Capitolo Uno- Elettra

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Nell'afosanotte di Milano di Maggio, leggo a chiari caratteri sul citofonoErmalMeta. Maquanto sarebbe poi scontato citofonare? Soppeso la pietra leggera chestringo in pugno, serro la mano, carico sulle gambe e Tac:la traiettoria è elegante, precisa e pulita e picchietta leggermentesul vetro che ritengo essere il suo. Errore di calcolo, dal davanzales'affaccia un'anziana donna con l'espressione appannata di chi allequattro di notte si è sentito scaraventare pietre alle vetrate. Urlaqualcosa in dialetto stretto, sorrido di sbieco, alzo le mani, comein segno di resa "Scusi, signora, ho sbagliato. A chi non capitadi sbagliare?" - altro dialetto prima che risparisca in casa. Fortunatamenteil cortile di questa così deliziosa palazzina storica è pieno diciottoli, ho possibilità a non finire. Ne scelgo uno levigato,bianco, perfetto per un altro lancio. Tac.Dalla finestra, nessuna Giulietta che si affaccia. Tac.Tac.Siaprono i battenti, ed eccola là, la mia Giulietta, la mia amataprincipessa capricciosa che come al solito mi guarda con quel visinorisentito e mi rivolge un'amorevole "Elettra, ancora tu? Checazzo vuoi a quest'ora?" ConobbiErmal che avevo otto anni, undici anni prima. La sua era ancora unastella nascente a quel tempo ma i miei occhi da fanciulla riconobberoun fuoco che arse il mio cuore di bimba- presto però ne dimenticai,come si dimenticano e si abbandonano i giocattoli all'angolo. Riapparve nel 2010 al festival di sanremo con buioe lucee allora, all'eta di dieci anni, me ne ricordai come si ricordano esi acciuffano i giocattoli abbandonati all'angolo.Luiebbe modo di conoscermi solamente quando io già vantavo sedici annidi età e una nascente sfacciataggine: la stessa con cui gli chiesidi autografarmi un paio di mutande, pulitissime, per carità. Miaveva strattonato ridendo, lo ricordo come fosse ieri, mandandomi perla prima volta, la prima di tante, soavemente a cagare. imparòa riconoscermi in fretta, il caro Ermal, quando lo aspettavo lì dovenon dovevo aspettare, ero lì dove non dovevo essere, e miriconosceva ora quando, alla superlativa età di diciannove anni,avevo finalmente trovato la via di casa sua. Iricci gli piombano giù, mentre è affacciato a guardami,l'espressione intontita.

"Comeche ci faccio? Voglio vederti!"

Spariscein casa, la luce viene spenta e la palazzina piomba nel buio. Dueminuti dopo, viene fuori lui dal portone, il viso pallidissimo oforse reso bianco dalla luna.

"Allora,ascolta" mi afferra per un braccio, mi porta fuori dal cortile,in strada "Anche se sei poco più di una bambina" dice,leggermente alterato "perchè infondo stai solo facendo icapricci- bene, sappi che dovrò rivolgermi a chi di dovere."

"Echi è di dovere?" gli sussurro, beffarda, avvicinando il mioviso al suo.

"Oddio,Elettra, non far finta di non saperlo!" sbuffa "mi haicapito?"

Miappoggio al muretto- lo adoro da morire quando fa il difficile."Quante storie!"

"Vaia casa, ragazzina, non scherzare più. Sono stanco morto."

"Dime?" gli dico, facendo una finta aria drammatica.

"Anchedi te, e se non vai subito, la polizia la chiamo adesso."

Alzole mani in segno di resa, lo guardo scomparire nel portone, mi avvioverso casa. Ormai albeggia, la pensione che c'è poco distante dacasa del divo sembra un carcere fatiscente, e affretto il passo: devorientrare prima che si svegli mia madre.


Dimenticavo,io sono Elettra.



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