Capitolo 3: Cena

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«Ma che...?»

Blanca si sollevò sulle ginocchia, massaggiandosi lentamente il gomito sinistro, il quale aveva subito maggiormente il peso del suo corpo, appesantito dalla caduta improvvisa.

«Ecco dov'era, il pezzo mancante del mio puzzle.»

La bambina alzò lo sguardo e vide che, davanti a sé, se ne stava placidamente un bambino vestito interamente di bianco, in abbinamento con l'albina chioma riccia che gli ricadeva sulla fronte, coprendogliela tutta. Il fanciullo si chinò e raccolse la tessera lattea, ignorando bellamente l'infortunata, ormai con le lacrime agli occhi; le rivolse un'occhiata vitrea appena fu nuovamente in piedi, squadrandola. Blanca ricambiò lo sguardo, un occhio socchiuso dal dolore.

«E tu saresti...?»

La bambina rispose, ma dalle labbra uscì un lieve gemito di dolore. L'altro s'inginocchiò in parte a lei e, afferrandola per il polso, le fece alzare il gomito ferito e disse: «Non ti sei rotta niente, né ossa né legamenti. Vai in infermeria e fatti dare una borsa di ghiaccio secco, ti allevierà il dolore. Domani avrai solo una contusione violacea.»

Detto questo, le lasciò andare il braccio, che ricadde lungo il corpo di Blanca, la quale non si era azzardata a parlare. Il bambino si alzò e, dopo aver infilato il tassello del puzzle in una delle tasche anteriori dei suoi larghi pantaloni color panna, s'incamminò nel corridoio, diretto chissà dove. Lei si fece coraggio e si alzò a sua volta, iniziando a seguirlo cautamente; diminuì la distanza tra loro con poche falcate, poi alzò il braccio e picchiettò, con l'indice, sulla spalla del piccolo abitante dell'orfanotrofio. Lui si girò e, nel farlo, si accorse di essere più basso dell'altra; la invitò silenziosamente a parlare, nonostante fosse annoiato dalla sua presenza.

«Io... Io non so dov'è l'infermeria» balbettò Blanca. «Sono arrivata oggi.»

L'albino alzò gli occhi al cielo. «Piano terra, ultima sala in fondo al corridoio in direzione est.»

«Potresti accompagnarmi?»

«No» rispose secco lui. «Sto andando in sala da pranzo. Ho fame, è ora di cena.»

«Anch'io dopo devo andare a mangiare. Non mangio da due giorni.»

Il bambino sospirò, acconsentendo col capo; era seccato dall'idea di dover fare da badante, seppur temporaneo, alla nuova arrivata, tuttavia non voleva sembrare scortese ai suoi occhi - non troppo. Blanca gli rivolse un gran sorriso e iniziò a camminargli di fianco. Stettero in silenzio per tutta la durata del tragitto e anche in infermeria, dove l'infermiera diede alla bambina una pomata da spalmare sulla zona colpita ogni mattina e ogni sera, prima di andare a dormire.

I due orfani, successivamente, entrarono nella sala da pranzo e, dopo che gli furono consegnati un vassoio a testa, presero posto allo stesso tavolo.

Rivolse un sorriso caloroso al suo compagno di cena. «Mi chiamo Blanca.»

L'altro non ebbe nessuna reazione e continuò a masticare il boccone di carne. Poi ingoiò e disse, glaciale: «Near.»




«Si mangia con la bocca chiusa.»

«Senti, ho fame. Non darmi fastidio, per favore.»

«Ti stai ingozzando.»

«Non si dicono queste cose, specialmente alle fanciulle ben educate come me.»

«Le fanciulle ben educate non parlano con la bocca piena.»

Blanca ingoiò il boccone di tiramisù e sorrise. «Amo questo dessert!»

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