Capitolo 2.

490 28 8
                                    

Erano le sette del mattino ed io come al solito ero sveglia già da un po'.

Il buio incombeva su di me quasi ogni notte da quel giorno.

La fronte sudata, gli spasmi respiratori trovavano sempre un sentiero per venirmi a trovare.

Nulla aveva più senso in quelle notti. Ogni qual volta che scivolavo tra quelle lenzuola fresche il battito accellerava e dormire con tutti quei pensieri era sempre più difficile.

《 Devo farcela.》 continuavo a ripetermi mentre l'acqua ghiacciata della doccia scendeva sul mio corpo. Speravo che ogni pensiero andasse via, mi lasciasse respirare.

Erano le otto e trenta e Maya mi stava aspettando al college. Avevo lezione alle nove ed ero in un ritardo quasi indiscutibile.

Mi preparai ed uscii di fretta da casa per andare a prendere l'auto posteggiata sul retro.

I libri posti sul sedile accanto e partii subito.

《Ehi, ma vuoi aspettare prima di attraversare la strada?》 dissi furibonda frenando di scatto per non prenderlo. Si è buttato di proposito avanti, pensai.

《 Mi scusi, mi scusi.》 rispose tremante quell'uomo. Si poggiò con le mani sul cofano e si accompagnò per non cadere a terra. 

Non risposi. Non ne avevo il coraggio. Era così distrutto, dolorante. Aveva gli occhi vuoti, come se morire era un qualcosa che aveva desiderato.

Attraversò la strada ed io rimasi lì a fissarlo, avrei voluto ascoltarlo. Mi aveva lasciato una sensazione di vuoto, di tristezza dentro.

I clacson e le urla dei viaggiatori fermi dietro di me iniziarono a farsi sentire. Suonavano con pressione, erano stufi di aspettare.

Accesi di nuovo l'auto e partii.

I parcheggi del college come al solito erano esauriti e così posteggiai sulla strada di fronte.

《 Maya, eccomi!》 dissi mentre correvo con quei libri pesanti tra le braccia. La tracolla non rispondeva più ai controlli, oscillava da destra a sinistra e sembrava pesare un'infinità. 

《 Camille, ma che ti è successo?》

Ripresi fiato e non le diedi nessuna spiegazione. La guardai e sospirai.  Forse aveva capito che non avevo voglia di parlarne e così non mi chiese nulla.

《Dai andiamo o il professore avrà un argomento su cui discutere con noi.》

Ci incamminammo verso l'aula e come al solito ci sedemmo nell'ultima fila in cima alla scalinata.

Il professor Henderson aveva iniziato la lezione di anatomia e non si accorse della nostra assenza.

Stava scrivendo sulla lavagna quando chiese ad un compagno

《Allora signor Clay mi sa dire a livello di quale spazio intercostale giunge l'aorta ascendente?》non si voltò, rimase di spalle e continuò a scrivere.

Il silenzio calò in classe e di certo Eljia non sapeva rispondere .

《 Quindi?》

Elija si schiarì la voce 《Non saprei signore.》 deglutì.

《E mi sa dire a livello di quale vertebra  l'aorta si divide nelle arterie iliache comuni?》

《No signore!》 rispose seccato.

《 Direi che oggi il professore ce l'ha con Elija, non credi?》 dissi bisbigliando vicino l'orecchio di Maya.

Lei annuì, non voleva attirare l'attenzione del professore e magari far ricadere quelle domande su di lei.

Il professore sbuffò e abbassando lo sguardo sull'enorme cattedra di legno poggiò le mani.

Non ci guardava, non ne aveva la forza forse. Eravamo a metà anno e rispondere a quelle domande sarebbe dovuto essere così automatico.

《Potete andare, la lezione è finita.》

La massa uniforme di studenti si alzò e senza pensarci uscì di corsa dall'aula. Risate intense e veloci ghigni li accompagnarono.

Io e Maya rimanemmo lì sedute ad osservare incredule.

Mancavano quaranta minuti alla fine e il signor Henderson non aveva mai reagito in quel modo. 

《Avrà dei problemi a casa.》 sussurrò Maya con un velo di malizia.

《 Non credo.》e ci alzammo per andare.

È successo qualcosa in quei pochi minuti, forse avràricordato qualcosa o forse sentirà solo la stanchezzadegli anni di lezione che ha alle spalle, pensai.

Scrollai le spalle e portai una mano sulla tempia destra. Mi faceva male, pulsava e così presi un'antidolorifico.

La caffetteria del college era piena e un chiasso assordante riempiva quelle pareti.

《 Un caffè e.. 》

《 Una camomilla in tazza grande.》 risposi finendo la frase. Il cameriere prese l'ordine e tornò dietro il bancone.

《Allora cosa mi racconti? Sono diversi giorni che non ti fai sentire.》

Scrollai la testa e chiusi gli occhi. Sospirai.

《Ho avuto degli impegni e poi sai quanto Mark sia esigente in caffetteria.》

Rivolsi lo sguardo altrove o sarei crollata. Speravo che Maya avesse creduto alle mie parole.

《Camille io credo che tu mi..》

《Prego signorine.》 e il cameriere posò il vassoio sul tavolo. Salvata da una tazza di caffè e da una camomilla, pensai sospirando.

Misi lo zucchero sotto lo sguardo attento di Maya, guardai l'orologio e buttai giù nello stomaco metà camomilla.

《 Uhm, devo andare.》 dissi inghiottendo l'ultimo sorso che avevo in bocca. 

Mi alzai, salutai Maya con un bacio sulla guancia e corsi via.

Cosa diavolo mi prende? È la mia migliore amica capirebbe.

La fronte iniziò di nuovo a sudare, avevo i brividi e un giramento di testa mi fece oscillare. Mi poggiai al muro e iniziai a respirare profondamente.

Non qui, non ora, pensai.

Che spiegazione avrei potuto dare se qualcuno mi avesse visto? Avrebbero sicuramente capito che c'era qualcosa che non andava. Mi tirai su a forza e passai di fronte una porta a vetri, mi vidi riflessa.

Lo sguardo assente, vuoto. Un'enorme baratro si poteva intravedere nelle mie iridi verdi.

Era familiare, sembravano gli occhi di quel passante. Gli occhi di qualcuno che aveva smesso di lottare.

I ricordi riecheggiarono come spilli nella mia mente. Facevano male, trafiggevano come lame.

Alzai di nuovo lo sguardo. Mi spaventai e corsi via.

Non devo mai smettere di lottare. Ho la forza per andare avanti e non devo perderla.  Non gli permetterò di rovinarmi ancora la vita. Di distruggerla, di farla a pezzi. Sono forte, pensai serrando i pugni e iniziando a respirare con più libertà di movimento.

Chiusi la portiera e accesi l'auto.

Partii.

Se non ora, quando?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora