Capitolo 6.

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Pallidi raggi di un sole settembrino filtrano dalle due finestre della mia cameretta dritti a colpirmi in piena faccia. La luce è fioca ma non abbastanza da evitare di ferire le mie iridi ancora abituate alla penombra. Provo ad aprire gli occhi incrostati e appiccicaticci con fatica e a sbattere le palpebre una, due, tre volte. Al quinto tentativo riesco finalmente a visualizzare gli oggetti nella stanza e ad abbracciare con lo sguardo le pareti che la racchiudono. Uno sbadiglio corre a spalancarmi la bocca e a lucidare quegli occhi scuri e assonnati, frattanto che le mie braccia si aprono a tracciare un angolo di quarantacinque gradi sulla mia testa.

Ancora frastornata, scendo dal letto e mi muovo a tentoni verso la porta, quando mi accorgo di un’ombra che ad ogni passo compiuto si sradica dal pavimento pronta ad assalirmi.

«Scema, mi hai spaventato!»

D’istinto mi stringo una mano al petto quasi a voler sorreggere un cuore prossimo al cedimento.

Giada entra in camera reggendosi la pancia per il troppo ridere. «Dovresti… vedere la tua… faccia!» biascica parole inframmezzate da pause che è la sua stessa risata a causarle. 

«Ne hai ancora per molto?» l’ammonisco con tono esasperato.

«Okay, va bene» riprende fiato. «Sei pronta ad incontrare Emanuele?»

Quel giorno, su cui mi ero sorpresa più d’una volta a fantasticarvi sopra, era giunto in un modo del tutto inaspettato. Solo due settimane prima mi era giunta voce circa un ipotetico evento di Emanuele nella mia zona e, la sua immediata conferma sulla pagina ufficiale di Facebook ad opera del suo staff, mi ha regalato una serie di notti insonni.

Negli ultimi due mesi il desiderio di assistere ad una sua esibizione dal vivo si era fatto più intenso, tanto da domandarmi cosa si provasse ad essere lì a pochi metri da lui e sentire il calore della sua voce che permea la tua pelle, si insinua nelle tue ossa fino a diventarne parte integrante. Finalmente adesso posso concretizzare quella sensazione.

Se ci penso mi sembra così surreale.

Patetico come la mia psiche si prenda gioco del mio corpo, a volte. Riesce a farmi provare sensazioni suggestionandomi, come accade quando guardo un film dell’orrore. Sono consapevole che certe scene non potranno mai verificarsi nel mondo reale, eppure la mia mente in quell’istante prende il totale controllo sulle mie emozioni.

Mi chiedo per quanto tempo ancora debba piegarmi agli influssi di una mente che continua a proiettare immagini e canzoni che non possono che rievocare il giovane cantautore veneto.

L’improvviso vibrare del cellulare sul comodino cancella in un nanosecondo quella sfilza di pensieri senza capo né coda.

Sul display lampeggia un messaggio da parte di Elsa. Una visione fulminea e tutt’altro che piacevole scatta meccanicamente nella mia testa. Il mio pollice avanza incerto prima di scivolare sulla bustina e pigiare.

“Ehi Gio, purtroppo ho avuto un contrattempo e non posso più accompagnarti. Mi spiace :(”

La mia sensazione di allerta iniziale si ricompone in ognuna di quelle parole. Cos’è un scherzo?

Incapace di accettare un rifiuto, mi costringo a rileggere più e più volte il contenuto del messaggio come se mi aspettassi che, quelle parole ormai incise nella memoria, potessero cambiar ordine e mescolarsi al fine di ottenere la frase che volevo apparisse.

Nulla.

Le lettere non stanno vorticando sotto i miei occhi; le lettere unite a formare quell’invito declinato sono più reali dei miei nervi a fior di pelle.

In tutta fretta corro in cucina.

«Papà papà, per favore mi puoi accompagnare tu a Lanciano? Elsa non può più venire. Ti prometto che è l’ultima cosa che ti...»

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