IV.II

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Sullivan, Li. Calmatevi. Capisco il vostro smarrimento, ma non dobbiamo perdere la ragione. La scomparsa di Moore è un duro colpo per la spedizione, le sue conoscenze ci sarebbero tornate utili, per non dire indispensabili, una volta giunti a destinazione. Ma dobbiamo affrontare la realtà. Adesso siamo rimasti in quattro, e questo deve darci la forza di proseguire, stringendoci più forte l'uno all'altro e sostenendoci a vicenda. Dobbiamo farlo anche per Moore, è il nostro modo di onorare la sua memoria. La missione deve proseguire, non c'è altra scelta. Non possiamo invertire la rotta, non possiamo dirigerci altrove. L'unica possibilità è procedere così come stabilito, e una volta arrivati alla meta cercheremo un modo per sopperire alla mancanza di Moore. Fino ad allora vi invito alla calma. Svolgete le attività come avete sempre fatto, tenetevi occupati, se avete dubbi o preoccupazioni sfogatevi liberamente scrivendo qui. Coloro che leggeranno dopo di voi sapranno consolarvi e consigliarvi per il meglio. Mi fido di tutti voi, le nostre vite sono nelle mani l'uno dell'altro. E in quelle di Dio.

Colonnello Timothy H. McLane

P.S. Ho rimosso il corpo di Moore, come da procedure di emergenza, espellendolo nello spazio esterno.

Esattamente ciò che mi aspettavo. Sono ormai giunto a rivalutare la presenza di McLane nella spedizione. Se non ci fosse stato lui, con le sue rassicurazioni, a quest'ora saremmo nel caos. Sono certo che anche Sullivan e Li saranno rincuorati una volta lette le sue parole. È la conclusione che però mi lascia perplesso. Non ero a conoscenza delle procedure di emergenza che vengono citate. Non sarebbe stato meglio, e forse più rispettoso, lasciare il cadavere di Moore lì dove era? Non credo che avrebbe dato noia a nessuno, né avrebbe influito in alcun modo sul prosieguo della missione. Vabbé, ormai è tardi per recriminare, quel che è fatto è fatto, ma voglio andare a dare un'occhiata di persona. Sento che le mie gambe ora si sono rimesse in forze, e non dovrei avere difficoltà a muovermi.

Torno nel corridoio e mi avvicino alla porta della cabina di Moore. È socchiusa, proprio come l'ultima volta. La spalanco, e faccio qualche passo incerto nell'oscurità rischiarata dalla luce esterna. Tutto come allora... Sento già qualcosa di diverso però. L'aria è pulita, fresca, non c'è più quell'aleggiante odore di morte. Giungo di fronte al sarcofago scintillante che un tempo è stato il giaciglio di Moore e scruto oltre il vetro. È vuoto.

Lo ammetto, è un sollievo non ritrovarmi quel ghigno mummificato di fronte agli occhi, ma non posso fare a meno di provare una volta di più pena per Moore. Non ha neanche avuto un funerale... No, dovrei provare pena per me stesso invece. Moore almeno è morto, e non soffrirà più, io invece sono ancora rinchiuso in questa gabbia d'acciaio fino a chissà quando, costretto a fare i conti con i demoni della mia mente. Meglio non pensarci, ho ancora le mie mansioni da svolgere, e non ho altro tempo da perdere.

Ho appena terminato l'ordinario giro di ispezione e raccolta dati. Come al solito, tutto procede secondo le previsioni. Ho solo riscontrato un lievissimo calo nei livelli di acqua e ossigeno, ma nulla di preoccupante. Probabilmente una perdita fisiologica dovuta ai continui sbalzi di temperatura. Adesso sono di nuovo nella cabina di comando, ho circa una mezz'ora di tempo prima di dover tornare in ibernazione. Che strano, credevo di aver lasciato questo datapad appoggiato sulla console principale, invece l'ho trovato sulla poltroncina. Sarà scivolato, oppure sono stato io stesso a metterlo lì senza rendermene conto.

Comunque ho riflettuto meglio sulla situazione e sono giunto a una conclusione. Gli altri hanno ragione. Per quanto la perdita di Moore sia un evento terribile, non ha senso torturarsi su di essa, né cedere alle suggestioni che lui per primo ha instillato in noi. Dobbiamo andare avanti, proprio come fa questa nave che sfreccia nel cosmo, indifferente a tutto quanto le avviene intorno. Siamo uomini, e in quanto tali suscettibili di stress e depressione, ma dobbiamo mettere da parte, almeno temporaneamente, questi sentimenti e concentrarci unicamente sulla missione. Il destino dell'intera umanità è nelle nostre mani. Se ci troviamo qui è per un motivo ben preciso, e non possiamo dimenticarcene. Scrivo queste parole soprattutto per il me del futuro, che quando le rileggerà, non so se tra quattro, cinque o seicento anni, potrà trarne nuovo vigore. Perché è questo il fine della vita: proseguire, propagarsi, trovare sempre una via. E noi siamo destinati ad aprirne una nuova e meravigliosa.

Mal di vegliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora