Genova, 9 settembre 1847

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Giorgio Bacigalupo uscì di mattina presto dalla sua dimora, situata nel centro di Genova.

Le campane dovevano ancora suonare le sei del mattino e l'aria, pur risentendo ancora del caldo estivo, era frizzante.

Il suo passo spedito lo portò in una manciata di minuti presso il luogo in cui era diretto.

Cominciò a guardarsi intorno alla ricerca della persona che stava aspettando, ma, con grande stupore, non la vide da nessuna parte.

"Giorgio! Sono qui!"

L'esclamazione improvvisa costrinse il giovane Giorgio, colto alla sprovvista da quella voce, a voltarsi.

"Marco, perché sei in ritardo? Temevo che tu non venissi."

Gli occhi verdi di Giorgio fissavano in maniera severa il volto di Marco, che, agitando i capelli neri e lisci con la mano sinistra, tentò di scusarsi.

"Mi dispiace, ma mi sono addormentato poco dopo essermi svegliato. Ora, però, fammi sapere come è andata."

Se non credessi che voi lettori possiate avere qualche difficoltà a comprendere l'argomento di cui i due discuteranno tra poche righe, non interromperei la narrazione ancora prima della fine del capitolo iniziale.

Dovete sapere che i due giovani genovesi di cui sto raccontando stanno vivendo appieno il periodo storico in cui hanno avuto la fortuna di nascere: entrambi hanno aderito con un entusiasmo quasi estremo alle idee unitarie e repubblicane proprie di Giuseppe Mazzini, che all'epoca era costretto a vivere in esilio in Inghilterra.

Giorgio è tornato da poco da un viaggio a Londra, compiuto insieme a suo padre, un mercante. Marco, rimasto in patria, vuole conoscere se l'amico è riuscito a raggiungere quello che per lui era il vero fine di questo viaggio.

Ovviamente i due amici non possono discutere di tali argomenti senza prendere nessuna precauzione, quindi non nomineranno mai nomi che potrebbero essere compromettenti, pur avendo una maggiore libertà legata all'orario (che riduceva sensibilmente la possibilità di essere uditi da persone sgradite).

Giorgio, dopo essersi assicurato che nessuno li stesse ascoltando (e non fu difficile, a quell'orario erano gli unici presenti in strada ) si avvicinò al cugino e rispose sottovoce.

"Purtroppo sono riuscito a vederlo solo di sfuggita: poco dopo essere arrivato sono stato colto da un febbrone improvviso, di cui ti avevo parlato anche per lettera, e ciò mi ha impedito di attuare il nostro piano."

"Dannazione" imprecò Marco, tentando di non rendere troppo alto il volume della sua voce "hai idea dell'occasione che abbiamo perduto? Solo Dio sa quando ci potrebbe ricapitare un'opportunità del genere."

"Credi che non mi dispiaccia?" rispose Giorgio con un tono di voce che sembrava ancora più amareggiato di quello dell'amico "Non riesco a perdonarmi: se non mi fossi ammalato non avremmo avuto alcun problema."

"Non ti sto incolpando" disse Marco sottovoce "ma, sapendo ciò che è accaduto e sta accadendo nel Mezzogiorno, ci sarebbe certamente servito qualche consiglio."

Mentre Giorgio ascoltava con attenzione le ragioni dell'amico, la sua mano stava tormentando - un gesto che ripeteva fin da quando aveva memoria di esistere - i suoi ricci neri.

"A proposito" sospirò "tu pensi di... andare laggiù?"

Ovviamente Giorgio voleva chiedere all'amico se avesse intenzione di andare a combattere insieme agli insorti di Reggio Calabria, ma, per i motivi che sappiamo, non gli era stato possibile essere più esplicito di così.

"Lo vorrei tanto" rispose Marco tristemente "ma non ho idea di come fare; non è facile trovare un modo per andare laggiù... Adesso"

Giorgio gli diede ragione "E" continuò "anche se lo trovassimo, non riusciremmo ad arrivare: mio padre conosce tutte le navi che partono o arrivano a Genova."

Marco era piuttosto rattristato "Dunque siamo costretti ad aspettare." sputò amaramente il giovane. Poi, però, i suoi occhi brillarono di una nuova speranza "Sai, secondo me ci siamo, sento che sta per accadere qualcosa di rivoluzionario... Magari, un giorno, anche questa città si ribellerà ai Sa..."

Giorgio era intervenuto prontamente per stroncare sul nascere le affermazioni repubblicane dell'amico, che avrebbero procurato ai due giovani diversi dolori se sentite da qualche tutore dell'ordine.

"Perdonami" si scusò Marco "mi sono lasciato prendere la mano."

Giorgio, dopo aver notato l'aumentare del numero di persone presenti nella strada e l'accrescimento delle idee rivoluzionarie di Marco, ritenne opportuno cambiare completamente l'argomento della conversazione.

"Sai" disse " mi ricordo se ti ho detto che io e mio padre ospiteremo Emilia e i suoi genitori per Natale".

E qui occorre fare un'ulteriore precisazione: il padre di Giorgio, come già accennato, è un mercante. Spesso Giorgio lo aveva accompagnato nei suoi viaggi e, durante una non breve sosta nello Stato Pontificio, aveva conosciuto la giovane romana Emilia Felici. I due giovani avevano poi avuto un rapporto epistolare e si erano innamorati l'uno dell'altra.

Marco colse al balzo la palla dell'amico e continuò a discutere di tale argomento.

"Davvero?" chiese sorpreso "Finalmente avrò la possibilità di conoscerla. Fortunatamente" e qui il sarcasmo crebbe talmente tanto da poter essere notato almeno fino a Torino "è come se l'avessi già incontrata, dal momento che non c'è attimo in cui non mi parli di lei."

Giorgio ridacchiò "È buffo" disse "che tu me lo faccia notare, anche Emilia mi ha scritto che le sembra di averti già conosciuto, tanto le ho raccontato di te nelle mie lettere."

Marco sembrò stupefatto "Dunque vuoi dire che tu parli di me nelle lettere per la tua fidanzata? E lei ti risponde pure?"

Giorgio finse di essersi offeso per le derisioni rivolte al suo rapporto con l'amata ma sapeva che, sotto sotto, a Marco aveva fatto piacere saperlo.

Continuarono a parlare del più e del meno mentre le ore passavano, l'aria iniziava a riscaldarsi e le strade e i vicoli di Genova si cominciavano a riempire di gente affaccendata in vari mestieri.

Passarono davanti al teatro mentre, da ogni parte, si sentivano discorsi tenuti in italiano mischiati a discussioni in genovese.

I due giovani procedevano l'uno accanto all'altro, ignari di ciò che sarebbero stati chiamati a fare da lì a poco.

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