III.II

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Sia Sullivan che Li si sono limitati, ancora una volta, a lasciare un messaggio di rassicurazioni a Moore, premurandosi di confermare l'ipotesi di McLane. Tuttavia quello che traspare dalle loro righe è un tono freddo, distaccato, quasi che più che tranquillizzarlo vogliano tenerlo a bada e prendere tempo. Ma forse è solo una mia impressione. Questa storia comincia a influire sui miei nervi, mi risveglio dopo più di un secolo e mezzo e mi ritrovo in una situazione del genere. Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto ciò?

Ma non è ancora finita. Mi resta un ultimo rapporto da leggere. Di nuovo quello di Moore. Questo era il turno di McLane di restare a nanna, quindi se ha scritto nuovamente cose deliranti sarò io il primo a leggerle, e spetterà a me suggerire cosa fare a Sullivan e Li. Tiro un profondo respiro. D'accordo, sono pronto.

Mi scuso profondamente per le preoccupazioni che vi ho arrecato. Solo adesso mi rendo conto di quanto sia stato stupido credere che qualche sconosciuto si aggirasse per la nave, quando la spiegazione era logica e alla portata di chiunque. Mi sono lasciato trascinare dalla suggestione, ingigantita dal senso di straniamento per le condizioni in cui ci troviamo, e forse dall'effetto collaterale di quella roba chimica che siamo costretti a ingurgitare prima di ogni ibernazione. Sono sicuro che d'ora in avanti non vi saranno più inconvenienti e la missione proseguirà esattamente come stabilito da chi di dovere.

Vogliate scusarmi di nuovo per il disturbo causatovi.

Vostro,

Howard Moore

Parole rinfrancanti, di un individuo perfettamente sano. E così la questione è chiusa. Ora mi sento decisamente sollevato. La faccenda si è risolta per il meglio e possiamo tornare a concentrarci pienamente sulla missione. Lascio un messaggio per gli altri, felicitandomi di come siano andate le cose, e mi preparo a tornare al mio sonno, certo che sarà più sereno del precedente.

Mi incammino verso la mia cabina, ma appena sono nel corridoio noto qualcosa di strano. Cinque porte stagne sono allineate lungo la parete e conducono ad altrettante stanze. La terza è aperta. È ovvio che lo sia, è la mia. Ma non è l'unica. Anche la prima è socchiusa, e dallo spiraglio sull'uscio la luce fa capolino tra le tenebre che regnano all'interno. Non è normale. A parte la mia dovrebbero essere tutte sigillate ermeticamente, aprendosi in automatico solo quando l'occupante si risveglia. Come si spiega la cosa? Era aperta anche qualche ora fa? Non ricordo, non ci ho fatto caso. In preda all'impazienza ho attraversato il corridoio senza controllare. E ora cosa dovrei fare? Mi avvicino, furtivo, a passo incerto, e una nuova consapevolezza si impossessa di me. Quella è la cabina di Moore...

Dischiudo leggermente il battente e infilo la testa all'interno. Nel buio assoluto che regna non riesco a distinguere nulla. Provo a chiamare una, due volte... Nessuna risposta. Alla fine mi decido, spalanco la porta ed entro. La capsula criogenica giace sul fondo della stanza, accostata alla parete. L'alone bianco proveniente dal neon nel corridoio diffonde una luminescenza spettrale, che allunga le ombre e le stinge nell'oscurità che si annida agli angoli. Man mano che avanzo sento che l'aria si fa pesante, permeata da un odore dolciastro, tutt'altro che piacevole. Noto anche un'altra cosa che non va. La capsula, che dovrebbe scintillare di led ed emettere un ronzio regolare, è buia, muta, spenta. Mi accosto tremante e sbircio oltre il coperchio di acciaio trasparente.

Le orbite vuote di Moore mi gettano di rimando un'occhiata indispettita. Il volto scarnificato, irriconoscibile, contratto in un ghigno infernale. Le mie gambe cedono e mi accascio a terra. Vomito il poco contenuto del mio stomaco, il succo vitaminico che ho bevuto prima di iniziare i miei compiti. Moore è morto.

Ancora non me ne capacito, eppure non vi sono dubbi. Accanto a me è sdraiato un cadavere, ed è senza dubbio quello di Moore, visto che la cabina è la sua. Ma come è potuto succedere? Forse la sua capsula ha avuto un guasto e si è spenta durante i cinquanta anni intercorsi tra il suo rientro e il mio risveglio. A giudicare dalle condizioni del corpo devono essere trascorsi diversi decenni dal momento della morte. Ma perché gli strumenti non hanno segnalato alcuna anomalia? Anche prima, quando ho controllato i parametri vitali di tutti dal computer centrale, i suoi valori erano nella norma. E invece...

Povero Moore, spero solo che non abbia sofferto, scivolando dolcemente dal sonno alla morte.

Torno in me. Devo cercare di superare il trauma, e alla svelta, mi rimane poco tempo prima di dover tornare a dormire. Cosa fare? Dovrei liberarmi del corpo? No, è bene che anche gli altri sappiano, magari verificando con i loro occhi. Una volta giunti a destinazione, forse, potremmo anche studiarlo con calma e risalire alle cause del decesso. Mi rialzo soffocando a stento un nuovo conato ed esco fuori, riaccostandomi alle spalle il portellone di quella che adesso è una cripta. Poi torno alla cabina di comando e scrivo sul diario di bordo poche righe, dure ed essenziali, per avvertire gli altri di quanto è accaduto. Vorrei dilungarmi, magari comporre una sorta di elogio funebre, ma non conoscevo Moore così bene, e il tempo stringe. Mi aspetto di sentire risuonare da un momento all'altro le sirene che mi avvertono di tornare nella capsula.

Fatto. Raggiungo in fretta la mia camera. Il mio sguardo corre alternativamente, a tratti restio, a tratti disgustato, tra la dose di droga già pronta sul tavolo e la cella criogenica. Anche per me si trasformerà in una bara? In una gelida fossa spalancata sull'inferno? Non ho la minima voglia di rientrare là dentro, ma non ho altra scelta. Che dio, o chi per lui, mi protegga. Povero Moore, poveri noi...

Mal di vegliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora