capitolo 8

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Ed eccomi davanti al cancello zincato di casa mia, con le valige in mano e tanta voglia di risalire in macchina e tornare indietro. Squilla il telefono.

"Ti amo, così, per ricordartelo"

E' Jack, non lo vedo da otto ore, mi manca tanto. Ogni secondo della mia esistenza sembra perso inutilmente senza lui al mio fianco. Vorrei poterglielo dire in faccia, ora, che anche io sono innamorata di lui.

"Anch'io"

Dopo pochi secondi arriva la risposta

"Alle nove, al cinema. Ok?"

"A dopo"

Questa sera andiamo al cinema insieme, a quanto pare, la cosa mi rende un po'  allegra. In questi giorni, mio fratello continua a paragonarmi ad un cimitero: spento, buio e misterioso. In realtà sono solo piena di scazzo per la "lontananza " -non può essere definita così, lo so, anche perchè viviamo a meno di  un chilometro di distanza- e per aver dovuto sloggiare da quel paradiso terrestre dopo così poco tempo di soggiorno.

 Cerco di farmi bella, il più possibile, per quanto si possa, i miracoli non avvengono. Sono ferma davanti allo specchio, con i capelli biondo cenere che mi cadono oltre le spalle, il ciuffo che mi copre l'occhio sinistro, il trucco elegante il più possibile. Indosso un vestito nero con i pois, preso in un negozietto durante un'escursione. Sembra tutto perfetto. Tranne me.

Mancano dieci minuti all'appuntamento, ed io sono già sul posto di ritrovo. Il luogo è affollato e decisamente confusionario. Non trovo Jack, si che sono in anticipo ma di solito anche lui arriva sempre presto. Mi siedo e decido di aspettare. Sono le nove. Le nove e dieci. Le nove e venti. Le nove e trenta. E io sono ancora seduta al tavolino del bar ad aspettarlo. Lo chiamo, squilla ma non risponde. Penso "e adesso dove si è cacciato?".Dopo circa cinque minuti ricevo una telefonata sul cellulare, da un numero sconosciuto.

"Pronto?"

"Signorina Diana?"

Dall'altra parte mi risponde una voce maschile, che però, sfortunatamente non è quella di Jacopo.

"Si sono io, chi parla?"

Comincio a preoccuparmi.

"E' il pronto soccorso di Las Vegas, può raggiungerci?"

Capisco al volo che deve essere successo qualcosa a Jack, allora neanche il tempo di staccare la telefonata che mi alzo in piedi, prendo maglia e borsetta dal tavolo ed esco sulla strada.

" Arrivo subito"

Prendo il primo taxi, e ordino di portarmi all'Ospedale Comunale. Dopo pochi minuti arriviamo al pronto soccorso. Scendo di fretta e mi catapulto dentro, oscillandro tra barelle e spingendomi fra infermiere. Una di loro mi blocca mentre corro per il corridoio che sembra infinito.

<<Scusi, sono Diana>>

<<Lo immaginavo. Mi segua>>

La sua voce è quella di una persona che mi compatisce come se fosse successa una disgrazia. Io non voglio pensare al peggio. Un dottore di circa cinquanta anni, alto, con i capelli grigi viene verso di me.

<<Dottore, mi dica cos'è successo.>>

<<Sediamoci>>

Ormai le lacrime cominciano ad uscire dai miei occhi, non riesco a trattenerle. Mi siedo.

<<Era in macchina, quando un furgone gli ha tagliato la strada. Un altro ragazzo, che era dietro di lui con la sua auto, chiamò il pronto soccorso. Appena arrivato, prima di... addormentarsi.. ha chiesto di te. Allora abbiamo cercato il tuo numero in rubrica e ti abbiamo contattata.>>

Mi sento le gambe tremare, la testa girare e le mani diventare sempre più fredde.

<<Cosa gli è successo?>>

Il dottore sospira, come per prepararsi lui ad accettare qualcosa di tragico.

<<Abbiamo fatto il possibile>>

<<E' morto?>>

Dico io in maniera fredda.

<<Non ancora>>

Cosa significa non ancora? Che non è morto ma succederà al più presto? Mentre sembra che il mondo stia cadendo su di me, ci alziamo e mi fa entrare nella stanza. E' chiara, pareti chiare, letto chiaro, tutto chiaro, come per trasmettere una serenità che in realtà non c'è. Lui è sdraiato, con gli occhi chiusi. Lui è in coma. Lo guardo, non ho la forza di piangere, non ho la forza di parlare. Pochi secondi dopo arrivano i miei genitori accompagnati dai suoi, che sapevano già tutto. Chiedo loro di poter rimanere io a passare la notte con lui e loro annuiscono e escono dalla stanza.

Ora ci siamo solo io, lui, e il bip del macchinario a cui è collegato. Fuori un cielo buio, con la luna e le stelle. La fisso bene quella Luna, è la stessa che stava con noi sopra le onde qualche ora prima.

Mi avvicino a lui, gli prendo la mano destra e gli do un bacio sulla fronte, poi mi avvicino al suo orecchio.

<<Ti amo, amore mio, ti amo più di qualsiasi altra cosa a questo mondo. Lo so che mi senti, lo so. So che ti risveglierai e che passeremo il resto della nostra vita insieme. Lo so. Ora, nel tuo sonno, pensa a noi e a tutto quello che splende per noi. Il sole, la luna, le stelle. Pensa a noi, sopra le onde e urla il nostro nome, così che tutti gli angeli in cielo si possano ricordare di noi. Ti amo, Jack, ti amo.>>

Urla il nostro nome sopra le ondeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora