Milano, 7 aprile 1848

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Marco si stava dirigendo verso l'albergo Bella Venezia, ancora scosso, stupito ed entusiasta a causa di quanto aveva sentito. 

Stavano ripulendo i loro fucili, quando furono interrotti dalla voce di Tancredi. 

"Giorgio, Marco" aveva detto "volete conoscere una bella notizia?".

"Che cosa è successo, Tancredi?" aveva risposto  Giorgio "Il nostro paese è finalmente libero e repubblicano?".

"Purtroppo no" era stata la risposta di Tancredi "ma credo che ciò che sto per annunciarvi vi possa essere comunque  gradito".

"Tancredi" si era quindi lamentato Marco "non tenerci sulle spine! Che cosa è successo?".

"Il vostro Mazzini sta per arrivare qui, a Milano".

Mazzini avrebbe alloggiato proprio all'albergo Bella Venezia: loro erano diretti laggiù.

Giorgio e Marco camminavano assai velocemente, ma non sembrava che provassero alcun tipo di stanchezza.

Tancredi, che, essendo nativo di Milano, avrebbe dovuto essere posto alla testa di quella strana spedizione, arrancava dietro ai suoi amici, limitandosi a gridare "Destra" o "Sinistra" quando giungevano davanti a biforcazioni.

Giunti davanti all'albergo, notarono un'enorme folla che, arrivata prima di loro, si era ammassata davanti all'entrata dell'albergo. Non fu difficile capire il motivo della loro presenza.

Dopo aver sentito il rumore di una carrozza, la folla si divise in due, sperando che stesse per arrivare proprio colui che essi aspettavano.

La carrozza si fermò proprio davanti all'albergo. Uscì un uomo abbastanza alto, su quarant'anni; i baffi e la barba gli incorniciavano il volto.

Nessuno degli abiti da lui indossati era di un colore che fosse diverso dal nero.

Proprio questo particolare attirò l'attenzione di Tancredi "Giorgio, Marco" chiese, sperando di essere ascoltato dai suoi due amici che, come colpiti da un fulmine, non allontanavano i loro occhi da quella figura "perché veste di nero?".

Giorgio, ripresosi, rispose per primo "Porta il lutto per la patria divisa".

"Ha preso questa decisione dopo aver letto Le ultime lettere di Iacopo Ortis del Foscolo" continuò Marco.

Tancredi, dopo esser venuto a conoscenza di ciò, smise di interrogarsi circa la causa del fascino esercitato da Mazzini su molti suoi coetanei, tra i quali Giorgio e Marco: era inevitabile che giovani in cerca di ideali​, figli di un secolo tanto irrazionale, fossero attratti da chi offriva loro idee di libertà, cambiando per sempre la loro vita, come il fuoco di Prometeo aveva già fatto.

Questo era il ragionamento di un illuminista nato, non per sua colpa, in quello che verrà ricordato come Romanticismo, nel quale la passione aveva preso il sopravvento sulla ragione: il cuore aveva soggiogato la mente.

Mentre Tancredi si stava perdendo nei suoi intricati ragionamenti, Mazzini era entrato nell'albergo, forse – non possiamo esserne certi – per avere la possibilità di curarsi al più presto della sua amata Italia, dalla quale era stato esiliato per quasi vent'anni.

Marco e Giorgio allontanarono finalmente i loro occhi dal portone, ormai chiuso, dell'albergo Bella Venezia, e li rivolsero verso Tancredi.

"Cosa succede?" chiese il milanese "non desideravate incontrarlo?".

Marco e Giorgio si guardarono, tentando di elaborare una risposta.

"Non adesso" rispose infine Marco "ora noi abbiamo il dovere di contribuire all'unità italiana".

"Quando mi affiliai alla Giovine Italia giurai di consacrarmi tutto e per sempre a costituire l'Italia in nazione" continuò Giorgio, citando a memoria un passo del giuramento dell'associazione "ora abbiamo i mezzi per poterlo fare".

"Quindi" domandò cauto Tancredi "avete intenzione di combattere sotto lo stemma di un monarca, magari quello dei Savoia?".

"Non è una facile decisione" fu la risposta di Giorgio "ma credo sia la soluzione migliore; non rinnegherei mai le mie idee repubblicane, ma l'Italia deve essere unita da eserciti italiani, altrimenti non saremo mai veramente uniti".

"Non sono d'accordo, Giorgio" ribattè pronto Tancredi "la vostra priorità è l'unità nazionale, la mia è la repubblica. Abbiamo bisogno dell'aiuto della Francia repubblicana: solo se l'Italia sarà una repubblica federale sarà veramente libera, altrimenti sarebbe solo una conquista territoriale dell'uno o dell'altro regno".

"Questa è una delle principali differenze tra i seguaci di Cattaneo e quelli di Mazzini" disse Marco, sottolineando l'ovvio "io penso che debba essere eletta una costituente quando l'unità sarà raggiunta: il popolo deciderà se essere suddito di un re o cittadino di una repubblica".

Questi giovani discutevano di ciò nel 1848, non sapendo ancora quale sarebbe stata la sorte dell'Italia e della guerra che stavano per combattere.

Come avrebbero ritenuto le decisioni che, circa un decennio dopo, sarebbero state prese da Cavour? Noi non possiamo ancora saperlo, e non possiamo nemmeno sapere se i nostri tre avranno il privilegio di assistere.

Tancredi ridacchiò "Il tuo pensiero corre troppo lontano: è illogico ragionare circa la conclusione quando ancora non si è giunti a metà strada".

Marco fu leggermente irritato dall'osservazione dell'amico illuminista, ma Giorgio rispose per primo " Se così fosse nessun pittore, nessuno scultore, nessuno scrittore avrebbe mai reso più bello il mondo attraverso le sue opere: riesci ad immaginare un'umanità priva di Leonardo, di Canova, di Omero?".

"Ma costoro hanno creato i loro capolavori a poco a poco, seguendo un metodo e ponendosi obbiettivi, non in preda al furore della passione" replicò Tancredi, per il quale era inconcepibile l'ideale romantico dell'artista e, in senso più ampio, dell' uomo stesso.

"Certamente" rispose secco Giorgio "dovevano alimentare il fuoco che ardeva nei loro cuori".

Tancredi decise di abbandonare la disputa artistica e di riportare la conversione sull'argomento abbandonato poco prima senza essere risolto.

È difficile comprendere in quale delle due conversazioni le sue opinioni divergessero maggiormente da quelle dei due genovesi: forse non sarebbero mai andati d'accordo su nulla.

Questo era, almeno secondo Tancredi, ciò che di più bello si potesse trovare nel genere umano: ogni uomo, essendo dotato di linguaggio, può esprimere ogni sua opinione e, essendo dotato di intelletto, può ascoltare le opinioni altrui e ragionare su di esse. Solo tramite l'ascolto reciproco l'umanità può migliorare se stessa.

"Comprendo le ragioni che vi spingono ad unirvi all'esercito, ma non le condivido" disse calmo il giovane milanese, rispettando quell'idea di tolleranza propria dell'Illuminismo.

"Noi comprendiamo le tue" fu la risposta di Marco "dunque capiremo se deciderai di non  venire con noi".

"Ho già preso la mia decisione" sbottò Tancredi "diventerò parte dell'esercito".

Giorgio e Marco furono piuttosto sbalorditi. "Per quale motivo?" chiese Giorgio, stupito "non mi sembrava che che fosse tua intenzione".

"Non dipende dai miei ideali" rispose Tancredi "Vi ho visti combattere sulle barricate" continuò "siete colmi di passione e di coraggio, ma non basteranno in guerra. Laggiù ci sarà bisogno anche di logica e razionalità. Comunque" concluse "non è mia abitudine abbandonare gli amici in guerra. Voi avete combattuto per la mia città, io combatterò per la vostra causa".

Giorgio e Marco lo guardarono ancora più sbalorditi di prima. Solo un "Grazie" uscì dalle loro bocche.

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