Capitolo Nove - Elettra

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Ora che mio padre è a casa per qualche tempo, ha l'occasione di privarmi di tutto ciò che voglio. Per lui dev'essere uno spasso. Vi ho già detto che ha una passione perversa per la violenza? Una volta sono riuscita a trovare qualcosa di positivo anche in questo, mi dicevo che Ermal - Il mio caro Ermal che tanto mi manca- aveva provato più o meno la stessa cosa. Mi dicevo che le nostre esperienze comuni ci legavano più che mai, e speravo che un giorno mi avrebbe capita e che mi avrebbe portato via da lì. Da quella casa che proprio ora mi sembra una prigione, solo perchè mio padre vuole che lo sia. Dalle finestre non filtra neanche un raggio di sole se non qualche spiraglio originato da delle falle - che benedico- nelle serrande. Quel bastardo vuole farmi sentire in prigione, e per ora ci è riuscito benissimo. La casa sembra un castello Settecentesco infestato dagli spiriti, anche se l'unico spirito sono io. Mi è concesso a stento di mangiare, trascorro tutto il tempo nel buio della mia camera e le poche volte che esco per andare in salone vengo accolta con delle occhiate furenti da parte di quell'inutile uomo. In tutto questo, non saprei dire quando ho smesso di vivere ed ho iniziato ad aspettare Settembre: questa infatti, se è prigionia, lo è solo di prova, la vera reclusione arriverà con l'autunno, quando, con la divisia militare e il berretto calato sugli occhi, mi sarà consegnata una vita che non sento mia, fatta di pane duro e disciplina. Vedo il mondo attraverso grate di cella e se pure la pelle dei miei polsi è rosea la sento illividita dal metallo di manette a cui manca la sola esistenza fisica. So che mia madre non è d'accordo, non può esserlo: lei che mi ha conosciuto, lei che ha messo al mondo la mia essenza e che di conseguenza la conosce profondamente, non può volere per me qualcosa che mi potrà solo far male. Ma che pretendo? E' lei la prima vittima.

Ricordo , quand'ero bambina, la folle rabbia che provavo anche nei suoi confronti, una candida innocente. D'altronde, quando non hai scaltrezza a sufficienza, e si augura ad ogni piccolo di non averla, i tuoi genitori sono supereroi intoccabili. Io, con cui la sorte era già stata crudele dandomi un padre che più che un supereroe era un cattivo di quelli cattivissimi- col mantello nero lungo e la risata da gelare il sangue- mi aspettavo che almeno mia madre avesse straordinarie facoltà magiche- invece stava lì, inerme, non muoveva un solo dito contro il super antagonistà Papà. Col tempo, capii che non c'era nessun supereroe, ma il mondo era pieno di cattivi e mia madre, sfiancata, non aveva le forze di opporsi, lei sola, a tutta l'armata malvagia. La perdonai con dolore, ma la perdonai del tutto e l'amai, profondamente, pure se non ero mai stata in grado di dimostrarglielo.

Non è con lei che me la prendo, è stata costretta ad assentire- non ho le forze di chiedermi come; La sento urlare di là in salotto, supplica, poi tace e seguono colpi sordi. Succede ancora, mi immobilizzo, madida di sudore, nel letto. Le mie gambe vorrebbero alzarsi e le mie mani fermare le violenze ma d'un tratto non sono più in grado di ragionare.

Urla, silenzio. E' le nenia con cui sono cresciuta, terrificante. Per un'ora in casa, non si ode nulla. Sento la gola secca e il cuore palpitare con violenza. Ma io, a scappare, devo almeno provarci. Non mi arrendo così facilmente. Non basta questo per ostacolare la mia disobbiendienza, che è proprio qua che deve intervenire. In un'atroce atmosfera mista tra buio e silenzio mi decido ad aprire la porta della mia camera che, grazie al cielo, non emmette nessun tipo di suono. Trattengo il respiro assieme alle lacrime mentra avanzo nell'oscurità della casa, vigile come una volpe. Tendo tutti i miei sensi per cercare di percepire qualche suono o movimento. Incollata alle pareti, con gli occhi inumiditi, osservo mia madre - in condizione pietose- seduta sfinita sulla sedia della cucina con la testa fra le mani. L'insopportabile, invece, è stravaccato sul divano e sembra privo di sensi di colpa. Mia madre tenta di afferarare silenziosamente il telefono abbandonato sul tavolo per chiamare aiuto mentre mio padre è distratto nell'accendere la sua sigaretta. Mamma sembra quasi riuscita nel suo intento, quando il mostro -malagurato destino- fa cadere l'occhio proprio su di lei. Si alza minacciosamente dal divano e corre a strapparle il telefono dalle mani urlandole che non deve chiamare nessuno. Io assisto alla scena. Ora il mostro è girato di spalle e la porta d'ingresso è dietro di lui e a pochi metri da me. Prendere o lasciare. Con uno scatto, mi lancio verso l'uscita più veloce che mai, afferro la maniglia e mi pare già di vedere il sole. Mio padre, però, arriva prima. Mi afferra i polsi con decisione e mi da uno schiaffo talmente forte che credo di svenire. Mentre la vista - che si era andata benevolmente a fare una passeggiata- si riprende di nuovo, mio padre si avvicina a me, con le mani convulsamente strette ai miei polsi tanto da non riuscire a farmi muovere le dita.

'' Dove credi di andare?'' M sussurra all'orecchio, spingendomi contro il muro. Con una mandata, chiude definitivamente la porta a chiave e io scappo di nuovo in camera mia, prima che possa darmi altri schiaffi.

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