Avvolta in un maglione rosso di paille, a denti stretti nella mia cameretta, combatto il gelo che dall’esterno si fa strada tra le intercapedini delle due finestre ad angolo. E’ appena pomeriggio eppure quel cielo cupo dai toni freddi darebbe a vedere il contrario. Un banco di fitte nubi all’orizzonte giunge ad inghiottire anche l’ultimo spiraglio di luce rimasto.
Buio, non resta che buio.
Il vento ulula impetuoso contro le tapparelle che battono sui vetri quasi scalfiti dagli aghi di pino che, lo stesso alito freddo, scaraventa con inaudita potenza; mentre la fioca lucerna arancione dell’abat-jour picchia sul punto illuminato creando un gioco di luci e ombre sulle pareti della stanza.
Sulla scrivania intanto un carico di libri e una tazza di tè verde al gelsomino accompagnano come di consueto le mie giornate.
Ultimo anno da liceale.
La mia testa si consuma al solo pensiero. La magnifica e allettante prospettiva di abbandonare per sempre la routine casa-scuola e la matematica, è messa costantemente in ombra dal demone della maturità. Tante volte avevo focalizzato quell'immagine: mare, vacanze e quanto di più emozionante mi aspettava ad anno concluso. Allora, ricordo, che il problema “esame” non esisteva. Ed ora che ci sono dentro, la paura mi divora pronta a polverizzare anche quel più nascosto frammento di spensierata gioventù. Una gioventù bruciata da notti intere trascorse a studiare. Ormai la parola “divertimento” non figura neanche più nel mio dizionario. E la tesina? Sì, anche lei non manca di ricordarmi di mandare al diavolo quel che resta della mia adolescenza.
“Bzzz, bzzz...”
La materia grigia in funzione sulla pagina da studiare smette di essere operativa all'improvviso vibrare del cellulare. Finalmente il mio cervello può respirare e i muscoli, piegati in avanti, possono decontrarsi in modo che il mio corpo torni ad assumere una postura più rilassata. Sul display lampeggia un nome che non mi aspettavo di trovare.
«Elsa?» Il mio tono suona sorpreso quanto la mia subitanea reazione alla chiamata.
La risata che giunge al mio orecchio la dice lunga sul mio accento interrogativo. «Conosci qualcun altro che abbia il mio stesso numero?»
Non ottenendo alcuna risposta, si vede costretta a venire al sodo. «Che hai da fare oggi?»
«Spero tu stia scherzando. Ti ricordo che tra pochi mesi abbiamo la maturità e, per di più, se anche provassi ad uscire, le probabilità di bagnarmi sarebbero pari al novantanove virgola nove percento.»
«Secondo il meteo non c'è rischio pioggia. Solo nuvole e vento forte», ribatte passivamente lei dall'altro capo della linea.
«Non essere sciocca! La meteorologia, come tutte le scienze, non è esatta. C'è sempre un margine di errore» la rincalzo esasperata.
Segue una lunga pausa. Difficile capire se sia dovuta all'offesa che le mie parole possono averle arrecato o piuttosto ad una riflessione sul da farsi. Sta di fatto che i suoi continui sospiri non mi tranquillizzano neanche un po'.
«Facciamo così», riprende soddisfatta della sua stessa idea, «fatti portare dai tuoi e poi al ritorno ci penserà mio padre. Passeremo la giornata tracannando cioccolata calda davanti ad uno di quei film strappalacrime. Non puoi dirmi di no.»
«Sembra che non abbia alternative!» aggiungo a conclusione, sbuffando. Chiudo la chiamata e mi preparo ad uscire.
Alla svelta tiro fuori dall’armadio i primi indumenti che trovo: una felpa grigio topo e un paio di jeans scoloriti tappezzati all’altezza del ginocchio da due grossi buchi, come la moda suggerisce ai più giovani, e ai piedi scelgo di calzare il mio nuovo paio di Vans. Il genere di look che avrebbe fatto drizzare i capelli ai più grandi esperti di moda.
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Pulse
FanfictionGiorgia è una comunissima ragazza di diciotto anni: diligente, ribelle e piena di vita come del resto molte delle sue coetanee. La sua vita, monotona e insoddisfacente, è un'altalena che oscilla tra emozione e inquietudine, tra passività e attimi di...