a mandarle un messaggio?
Tiro fuori il cellulare dalla tasca del giaccone e me lo rigiro tra le mani prima di decidermi finalmente a sbloccarlo.
Apro WhatsApp e successivamente la chat di mia sorella.
Ultimo accesso una decina di minuti fa.
Sorrido mentre blocco il telefono e lo appoggio sul banco.
-Allora?
Scuoto la testa sempre sorridendo.
-Sta bene.
O almeno credo.


Non torno a casa per pranzo, me ne vado con i miei compagni di classe al mare a mangiarci un pezzo di pizza per festeggiare l'assenza della professoressa di inglese e il conseguente annullamento della verifica.
A me non frega niente, né di mangiare né della verifica che non s'è più fatta, ci vado solo per tener compagnia a Vittoria.
La professoressa di chimica ci chiama Mimì e Cocò, dove sta una sta l'altra, dove va una va l'altra.
Vittoria, l'ho già detto, non è affatto la mia migliore amica.
Non sono brava a farmi amici io.
Sono solo brava a far credere agli altri di esserlo.
Ma con Vittoria è diverso, a lei non ho bisogno di far credere nulla, sa chi sono e come sono fatta e non le serve nessun appellativo per sapere di occupare un posto speciale nella mia vita.
-Non la mangi? - mi domanda Michele alludendo al pezzo di margherita che mi rigiro tra le mani da più di mezz'ora.
Cerco Vittoria con lo sguardo prima di rispondere, è con Maria e Letizia impegnata ad inseguire Roberto che scappa con la bottiglia di Coca-Cola in mano.
-No, puoi prenderla – rispondo porgendogli la pizza – ne ho già mangiato un pezzo – mento.
Michele non se lo fa ripetere due volte e afferra la pizza dalle mie mani prima di tornarsene dal suo gruppo.
-Posso?
Non ho un minuto di pace, oh.
Non mi serve neanche voltarmi per sapere chi ha parlato, la voce di Luca la riconoscerei tra mille.
-Cosa vuoi?
-Parlare.
-Non l'hai mai saputo fare, non vedo per quale motivo dovresti cominciare ora.
-Che vuoi dire?
Scemo.
-Che solo una cosa eri buono a fare... - dico alludendo alle innumerevoli volte in cui, senza neanche 'buongiorno' o 'buonasera', mi son ritrovata nuda nel suo letto, pronti a far cosa si sa già.
Mi gira intorno fino a piazzarsi davanti a me, le gambe aperte e piegate per permettergli di arrivare alla mia altezza e fissarmi con quei suoi occhi così profondi ma così illusori.
-Però come ti piaceva... - il tono caldo, i brividi lungo la mia schiena, quasi mi bagno al ricordo.
-Eri bravo – gli confermo senza spingermi più in là, o potrei essere io a pagarne le conseguenze.
Alza la mano destra e per un attimo gli leggo nel volto una strana voglia di picchiarmi, di farmi del male, di farmela pagare.
Poi mi sfiora il mento con l'indice, le altre dita chiuse a pugno, e io glielo lascio fare, finché si avvicina di più e fa combaciare le sue labbra con le mie.
-La tua troietta? - gli domando nella sua bocca.
-Non era te – risponde lui senza staccarsi.
E mi basta.
Per ora mi basta.
Il pensiero di quel che faremo quando sicuramente mi chiederà di tornare a casa con lui mi basta.
Giusto o sbagliato che sia, mi basta.
È ciò che c'è di più superfluo al mondo, che se te lo fai diventare necessario una volta allora sei fottuto per sempre.
Ti ritrovi voglie strane addosso, desideri incomprensibili e poco tempo per far combaciare il tutto.
'Ché, minuto più minuto meno, il tempo con Luca è sempre poco.
Fugge via impazzito, cavallo in corsa, non lo fermi, ti scappa dalle mani e dalla vita, secondo consumato che non ti torna indietro più.
E forse, anche quel poco che sarà, stavolta mi basta.
Con i genitori e la sorellina in casa, mi basta.
A farmi sentire viva.
Stomaco vuoto, unghie fragili e capelli che cadono.
Quaranta chili neanche, ma viva.

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