Capitolo 38 di Violet Price

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Una volta una barista disse che credere di aver trovato l'amore della propria vita sia una delle illusioni più grandi a cui l'essere umano si possa sottomettere.

L'ascoltai e rispettai le sue parole, ma non le credetti.
Così, sbagliando, la ignorai.

Ora sconto le pene, pago il prezzo più alto e il costo più elevato di quella mia pessima scelta.

Più mi impegno per non pensarci e più ci penso.
Più mi convinco di essere ancora in grado di dormire e più non riesco a chiudere gli occhi.

Ho permesso che mi venisse servito l'opposto di quello che mi sono sempre aspettata. So dove mi trovo, ma non ho la più pallida idea di ciò che voglio.
Ho paura? Forse, non ne sono sicura, chi può dirlo?
Se mi volto indietro non so quali siano i passi sbagliati da non dover ripercorrere; se, invece, mi guardo di fronte, non vedo altro che ostacoli pronti a farmi perdere d'animo.

L'amore non fa male,
l'amore è soltanto una conseguenza. La causa sono io.

Non so cosa pensare di me stessa, soprattutto adesso che sono di nuovo qui, tra le vie di un quartiere e poi lungo i marciapiedi di un altro, senza nemmeno ricordarne le motivazioni.

Ho bisogno di mia madre.
Ora, più che mai.
Ho bisogno di lei come si ha bisogno dell'aria per respirare.

Qui mi sembra soltanto di incassare colpi senza mai riuscire a stare in piedi. Calo sempre più in giù, sbattendo con il capo contro le monotone giornate ostiche.

Fa un male cane questa consapevolezza, un dolore atroce che si infila dappertutto, anche nelle gambe che stentatamente raggiungono il solito cancello.
Distrutta, rimpiango ogni mio gesto. Nulla è più imponente del casino che mi sta frullando nel cervello.
Sono un fallimento. Ed è tutta colpa mia, questo è il peggio.
Non sono stata in grado di mettere fine ad una relazione che mi ha logorata e ora ecco l'esito di ogni mia azione, che mi sta trascinando alla deriva.
David mi fa schifo. La sua presenza oltre le mie spalle mi ha letteralmente impaurita e, più barcollo in avanti provando a dimenticare gli sguardi deplorevoli che sento addosso, più sento il suo profumo dentro me, che mi trascina a terra e mi fa vorticare senza darmi modo di controllarmi.

Busso alla porta; una, due, tre volte e poi comincio ad urlare perché probabilmente ho dimenticato la carta della camera a casa e ora non ho più nemmeno modo di sprofondare tra le coperte.

Non posso metabolizzare quello che ho visto, alcune sensazioni nascono per restare dentro, ti trafiggono del tutto, tiranneggiando, senza che tu possa darti alcuna giustificazione. Io non posso fare nulla, infatti. Sono su una strada sfoderata da auto che sfrecciano a destra e sinistra, il sangue raggela nelle mie vene e i nervi non fanno altro che spazientirmi, rendendomi suscettibile ed estremamente vulnerabile. Ed è proprio la rabbia che percepisco zampillare in me ad indurmi a prendere a pugni la porta, che ad un tratto si apre.
Vedo la faccia di Anita e i suoi occhi stravolti dalle lacrime.
Vedo la mia coinquilina e riconosco nella mia irrazionalità la sua sofferenza.
Mi sembra di specchiarmi nei suoi occhi, ma non riesco a parlarne perché tutte le mie parole sono rimaste in quella stanza, tra quelle luride coperte madide di sudore e la fronte imperlata di David.
Mi sento sporca, sporca come non mai e terribilmente stupida da farmi compassione da sola.
Anita mi urla ed io le urlo contro a mia volta di smetterla di urlare. Forse è l'ultima persona che avrei potuto chiamare ma è la prima che mi è venuta in mente, l'unica che nonostante ogni sbaglio mi è rimasta accanto.
Mi sto aggrappando ad ogni briciolo di forza per evitare di lasciarmi andare ma ho un vuoto nel petto che non smette di dilaniarsi, mentre voci mi sussurrano in coro di aver sbagliato ogni cosa, di essermi nuovamente lacerata per chi non avrebbe mosso nemmeno un passo per me.
Cosa ho trovato di così tanto abbagliante in David? Erano forse i suoi occhi? Le sue parole? Il suo carattere?
Perché era così importante che mi restasse accanto, perché ho voluto tenerlo con me a tutti i costi, rifiutando di guardare in faccia la realtà dei fatti?
Perché sono stata così debole da rifugiarmi tra le sue spalle forti? Mi è bastato vederlo con un pezzo di carta in tasca, un cuore pronto a battere e un sorriso lucente per pendere dalle sua labbra?
A questo punto avrei fatto meglio a non essere cresciuta con questi ideali ben saldi, avrei fatto meglio a fidarmi di gente diversa, gente che la strada non l'ha percorsa a suon di applausi, ma che la strada l'ha percorsa a suon di ricordi.
A questo punto sarebbe stato meglio chiunque. Più penso a ciò che mi è successo e più ammutolisco, chiudendomi nel mio silenzio e nei miei singhiozzi costanti, senza un minimo di forza per andare avanti, non ne ho proprio la voglia, ne ho abbastanza.
Volto il capo, ma vedo soltanto ombre, poi sento Anita sussurrarmi qualcosa, la voce incrinata, il naso che tira su chissà quante quantità di lacrime.
Mi dico che questa è soltanto la vita di ogni essere umano, ma non mi basta. L'autoconvinzione stavolta non è abbastanza convincente.
Il mio cervello ha smesso di alimentarsi con parole di cortesia, adesso ha soltanto bisogno di esplodere perché è stato messo a dura prova per troppo tempo. Me ne pento, mi pento di tutto. Di quello che ho provato e di tutto quello che ho rischiato. Ho dato me stessa e anche di più per un bastardo che non ha esitato a portarsi a letto la propria migliore amica. Ho la nausea e a tratti mi manca il respiro. Mi sembra quasi di svenire, ma ciò non avviene perciò continuo a tempestarmi di domande e ricordi, continuando a divorarmi il cuore con accuse e offese.
Io sono nel torto, io ho scelto di amare il ragazzo sbagliato. Se non l'avessi fatto, a quest'ora non mi troverei in queste condizioni.
Ricordo quando lui non aveva nulla ed io ero perdutamente innamorata del suo volto angelico, del suo modo di porsi e dei suoi sorrisi sbilenchi.
A tratti mi sembra di riconoscerlo nei miei discorsi mentali, lì, nella testa, dove ogni sua parola sembrava essere destinata a rendermi felice e ogni suo sguardo aveva il compito di tiranneggiare su di me.
Avrei dovuto aspettare un altro po' di tempo, conoscere a fondo il mio ragazzo primo di reputarlo tale o di andarci a convivere letteralmente.
Più capisco che David ormai è il mio ex e più sento il peso della rabbia e della paura manifestarsi del tutto su di me.
Il futuro è soltanto un attimo che ora non esiste più e per ricomporre ogni pezzo andato perduto ci vorrà un'eternità di tempo troppo lunga perché io possa viverla a pieno.
Salto qua e là tra un pensiero e l'altro, lasciandomi trasportare dalla confusione mentale che mi sta scagliando contro ogni freccia letale, mi sembra di sanguinare, di avere un forte nodo nella pancia che soffoca e non mi permette di percepire quanta aria mi resta.
La gola mi pizzica e ho gli occhi annodati dalla stanchezza. Comincio a grattarmi le braccia, sembra stiano per bruciarmi, un dedalo di graffi mi riveste e mi sembra di impazzire, di essere impossessata da una presenza interiore.
Mi accarezzo la pelle scossa, ma vedo soltanto linee rosse che si susseguono. Poi sento le urla di Anita, così forti da penetrare perfino i miei timpani addormentati.
Non capisco cosa dice, ma so che sta urlando qualcosa.
Apro gli occhi, anche se in realtà non li ho mai chiusi e mi ritrovo ferma con la stanza che gira intorno a me.
Ripeto un solo nome.
Anita. Anita. Anita.
E poi sento il suo profumo.
E poi sento la sua presenza.
Vedo i suoi occhi.
Vedo mille mani intorno al mio petto.
Il battito accelera e decellera, senza alcun senso logico. Non so cosa fare, ma va bene così, andrà meglio prima o poi.
Quasi mi pare di non essere viva, poi una forte scintilla mi oltrepassa il corpo, sembra sia stata punta da un'ape o che qualcuno mi abbia fatto una siringa.
Mi lascio andare.
Dimentico tutto.
La testa affonda.

***
Probabilmente c'è una fine a tutto.
C'è una fine alla paura di non fare la scelta giusta, agli impegni continui che a volte sembrano rotolare l'uno dopo l'altro, ad ogni percorso cominciato. C'è una fine per ogni emozione. Una fine per ogni nuovo proposito, per ogni esperienza, per ogni obiettivo mai raggiunto. C'è la fine di ogni giornata, la fine di ogni persona, la fine di ogni inizio. E quindi, pensandoci, sarebbe stato da stupidi credere che non potesse esserci anche la nostra fine.
Anita tira su col naso. Lei è forte.
Lei ha paura. Ha paura almeno quanto ne ho io, che non faccio altro che maledirmi per quello che ho fatto.
Vorrei farmi uno di quei discorsi autoconvincenti ed enfatici per darmi la spinta giusta per provare a credere in me stessa, ma ora come ora sento ogni tassello a terra, ridotto in mille pezzi da me.
Fa male ridursi in cenere pensando di poter lasciar così prevalere la propria felicità.
Fa male amare qualcuno e soffrire ancora nonostante quel qualcuno non provi le stesse sensazioni.
Fa male ogni cosa, mi fa male ogni cosa. Mi faccio male. Ecco qual è la verità.
Fa male sentire il suo profumo addosso, le sue mani contro la mia schiena, le sue labbra tra le mie come a giurarmi amore.
Ma cos'è l'amore?
Ogni sua traccia è impressa dentro me.
Nella mia testa, dove tutto ora è stravolto. Ogni neurone consumato del tutto, acciambellato nel gelo totale, orfano di un sentimento di cartapesta, una convinzione stupidamente generata.
Dentro me.
Dove ogni suo sguardo intagliava un nuovo battito, che imbiancava tutto il male che ero riuscita a lasciar erompere, la sconfinatezza di dolore a cui mi ero avvinghiata.
Non piango per averlo amato, piango per la consapevolezza di non poter smettere di amarlo.
Lui è parte di me.
Sguazza tra le mie sinapsi senza darmi tregua.
È dura, ma lo sarebbe di più illudermi di poterlo dimenticare, illudermi di poter provocare rivoluzione.
Tanto in fondo so che mi basta saperlo lontano da me per mancarmi e contorcermi. Preferisco consumarmi, a metabolizzare si finisce col perdersi nella cognizione degli anni e io non ho bisogno di questo.
Vorrei non essere a conoscenza di quanto la sua assenza stia rendendo debole la mia presenza, ma ho David in ogni singolo punto di me stessa, non posso fare a meno di lui.
Forse ci ho provato.
C'è stato un periodo in cui ho fatto finta di andare oltre, ho scrollato le spalle e ho vissuto la mia vita.
Ma tutto è cambiato quando ho capito di non averlo più in pugno. Tutto è cambiato quando mi sono resa conto di essere stata sostituita, di essere stata preferita con una leggerezza maggiore.
Tutto cambia quando i gatti sono via.
I topi ballano.
Eccome.
Ma non finisce qua. David non ritornerà a piangere tra le mie braccia, me lo sono ripromessa e questa è la volta giusta per mettere un punto ad una relazione che forse non avrebbe mai dovuto avere alcun inizio.
Lo amo, ma non si ama individualmente e non posso continuare a ritrovarmi tra le mie stesse scarpe, sentendomi fuori luogo, senza sapere dove andare, come se lui fosse casa, l'unico porto a cui affidarmi.
Non voglio vederlo marcire tra i suoi stessi fallimenti, semplicemente non voglio più vederlo.
Proprio come lui.
Non è che voleva ferirmi, semplicemente non aveva più intenzione di amarmi.
Questione di dettagli. Peccato che siano proprio questi a distruggere i legami più forti.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 29, 2020 ⏰

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