Milano, 22 marzo 1848

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Tancredi Castelli si sistemò con cura gli occhiali sul naso, stando ben attento a non sfiorare le lenti con il dito: tentativo vano.

Dal momento che sarebbe stato poco saggio camminare in una città in rivolta senza vedere nulla, il giovane decise di fermarsi a pulire la lente colpita con un angolo della camicia.

Risistemati, senza nuovi incidenti, gli occhiali, Tancredi si guardò intorno: da ogni parte accorrevano cittadini, nella cupa notte di Milano, a proteggere la città, ormai quasi completamente in mano ai nativi.

Dopo aver maledetto se stesso per non essere nato nella sicuramente più tranquilla e razionale Milano del secolo precedente, la Milano dei Parini, dei Verri e dei Beccaria, Tancredi corse ad aiutare gli insorti.

Non aveva ancora compiuto molti passi quando sentì due voci il cui accento, pur essendo del nord, non era certo milanese.

"Giorgio" disse la prima voce "sei sicuro che questa sia la strada giusta?". "Credo di si, Marco" rispose la seconda "così ci ha detto quel ragazzo".

Il lombardo immaginò che si stesse riferendo ai Martinetti, giovani orfani che, durante la rivolta, guidavano i forestieri per le vie di Milano.

Due giovani figure si stavano avvicinando e Tancredi le osservò minuziosamente: erano due giovani uomini, probabilmente avevano la sua stessa età; entrambi di altezza media, ma uno dei due, la prima voce da lui sentita, era leggermente più basso dell'altro; quello più alto aveva i capelli ricci e gli occhi verdi, l'altro aveva occhi castani e capelli lisci; il riccio aveva un passo più veloce e deciso dell'amico, che doveva faticare per riuscire a seguirlo, d'altra parte, però, il ragazzo alto rallentava spesso per aspettare il compagno.

"Chiediamo a lui" esclamò quello che aveva capito che si chiamasse Marco.

Il povero Tancredi sperò invano che non stessero parlando di lui, non era dell'umore giusto per fare da guida a due nuovi giovani folli patrioti venuti da chissà dove.

Purtroppo per lui, i due giovani si erano già avvicinati "Salve" chiese quello riccio, presumibilmente Giorgio "voi siete milanese?".

"Si" rispose Tancredi, sperando che finisse in fretta "di cosa avete bisogno?".

"Vogliamo aiutare" rispose Giorgio "siamo arrivati qui ieri notte e poco fa ci hanno detto che hanno bisogno di rinforzi a Porta Tosa, ma..."

"Ma non sapete che strada percorrere" concluse per lui Tancredi "Seguitemi" consigliò poi, stupito dalla sua stessa gentilezza "anche io mi sto dirigendo laggiù".

I tre avevano cominciato a camminare da pochi minuti, quando Tancredi cominciò a sentire gli effetti della mancanza di una conversazione. "Da dove venite?" chiese.

"Siamo di Genova" rispose Marco, senza aggiungere altro.

Tancredi tentò una seconda volta "E perché siete venuti a Milano?"

Giorgio e Marco si guardarono negli occhi, non sapendo se fosse consigliabile parlare.

"Oh, insomma!" sbottò allora Tancredi "Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione, vi giuro che avete più possibilità di morire sul campo che non rivelandomi i vostri ideali, nemmeno foste mazziniani... " Si interruppe, avendo notato il cenno dei due amici "siete davvero mazziniani?"

Marco e Giorgio annuirono, gli occhi fissi su Tancredi, in attesa di una sua reazione.

"Almeno siete repubblicani" borbottò il milanese "sarebbe stato peggio se foste stati ammiratori di quel re tentenna di Carlo Alberto".

"Non saremo mai monarchici, sarebbe una bestemmia! " rispose Marco con veemenza. "Voi, piuttosto" continuò un più pacato Giorgio "ho compreso che siete repubblicano, ma... ".

"Sono un seguace di Cattaneo" rispose Tancredi "un federalista".

"Vi potete spiegare meglio?" chiese Marco, contemporaneamente pensieroso e incuriosito.

"Ritengo che noi ci dovremmo ispirare all'ordinamento svizzero e statunitense per formare gli Stati Uniti d'Italia e, in futuro, gli Stati Uniti d'Europa" rispose Tancredi, cercando di spiegare le proprie idee nel modo migliore.

"Non riuscirò mai a concordare con voi circa gli Stati Uniti d'Italia" rispose Giorgio, mostrando di apprezzare, per quanto gli fosse possibile, le idee del lombardo "ma non mi dispiace l'idea di una fratellanza fra i liberi popoli d'Europa".

Il tre giunsero in fretta nelle vicinanze di Porta Tosa. I due genovesi rimasero stupiti dalla grande diversità degli insorti, sia borghesi sia popolani. Ma un fatto li colpì profondamente: un gran numero di essi era composto da donne.

Lo scontro durava da una giornata intera e solo da poco Luciano Manara era riuscito a conquistare la porta della città.

"Cosa sono quelle?" chiese Giorgio indicando le fascine bagnate di tre metri di diametro che gli insorti facevano rotolare davanti a loro.

"Barricate mobili" rispose Tancredi "un'invenzione di un ex ufficiale napoleonico" rispose Tancredi, mentre, preparandosi a combattere, prendeva in mano il fucile.

Giorgio non aveva mai preso in mano un arma carica prima di quel giorno: una volta, da ragazzo, quando ancora non aveva aderito al progetto mazziniano, aveva finto di combattere con una vecchia pistola francese trovata in un baule appartenuto a suo padre; non ricordava di aver mai visto il suo genitore più arrabbiato di quanto fu quel giorno, quasi fosse impaurito.

Marco aveva aspettato per lungo tempo la possibilità di combattere in un vero campo di battaglia, con delle veri armi e contro veri nemici: non era come lo immaginava.

Entrambi erano disposti a morire per la patria e per la libertà, entrambi, in quel momento, detestavano uccidere per quei medesimi due ideali.

Se, pochi anni prima, qualcuno gli avesse detto che avrebbe combattuto sulle barricate per difendere la sua città dagli austriaci, Tancredi lo avrebbe preso per pazzo.

Aveva una formazione illuminista e una tendenza innata a cercare la via più razionale possibile per la risoluzione di ogni problema e di ogni conflitto: era guidato dalla ragione, non dalla passione.

Per lungo tempo era stato convinto di essere nato nel secolo sbagliato: quanto avrebbe voluto vivere nel secolo dominato dalla luce della ragione!

Scendere in piazza non fu né razionale né premeditato, ma come avrebbe potuto rimanere insensibile davanti alle richieste dei suoi concittadini?

E quando gli austriaci, passati al contrattacco, avevano cominciato a uccidere i ribelli, non era stato forse suo dovere di uomo e di cittadino schierarsi al fianco degli oppressi?

D'altra parte sarebbe stato più razionale schierarsi dalla parte del governo legittimo, con gli austriaci che governavano Milano, magari chiedendo alcune concessioni... Forse non era nato nel secolo sbagliato...

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