Capitolo 2

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Non era possibile.
Non poteva succedere, ciò che avevo visto non era reale. Per pochi istanti presi in considerazione l'idea che tutto fosse un sogno. Immaginai il torrente era pieno d'acqua, la foresta tranquilla, Vanille e io in perfetta salute che giocavamo tra gli alberi. Ma poi mi svegliai e ritornai alla realtà: la foresta stava per crollare, Vanille era esausta e la mia pelle piena di sbucciature e graffi. La battaglia era stata reale, e così anche ciò che i miei occhi si rifiutavano di credere.
Lo fissavo dall'alto estasiata ed impaurita al tempo stesso, in attesa che desse segni di vita. Non potevo lasciarlo vicino al torrente: i mostri sarebbero tornati. Ma Vanille era debole e volava a stento, io avevo bisogno di una fasciatura al ginocchio e dovevamo portare l'acqua al villaggio. Dopo mille indecisioni decidemmo di portarlo a casa. Facemmo molta fatica: il percorso sembrava interminabile. Gli alberi si alternavano ai cespugli in un infinito sentiero colorato, un altro paesaggio da sogno: la foresta ne era piena. Era primavera e i fiori decoravano alberi e piante con delicati petali dai mille colori, sotto un meraviglioso cielo azzurro squarciato dalle alte chiome degli alberi che da secoli vivevano il luogo arboreo. I tiepidi raggi di sole filtravano tra le foglie, giocando con le loro ombre. Era una di quelle giornate dal paesaggio perfetto, che nascondeva il vero stato di caos che c'era lì: la foresta soffriva, gli alberi si rifiutavano di dare i propri frutti, gli incendi erano incessanti... alcuni Kokiri erano stati feriti dalle piante stesse, nel tentativo di studiare il loro comportamento. Le preghiere erano solo cantilene fatte invano.

Nel tragitto senza fine incappammo in un altro gruppo di mostri. Non eravamo in condizioni di lottare di nuovo, esauste e con un peso da trascinare, quindi cercammo di passare attraverso i cespugli. Dopo un tempo infinito fummo a casa. Entrai per prima nel villaggio, per portare l'acqua e capire chi era fuori casa.
Come mi aspettavo, a prima vista tutti erano sotto il proprio tetto: I mostri avevano seminato il panico ed iniziò ad esserci un briciolo di diffidenza tra gli abitanti. Per quanto mi riguardava, non avevo molti amici lì. Passavo la maggior parte del tempo con Vanille nella sua deliziosa cittadina. La mia mente stava già iniziando a vagare nei ricordi, ma ero tornata per una missione e smisi di viaggiare con la testa. Mi aggiravo furtivamente nel villaggio, cercando di non farmi sfuggire alcun dettaglio.

Tutto calmo.

Le stradine vuote, i rami degli alberi liberi dalla presa delle mani piccole e graziose dei bambini. Feci segno a Vanille che era tutto libero e tornai ad aiutarla a trascinare il corpo. Non feci alcuna fatica: riusciì a farlo entrare nel villaggio senza farmi scoprire. Cos'avrebbero detto vedendomi portare un essere mai visto a casa mia? Non sembra, ma la malizia esiste persino nel corpo e nella mente dei bambini con l'unica differenza che loro la nascondono bene.
Poggiai il corpo sul letto e lo guardai attentamente. Era un ragazzo all'apparenza poco più grande di me. Sembrerebbe strano, ma quello era un fatto davvero impossibile: poche persone si insinuavano nella foresta, nessuna di loro riusciva mai a sopravvivere col proprio aspetto originale. Gli uomini che mettevano piede lì dentro erano destinati a perdersi poiché non avevano una fata che faceva loro da guida, e poco a poco si trasformavano in creature senza volto somiglianti agli spaventapasseri con cui mi allenavo. Io ero riuscita a vederne qualcuno, ma erano inavvicinabili e giravano strane e brutte storie su di loro.

Tornai a guardare il ragazzo: Portava vestiti che un tempo sarebbero dovuti essere bianchi, ma erano ricoperti da terra e foglie secche. Tuttavia spolverando un pò si potevano intravedere degli eleganti simboli color oro di cui non conoscevo il significato. Alla loro vista, non potei evitare di guardare le mie vesti. Dei comodi vestiti verde smeraldo che si mimetizzavano in mezzo all'erba. Erano poveri ed essenziali, ma permettevano di muoversi in libertà, niente a che vedere con le eleganti vesti di quella creatura. Continuavo a chiamarlo così nella mia mente, ma in realtà non era molto diverso da me.
A prima vista poteva anche essere un Kokiri, ma esaminando attentamente si potevano vedere alcuni tratti che non appartenevano al popolo della foresta: fisicamente era un pò più grande di loro. Inoltre, non aveva alcuna fata al suo fianco e il viso non era tondo e paffuto come quello di qualsiasi bambino di lì.
Veniva fuori dalla foresta, questo era sicuro. Aveva capelli biondo cenere, ma non capivo se quel colore era dovuto alla terra. Appoggiai la mano sul collo: il battito era leggero, ma c'era. Gli toccai la fronte e mi accorsi che aveva la febbre. Non era molto alta, applicando le mie povere conoscenze sulla medicina sarei riuscita a curarlo. Era chiaro che aveva perso i sensi, ma almeno era vivo. Vanille volava intorno a me e non diceva una parola, il che era davvero strano per lei, così eloquente ed allegra. Era meravigliata come me dalla nostra scoperta. Riuscivo comunque a percepire la sua solita voglia di rendersi utile, così la mandai a prendere delle erbe medicinali. In realtà avrebbe potuto benissimo applicare una magia curativa sul corpo del ragazzo, ma non volevo che usasse nessun incantesimo per il momento e lei lo capì: non fece domande e andò.

Passai il pomeriggio a macinare erbe e creare intrugli per farlo risvegliare. Ogni ora controllavo il suo battito, gli spalmavo le erbe sulla fronte e cercavo di fargli bere una medicina: fu così fino a che il sole non tramontò, lasciando il posto di comando del cielo alla luna e le sue stelle. A calar della sera, Vanille tornò a casa nel villaggio a misura di fata situato nei pressi del santuario di Rash, mentre io continuai a spalmare le erbe sulla fronte del giovane. La toccai di nuovo: la febbre era salita. Finì nel panico: com'era possibile che dopo tutte le mie cure la febbre fosse salita? Mi fermai a guardare il corpo steso sul letto.
Dovevo salvarlo. Ormai era una mia responsabilità, dovevo farlo.
Non capita tutti i giorni di trovare una creatura proveniente da fuori.

Fu un attimo.

Sentì delle voci dentro di me, voci che non mi erano nuove. Le sentivo quando combattevo: mi parlavano, dicevano come era il mio avversario, mi facevano riflettere su cosa fare. Erano il mio istinto, le chiamavo così. Ne ero abituata e le consideravo delle amiche, ma quella era la prima volta che le percepivo senza tenere in mano una spada o un pugnale e ne fui sorpresa. Mi sussurravano parole incomprensibili in una lingua arcana, di cui non capivo molto il significato.
Tuttavia, riuscivo a percepirlo. Mi avvicinai al corpo e non ragionai più.

Lasciai fare al mio intuito.

Sollevai un pò le mie mani esauste e chiusi gli occhi. Ripetei quelle parole di cui capì tutt'ad un tratto la vera natura.

Mhaar as vinheera.

Avevo ancora gli occhi chiusi, ma sentì le mie mani impregnarsi d'una forza nuova, mai vista. Mi lasciavo cullare dalle voci che non mi avevano mai tradito. Allungai le mani verso il ragazzo, ed ebbi la sensazione d'avergli trasmesso parte del mio nuovo potere.
Ad un tratto i miei occhi si aprirono.
Fu come interrompere un sogno, come svegliarsi di colpo. Dapprima vidi solo il buio, poi i contorni del letto, degli scaffali e del corpo si fecero più definiti ed ebbi l'istinto di toccare la fronte dell' ospite. Stava bene. Misi il palmo sul collo: il battito era normale. Iniziai a respirare affannosamente, e non per la fatica che mi era costata l'opera.
Rimasi a bocca aperta, sospesa tra lo stupore e il terrore. Sapevo benissimo cosa era appena successo e non volevo accettarlo. Mi misi il palmo della mano sul cuore e lo sentiì battere così forte che avevo paura che esplodesse. Stavo sudando freddo.
Per la seconda volta in un giorno, desiderai che tutto questo fosse un sogno lontano. Sistemai della paglia in un'altra stanza della casa cercando di improvvisare un giaciglio e andai a dormire senza aspettare un secondo di più.

Nessuno doveva sapere della mia magia.

L'ultimo eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora