Capitolo 9.

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L’aria satura di umidità e il freddo pungente delle prime ore del mattino, sono i segni più evidenti che l’autunno ha ormai fatto il suo ingresso. E se un venticello fresco rende quanto mai tangibile il pieno affermarsi della nuova stagione, il sole non arretra. I suoi deboli raggi avvolgono i tetti delle case di una luce tenue ma accecante, ricadendo sulle piazze di una città che fa parlare di sé da secoli orsono: la leggendaria Roma.

«Corri Elsa, corri! Non voglio rischiare di arrivare in ritardo anche questa volta.»

«Lo so, scusami. Quella maledetta sveglia non ha suonato neanche stamattina» si difende lei arrancando col fiato mozzo.

Elsa – almeno da che la conosco – è sempre stata una ragazza dalle forme generose che l’altezza si è preoccupata di asciugarle addosso tanto da apparire più quadrata che tonda. Al di là dell’aspetto, però, che è quasi del tutto irrilevante con i suoi repentini ritardi, Elsa è tremendamente lenta. Non c’è verso di farle aumentare il ritmo. E’ come se i miei rimproveri avessero un effetto limitato su di lei e, tempo due giorni, è già tornata alle sue vecchie abitudini.

L’autobus che ci avrebbe lasciate a pochi passi dall’università, sta per fare il suo scalo alla fermata.

Ora o mai più!

Per un soffio riusciamo a salire e a recuperare le energie spese nella corsa. Prendiamo posto su due sedili posti l’uno di fronte all’altro, ritenendoci fortunate di aver trovato un cantuccio su cui oziare per qualche minuto.

«Quindi segui solo le prime tre lezioni, a quanto ho capito. Poi vai direttamente là?»

Annuisco ripetutamente piantando i miei occhi supplichevoli nei suoi, nella mera speranza di riuscire a farle cambiare idea dopo una settimana di svariati tentativi falliti.

Il dito indice di Elsa si muove a destra e sinistra sotto il mio naso.

«Pensavo avessimo affrontato questo discorso sufficienti volte perché tu capissi che la mia risposta resta immutata.»

«Ed io pensavo, invece, che alla fine avresti ceduto» la rincalzo ad alta voce attirando gli sguardi dei passeggeri su di noi. Socchiudo le palpebre traendo un secco respiro tra i denti e costringendomi a modulare il tono. «Come ti ho già detto, si tratta solo della presentazione del corso. E sai bene che il programma è scaricabile online sul sito dell’università.»

Ti prego, sembrano implorarle i miei occhi.

Elsa distoglie lo sguardo come per rifletterci su cercando nei volti degli altri, nel venticello fresco che filtra dal finestrino, una risposta che non la lasci incerta sul da farsi. Se ne sta quieta al suo posto, mordicchiandosi l’interno della guancia, fino a che un nuovo dubbio non si ripresenta. «Okay, ma supponiamo che a fine presentazione al prof venga in mente di spiegare, ci hai pensato?»

Una traccia di stupore si amplia sul mio viso a tal punto da non saper cos’altro aggiungere. Ammetto di non aver considerato il prospettarsi di un impedimento simile.

«E poi», riprende d’un tratto pigiando il pulsante per chiamare la nostra fermata, «non sei un po’ troppo cresciuta per sbavare dietro ad un cantante per teenager?» C’è del pungente sarcasmo nelle sue parole.

Rido amaramente. «“Sai, devo ammettere che hai proprio ragione, è molto carino!”, ti dice qualcosa?»

Le porte del bus si spalancano invitandoci a scendere. Elsa mi precede pensierosa: le pupille che schizzano da un angolo all’altro della strada. Di nuovo che si aggrappa ad elementi esterni per scovare dentro di sé una risposta soddisfacente.

«Sì, quelle sono state le mie parole», ammette apertamente, «ma ciò non toglie che ultimamente le tue...»

«Ehi, ragazze!»

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