I ticchettii dell'orologio rimbalzano al mio orecchio come se volessero indispettirmi e farmi comprendere che anche il tempo ama prendersi gioco di me. Impeccabile nel suo scorrere inesorabile: lento e doloroso quando non vorremmo altro che passasse velocemente; invece, troppo breve e fugace quando ne desideriamo di più per poter rendere eterno ogni nostro frammento di pura felicità.
Eterno, sì, ma oltre misura.
Tuttavia, che grande assurdità credere che la felicità possa durare all'infinito.
Una grande, gigantesca illusione. Un porto sicuro in cui ci abbandoniamo completamente per non soffrire; un teatrino, uno spettacolo da quattro soldi, che ha come burattini gli esseri umani e come avido burattinaio il tempo, appunto, che gioca ingordamente.
Non riesco a fare altro che galleggiare a malapena in questo mare di affanni e mi chiedo fino a quando avrò ancora la forza di nuotare in superficie per lasciarmi scivolare addosso la coltre oscura dell'abisso che intanto sembra così confortante, così appagante.
Poi scuoto la testa, poso la mano su questo ventre che non è più solo carne, che non appartiene più soltanto a me.
Sorrido perché ciò che gli altri definiscono "problema che ti rovina la vita per sempre", per me è ciò che di più bello mi potesse capitare, quella piccola grande gioia che mi offre nuovamente la speranza e con essa la consapevolezza di esistere per uno scopo tanto meraviglioso.
La sedia posta dall'altra parte del tavolo viene bruscamente spostata, rivelando l'arrivo della persona che stavo disperatamente aspettando.
Improvvisamente tutti i rumori, che prima erano assopiti e resi lievi dalla moltitudine di pensieri che vorticava nella mia mente, tornano ad assalirmi violentemente, portandomi in uno stato confusionale.
«Cos'è, oggigiorno non si salutano più gli amici?» la guardo per alcuni secondi prima di posare i piedi per terra e tornare con la mente in questo squallido bar della periferia.
«Ciao, mi sei mancata» mi trovo a sussurrarle, un po' imbarazzata.
Sul suo viso si allarga un sorriso radioso, che mostra apertamente tutto il fascino della giovane.La donna ha degli splendidi occhi blu, folti capelli rossi e una vivace spruzzata di lentiggini sulle guance piene. Un corpo sinuoso e sensuale, che non si fa alcun problema quando ha bisogno di mostrare una fierezza e una sicurezza ferrea che non capitolano mai.
«Non vorrai mica farmi credere di avermi chiamata e di avermi fatta venire qui solo per rivedermi, e non per lui?» beccata in pieno, d'altronde ho sempre saputo di essere un libro aperto e che lei fosse l'unica a capire il mio stato d'animo con una sola occhiata.
«No! Ovvio che volevo anche sentirti, cioè non "anche", semplicemente rivederti. Ecco tutto»
Mi scruta attentamente e mi sento perforare -nel vero senso della parola- da quei penetranti occhi glaciali.
«Avanti! Ti conosco da una vita, che cos'ha fatto quell'imbecille 'stavolta?» m'interpella poggiando le sue lunghe gambe sul tavolo, facendo dondolare di qua e di là i suoi stivaletti a punta preferiti.
«Giù le gambe dal mio tavolo, stronzetta!» tuona di fatto il proprietario del bar, che sembra conoscerla molto bene, direi quasi che tra loro due ci sia una lieve intimità.
La giovane non esita ad ammiccare nella direzione dell'uomo.«Oh, avanti, bellimbusto! Se fai il bravo con me ti ricompenserò egregiamente, promesso.» asserisce vivacemente, mandandogli un bacio da lontano con la mano.
Ecco, appunto.
Torna a concentrarsi su di me.
«Allora, mia grande socia?»
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Come mondi paralleli
RomanceI soldi non fanno la felicità. Violet Price ne ha la conferma quando chiude la porta della camera 323. Tasche piene, cuore vuoto. Bisogna farsi le ossa per raggiungere i propri sogni. Anita Hamilton ne è sempre stata sicura, ma dopo tanto dispendi...