Mi svegliai, ero sdraiata su un lettino d'ospedale in un stanza con i muri verdi. Delle ultime ore non ricordavo assolutamente niente se non Pietro che mi salvava. Mi guardai intorno e vidi un'infermiera che stava frugando nei cassetti vicino alla porta, la chiamai in modo da poter vedere il suo volto e capire chi era: Evangeline. Era sempre lei a prendersi cura del "mio" team, era sempre al nostro fianco.
«Sei sveglia finalmente! Hai dormito per almeno sei ore» disse lei.
«Così poco? Accidenti!» iniziammo a ridere, poi le chiesi cosafosse successo e perché mi ritrovavo lì. Lei mi disse che ero svenuta nelle braccia di Pietro mentre lui mi riportava allo S.H.I.E.L.D. e poi decisero di tenermi d'occhio per questo ero in quella stanza, il momento dello svenimento per alcuni poteva sembrare una scena di un film romantico... ma in realtà era da film horror. Sentirsi deboli e stanchi e quindi svenire nelle braccia di qualcuno, nonostante una persona di cui ti fidi, non era una bella cosa.
Qualcuno bussò alla porta, Evangeline aprì la porta: era Joanna. Salutai la mia amica con un sorriso e mi accorsi che Evangeline se ne era già andata, cercai di fermarla per chiederle quale fosse il numero della mia stanza ma non raggiunsi il mio obbiettivo. Joanna mi rispose che il numero era il 13 e mi chiese anche il perché. Per qualche strano motivo finivo sempre lì, sapere qual era il numero era solo una semplice curiosità ma mi resi conto che in realtà era molto di più. Il tredici era il mio numero preferito da sempre, non per qualche motivo specifico, alla fine era un numero come un altro. Era stato il destino a portarmi lì? Forse. Semplice coincidenza? Probabile. Preferivo credere al destino e che quella stanza fosse "speciale".
«Sono contenta che tu stia bene. Senti, volevo chiederti scusa per non essere ven...» la interruppi subito, mi ero appena svegliata e discutere non era un'opzione. Per me era acqua passata ormai, ero preoccupata per altre cose. Le dissi che della questione me ne sarei occupata dopo essermi ripresa e che in quel momento non volevo arrabbiarmi. Lei si arrabbiò per il mio atteggiamento, secondo lei non dovevo incavolarmi ma nemmeno essere delusa. Visto che insisteva allora le chiesi perché non era venuta a lavoro: era a casa di Tyron, avevano passato tutta la giornata insieme, e non si sono resi conto che si stava facendo tardi. Per alcuni secondi cercai di focalizzarmi sulle parole "casa", "Tyron" e "insieme", per un momento pensai che stessero insieme ma prima di arrivare a conclusioni affrettate chiesi conferma. Sì, stavano insieme e non me lo aveva detto, in quel momento mi chiesi se anche Evangeline lo sapesse. Le domandai da quanto la loro relazione andasse avanti, se e quando aveva intenzione di dirmelo. Prima di rispondermi distolse lo sguardo da me e fece un sospiro, probabilmente stava cercando di formulare una frase, stava inventando qualche scusa in modo da giustificare il suo comportamento. Mi rispose dicendo che la loro relazione andava avanti da tre mesi e che prima o poi me lo avrebbe detto... più poi che prima sicuramente. Ero sorpresa, ero una delle sue migliori amiche e la cosa mi aveva ferito e non poco. Per un momento voltai il volto dall'altra parte, non sapevo come reagire. Ero arrabbiata, delusa...confusa. Joanna cercò di far tornare il mio sguardo su di lei però senza successo.
«Va bene, hai vinto tu. Puoi essere arrabbiata quanto vuoi ma ricordati che io ho tenuto nascosta una relazione e non un'intera vita a differenza di qualcun altro» uscì dalla stanza sbattendo la porta. Si riferiva a me, alla mia vita allo S.H.I.E.L.D., ai miei poteri. Il primo a cui raccontai tutto era Josh e non lei o Evangeline, era quel ragazzo che a causa della mia vita decise di lasciarmi e di partire per un posto lontano e non le mie migliore amiche che nonostante tutto erano rimaste al mio fianco fino alla fine. Odiavo ammetterlo ma aveva ragione. Pietro entrò nella stanza, mi salutò con un bacio sulla fronte e si sedette vicino a me sull'unica sedia che c'era nella stanza. Si era accorto che ero agitata e aveva visto Joanna uscire infuriata, quindi decise di chiedermi cosa fosse successo qualcosa. Gli spiegai la situazione cercando di rimanere calma aggiungendo che nel torto ero io, lui mi tranquillizzò e mi fece pensare ad altro. Dopo quello che era successo con Alexandra non voleva che avessi altri pensieri, sopratutto in quel momento visto che ero su un letto d'ospedale.
«Perchéf issi la porta? Hai visto qualcosa?» mi domandò Pietro.
«Diana. È dietro alla porta, non capisco perché è ferma lì e non entra»
«Vuoi che la faccia entrare?» risposi di sì, volevo parlarle. Pietro sialzò e aprì la porta per far entrare Diana, ci lasciò sole e ne approfittò per andare a prendersi qualcosa da bere. Diana si avvicinò a me, mi chiese se stavo bene e se avevo bisogno diqualcosa. Rimasi in silenzio, non credevo che sarebbe venuta.
«Sei sorpresa di vedermi qui, vero? Nonostante le divergenze, ci tengo a te» sorrisi, ero felice che lei ci tenesse ancora a a me. Mi sedetti, nonostante la difficoltà, in modo da poterle parlare seriamente. Feci un sospiro prima di dirle che mi dispiaceva, Michael non meritava di morire. Almeno non in quel modo, avrei dovuto aiutarlo. Volevo che Diana tornasse a parlarmi come una volta, che continuasse ad essere la mia mentore perché avevo ancora molto da imparare da lei. Avrei voluto tornare indietro e sistemare le cose ma non potevo. In quel momento ero così dispiaciuta che scoppiai in lacrime, mi misi le mani sul volto cercando di non farmi vedere da Diana. Le chiesi scusa ancora una volta, probabilmente sembravo patetica. Lei si sedette sul lettino e mi abbracciò, accettò le mie scuse ma mi disse che il nostro rapporto non sarebbe tornato come prima... o almeno non subito, ci sarebbe voluto del tempo. Mi staccai da lei e abbozzai un sorriso per poi sdraiarmi e provare ad asciugarele lacrime, non smettevo di piangere. Per qualche minuto lei rimase lì ad accarezzarmi i capelli sperando che io mi calmassi, poi mi salutò perché doveva tornare al lavoro. Aprì la porta e vidi che fuori c'era Pietro, aveva ascoltato tutta la conversazione. Mi sorrise ed entrò.
Passarono quasi tre ore, io ero nella stanza da sola che leggevo una rivista di gossip sperando di trovare qualche articolo interessante. Sentii qualcuno bussare alla porta, era mio padre Phil. Ero felicissima di vederlo. Lui entrò e mi abbracciò fortissimo come se fossero passati secoli dal nostro ultimo incontro, si sedette sulla sedia di pelle vicino a me in modo da stare comodo per poter parlare con me. Dopo le domande che si fanno sempre, ovvero "come stai? Ti senti meglio? Posso fare qualcosa per te?", mio padre mi chiese di raccontargli quello che era successo prima che io mi ritrovassi in quella stanza, gli raccontai tutto dicendogli sopratutto di Alexandra e di quello che mi aveva raccontato e infine gli domandai se era tutto vero. Esitò prima di rispondermi
«Prima o poi questo momento sarebbe arrivato. È tutto vero... Tua madre aveva ucciso una donna per legittima difesa, non sapeva niente di lei... e io non sapevo che ad ucciderla fosse stata proprio Alexandra» non aggiunse altro, abbassò gli occhi in modo da evitare il mio sguardo. Mia madre aveva ucciso la sorella di Alexandra? Quella donna che mio padre descriveva come perfetta? Quella donna di cui mio padre parlava raramente? Ero scioccata, non ci potevo credere. Speravo che quella storia fosse solo una bugia inventata da Alexandra per provocarmi. Non era incredula per il fatto che mia madre avesse ucciso una persona visto che io stessa avevo ucciso Michael ma lo ero perché mio padre non mi disse nulla su una cosa così importante. Rivolsi il mio sguardo al soffitto, dovevo metabolizzare il tutto. Mio padre uscì dalla stanza e qualche minuto dopo rientrò con uno ggetto in mano. Lo posò sul tavolino vicino al mio letto, disse che era il diario di mia madre e che era arrivato il momento che io lo leggessi. Non mi diede il tempo di parlare che se ne andò sconfortato.
*Parla Alexis*
Ero allo S.H.I.E.L.D., mi stavo dirigendo verso la stanza d'ospedale di Madison. Ero preoccupata per lei, dovevo vedere come stava. Non osavo immagina cosa le fosse successo in quelle poche ore lontana dal team, da casa. Mi chiedevo se avesse incontrato il nostro nemico e, se sì, chi fosse. Forse qualcuno di nuovo oppure qualcuno di conosciuto? Solo lei poteva saperlo ovviamente.
Mi stavo avvicinando alla porta quando sentii una mano appoggiata alla mia spalla, mi voltai di scatto e mi ritrovai faccia a faccia con Tony. Non Tony Stark, sfortunatamente.
«Mitchell, vedo che non sei cambiata... e che hai ancora quella collanina» già non sopportavo la sua presenza, se poi mi chiamava con il mio secondo nome allora era la fine... per lui. Roteai gli occhi e lo ignorai. Lui mi prese per un braccio, non voleva che me ne andassi. Mi dissec he non smetteva di pensare al giorno in cui l'avevo salvato e che finalmente aveva deciso di sdebitarsi. Gli chiesi in che modo e mi rispose che mi avrebbe offerto un caffè e un brioche, se volevo. All'inizio rifiutai dicendogli che dovevo assolutamente vedere come stava la mia amica ma poi, dopo che lui ebbe insistito e che mi disse che potevo farlo dopo, cedetti.
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~ Lady Fire 2 ~
Fanfiction(Sequel di ~ Lady Fire ~ e spoiler Avengers: Age of Ultron) «Il ritorno di una persona può davvero causare tutto questo?» Questa è la storia di Madison Sicury Stark (Coulson), un agente dello S.H.I.E.L.D. con la pirocinesi e insieme ai suoi amici co...