Capitolo 27 di Ashton Taylor

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La osservo mentre la sua figura compare oltre le porte del ristorante, completamente spaesata e fuori luogo.

Quella ragazza è impossibile.

I capelli le volano letteralmente al lato del viso e, più volte, incespica con le mani per riacciuffarli e portarli dietro le orecchie. Ce ne vuole di tempo prima che si accorga di me e, quando lo fa, mi appresto a distogliere lo sguardo. Cammina verso questa direzione per poi rifugiarsi nel caloroso abitacolo della mia auto.

«Dì la verità, temevi di essere sollevata e trascinata via dalle raffiche del vento, vero?» le domando ironicamente.
«Tu, non una parola sui miei capelli!» mi punta l'indice contro per poi osservare freneticamente le finestre vetrate del ristorante.

«Vai, vai, prima che ci veda!» esclama infervorata ad un tratto. La guardo stralunato, per poi scuotere la testa e accontentare le sue "richieste" insistenti. Con gran velocità metto in moto e sfreccio lungo le strade del centro, fino a quando una coda di auto non mi costringe a rallentare e quasi a fermarmi.

La vedo sprofondare nel sedile, il petto che si muove frenetico sotto i respiri accelerati per via dell'adrenalina accumulata.

«Dove andiamo, adesso?»
«In un posto»
«Non puoi dirmi dove?»
«Lo vedrai»
«Ma...»
Le lancio uno sguardo rapido prima di riportare gli occhi sulla strada. Sbuffa, socchiude le labbra e poggia il viso sullo sportello, occupata a guardare al di là del finestrino.
«Non ti sopporto»

Sto facendo una stronzata, lo so.

Ma è come se a guidarmi fosse il desiderio inconscio di trovarmi nel mio posto preferito con l'unica persona che non riesce ad abbandonare la mia testa.

Me ne pentirò amaramente, lo so.

«Vieni» scendiamo dall'auto, la strada è buia e lei si guarda intorno guardinga.
«Ma dove mi hai portata?» tra le mani impugna una sorta di flaconcino rosso. E quando capisco di cosa si tratta, alzo un sopracciglio.
«È uno spray al peperoncino, quello?»
«Non ti conosco, Ashton»
«Pensi che io possa farti del male?»
«Non lo penso, ma non ho avuto belle esperienze con alcune persone del posto, sai?»
«Nessuno ti farà niente finché sei con me»
«Beh, l'altro giorno rischiavamo soltanto che una pallottola ci attraversare il cranio, che sarà mai?»
«Però non è successo, no?»
«Mh, rassicurante»

Con un calcio spalanco la porta nera dell'edificio imponente mentre lei, presa alla sprovvista, sobbalza. Poi le porgo la mano. La guarda esitante, indecisa sul da farsi.

«Fidati di me, Anita» sussurro, osservando attentamente ogni sua piccola reazione.
Dopo alcuni minuti, sospira. Posa la sua mano sul palmo della mia, così l'afferro con delicatezza e insieme saliamo le scale del condominio abbandonato.

Non le do molto tempo per curiosare in giro e, in fretta, giungiamo ai piani più alti. Resta solo una porta di metallo mezza sgangherata a dividerci dalla meta. La spalanco e poi mi fermo, voltandomi indietro verso la ragazza, la cui vista è ostacolata dalla mia figura.

«Soffri di vertigini?»
«No, perchè me lo chie...-
Qualsiasi cosa stesse per dire, viene interrotta dal panorama a cui assiste e dalla meraviglia che, tutto d'un tratto, le ravviva il volto.

Un migliaio di stelle brillano nel cielo scuro, illuminandolo come se fossero lucine sull'albero di Natale, il meraviglioso silenzio della quiete accompagna la visione mozzafiato della periferia notturna, del centro e oltre, fino a delineare i confini delicati del mare. Anita cammina lentamente, esterrefatta.

«Wow, non ho mai visto nulla di più bello...» afferma poggiando le mani sul muretto che la separa dal vuoto. Con gli occhi grandi e luminosi, le guance arrossate e i capelli mossi dal vento sembra totalmente stregata dal panorama che le si presenta davanti.
«Nemmeno io» le rispondo, osservandola incantato.

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