II.II

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La nota successiva è di Moore, l'ingegnere, il primo di noi a svegliarsi, a un anno dalla partenza, e di nuovo cinque anni dopo, a causa del salto del turno di Li. La prima volta si era limitato a scrivere l'indispensabile, avrà fatto di nuovo così? Apro il file. No, stavolta il display è una fitta trama di caratteri minuti che riempiono più di una schermata. La cosa mi sorprende. Gli era venuta voglia di stendere un romanzo? Ma in fondo mi fa piacere, almeno ho un modo per ingannare i quasi sessanta minuti che mi separano da un nuovo lungo sonno. Inizio a leggere, e subito mi accorgo che qualcosa non va. Il ritratto di Moore che emerge dalle sue frasi è ben diverso da quello a me noto, così posato e distaccato. Qui vibra di una inquietante nota di tensione. Per onor della cronaca riporto qua sotto le sue parole, così come le ha digitate lui stesso.

Cinque anni. Sessanta mesi. Milleottocentoventisei giorni. Quarantatremila ottocentoventiquattro ore. Due milioni seicentoventinovemila quattrocentoquaranta minuti. Risparmio i secondi, i decimi e i centesimi. Tanto è trascorso dalla nostra partenza dalla Terra. Ma non è questo il punto. Tanto è trascorso da quando qualcuno ci sta spiando. Può sembrare assurdo, impossibile, e io stesso stento a crederlo. Ma non ho trovato altre spiegazioni logiche. È cominciata come una sottile impressione. Vaga, indefinibile, ma terribilmente presente. Fin dal mio primo risveglio, a un anno esatto dalla nostra partenza, ho avvertito che qualcosa non andava. Ma allora decisi di non darvi troppo peso. Incolpai l'ansia del viaggio, il ritrovarsi rinchiusi in uno scatolone d'acciaio in rotta verso l'ignoto, lo straniamento temporale dopo un anno di sonno. E così non annotai nulla nel diario di bordo. Ma stavolta non riesco a ignorarlo. È stato il mio primo pensiero quando ho ripreso coscienza, all'interno della capsula. Ho sentito strani rumori provenire dal corridoio, mentre i congegni automatici eseguivano le procedure di disibernazione. Quando sono stato in grado di alzarmi avevo quasi paura ad avventurarmi là fuori, ma non avevo scelta, ne andava del corretto svolgimento della missione. In realtà non ho trovato nulla fuori posto. Secondo gli strumenti di bordo tutto procede come stabilito, eppure... Non riesco a togliermi questo dannato tarlo dalla testa. Mentre ero nel laboratorio mi è sembrato di udire dei passi nella cabina di pilotaggio e mi sono precipitato qui. Ovviamente non c'era nessuno, ma mentre mi guardavo intorno ho udito lo stesso rumore provenire proprio in direzione del laboratorio. Inutile dire che sono immediatamente tornato là, senza trovare nulla. Che qualcuno si diverta a prendermi in giro? Capisco che, esposta in questo modo, la cosa potrebbe sembrare frutto della mia immaginazione, ma vi assicuro che non è così. Ho udito davvero quei rumori. Regolari, attutiti, ma ben distinguibili. Si trattava di passi, ne sono certo, anche perché non appena ho raggiunto il loro luogo di provenienza e mi sono messo in ascolto sono scomparsi. Se fossero stati provocati da qualche guasto o da un meccanismo difettoso non avrebbero dovuto cessare all'improvviso quando mi sono avvicinato, non credete? E soprattutto, se la causa fosse un malfunzionamento, i sistemi di sicurezza della nave avrebbero già dovuto individuarlo, giusto? E invece niente. Lo so che sembra folle, ma l'unica spiegazione a cui sono pervenuto è che c'è qualcun altro oltre a noi. Chi è? Cosa vuole? Come si è infiltrato qui? Non so dirvelo. Vi prego solo di prendermi sul serio e prestare la massima attenzione quando sarà il vostro turno di stare svegli. Maledizione, perché su questo rottame non ci sono telecamere o microfoni interni? Sarebbe bastato esaminare le registrazioni per togliere ogni dubbio, e invece sto qui, a torturarmi in un sospetto che scivola sempre più nel terrore. Devo mantenere la calma. Sto per tornare a dormire, chi si sveglierà dopo di me saprà affrontare il problema, e quando, tra venti anni, riaprirò gli occhi, non avrò nulla da temere. Spero solo che non mi attendano due decadi di incubi ininterrotti. È questo ciò che adesso temo di più.

In fede,

Howard Moore

Impressionante. Non ho altre parole. La lettura mi ha sconvolto, e mi scopro a guardarmi intorno furtivamente, alla ricerca di eventuali ombre fugaci che tramano alle mie spalle. Le orecchie si tendono, pronte a captare dettagli sonori che possono essermi sfuggiti, nascosti sotto il rombo continuo e sommesso dei motori, o dal ronzio dell'elettricità nei grossi cavi di alimentazione che serpeggiano dietro le pareti. Nulla. Sorrido. Come posso essere così sciocco? Farmi impressionare così dalle parole di Moore, che si è probabilmente lasciato suggestionare da uno sportello difettoso o da un cavo crepitante. Qui non c'è nessuno a parte noi. Non può esservi nessuno. La logica lo esclude categoricamente. Soltanto io e altri quattro uomini che adesso dormono profondamente, avvolti nei loro giacigli di ghiaccio. O magari è possibile che... I miei occhi incontrano l'oscurità esterna. Solo uno strato di vetro speciale, neanche troppo spesso, mi separa da essa. Indugio su quell'oceano monocolore. Milioni di occhi lampeggianti nel buio bramano maligni, pronti a balzarmi addosso. Le stelle non mi avevano mai fatto quest'effetto, vorrei guardare altrove, ma non riesco a distogliere lo sguardo. E se qualcuno, da fuori...

Mal di vegliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora