Quella sera i membri della famiglia Piperno che ancora si trovavano a Roma erano riuniti all'interno della loro casa per celebrare la festa di Pesach, quella che spesso è ricordata come "Pasqua Ebraica": celebravano la liberazione del loro popolo, pur essendo imprigionati.
I piatti, le preghiere, i canti, ogni cosa ricordava loro l'antica schiavitù e la libertà, riconquistata grazie all'aiuto divino.
Non possiamo sapere quanto essi sperassero di attraversare quel metaforico e recente, antico e tangibile, Mar Rosso che divideva ognuno di loro dal resto del mondo: le mura del ghetto.
Tra pochissimi minuti essi sapranno che almeno l'ostacolo tangibile e recente verrà demolito.
Improvvisamente vennero uditi forti rumori: che si trattasse di un'incursione, un assalto?
Elisabetta, Giacobbe e Jessica sbiancarono: sarebbero stati attaccati proprio nel loro giorno più sacro?
La famiglia Piperno uscì immediatamente di casa: gli assalitori avrebbero certamente cercato nelle abitazioni.
Ogni famiglia del ghetto era terrorizzata: bambini e anziani entravano in nascondigli costruiti nei secoli passati proprio per emergenze come questa che, purtroppo, erano accadute spesso; gli adulti cercavano altri ripari.
I genitori tentavano invano di fare coraggio ai propri tremanti figli, ma essi stessi erano tremendamente impauriti.
I rumori continuavano e il loro suono si univa a quello delle scarpe che, correndo per la strada, cercavano di portare i loro proprietari in un posto sicuro.
I rumori provengono dalle porte del ghetto. Che cosa sta accadendo?
Pensò Jessica, incuriosita quanto spaventata.Come spinta da un desiderio inconscio, Jessica si diresse passo dopo passo verso la fonte del rumore, non curandosi -scegliete voi se fu coraggiosa o incosciente- del presunto pericolo a cui stava andando incontro.
Elisabetta e Giacobbe, confusi dal rumore e dalla folla, si accorsero di ciò quando la loro figlia era ormai troppo lontana per poter udire le urla disperate dei suoi genitori "Jessica! Jessica, torna indietro!".
Essi, non avendo ottenuto nulla, provarono a correre rapidamente -purtroppo non erano più tanto giovani- verso la loro figlia.
Jessica, che conosceva le vie del ghetto come le sue tasche, si trovò presto davanti alla sua meta.
I rumori continuavano, impossibili da arrestare.
Jessica fu colpita da un particolare: i colpi procedevano ordinatamente, non ricordavano un assedio.
Una delle persone che si trovavano dall'altra parte delle mura la notò e provò a chiamarla.
Jessica, essendosi spaventata, indietreggiò di qualche passo.
"Non scappate!" Continuò l'uomo, incoraggiandola ad avvicinarsi con gesti delle mani "Veniamo in pace".Jessica, stupita, rimase immobile, ancora troppo impaurita. "Che cosa succede?" chiese, cercando di non sembrare troppo terrorizzata.
"Il Papa ha ordinato di abbattere le mura del ghetto" rispose l'uomo "siete liberi".
Una scossa attraversò Jessica che, ancora immobile, tentava di dare un significato a ciò che aveva appena udito.
Nel frattempo Elisabetta e Giacobbe, nel tentativo di raggiungere la figlia, erano stati resi testimoni di un avvenimento che, oggi, noi consideriamo storico, ma che, all'epoca, fu considerato meraviglioso.
Elisabetta si avvicinò a Jessica, mente Giacobbe, essendosi voltato, decise di annunciare la buona notizia a coloro che, spaventati, erano ancora nascosti.
In poco tempo la comunità si riunì e tutti, armati di felicità e di speranza, giorono di questo atto di civiltà. Sembrò che, una volta aperte, quelle porte non potessero essere nuovamente chiuse.
Giacobbe ed Elisabetta erano assai felici, ma ancora non avevano dimenticato lo spavento causato loro dell'incoscienza della loro figliola.
"Jessica" chiese Giacobbe, con un tono di voce arrabbiato ma non furibondo "come ti è venuto in mente di allontanarti da noi?".
"Mi dispiace" rispose Jessica "non volevo preoccuparvi".
Giacobbe sospirò e scosse la testa "Oggi ti scuso" disse "in virtù di quanto è appena successo".
Jessica sorrise "Torniamo a casa?" domandò "dobbiamo festeggiare!".
Giacobbe ed Elisabetta si guardarono. "Hai ragione Jessica" rispose Elisabetta, mentre il marito annuiva "dobbiamo ancora finire di festeggiare".
La famiglia Piperno si diresse felice verso casa.
Dopo aver attraversato una folla esultante e in vari Viva Pio IX da essa gridati -ancora non sapevano quanto sarebbero stati delusi da questo Papa- Giacobbe, Elisabetta e Jessica raggiunsero l'entrata della loro dimora.
Non appena fu pronta, Jessica afferrò un foglio, una piuma e un calamaio.
"Che cosa hai intenzione di fare?" chiese Elisabetta, che, assonnata, tentava di reprimere un grosso sbadiglio.
"Voglio scrivere a Gabriele" fu la risposta della figlia "sarà felice di sapere che anche Roma è finalmente diventata civile".
"Non era mai stata civile, prima di oggi" disse Elisabetta. Non sarebbe stato possibile credere che la signora Piperno avesse posto un quesito, tuttavia Jessica decise ugualmente di rispondere.
"Se un popolo non è tollerante, non può essere chiamato civile" affermò Jessica.
Detto questo, la giovane intinse la penna nel calamaio e cominciò a scrivere: le frasi e le parole chiedevano a gran voce di uscire dalle sue mani per adagiarsi dolcemente sui numerosi fogli di cui era composta la lettera.
"Quanto stai scrivendo?" chiese Giacobbe, incuriosito dall'impegno della figlia.
"Vorrei poter scrivere tutto ciò che provo" rispose Jessica "Mi dispiace che non sia con noi, adesso".
Ovviamente Jessica non provava dispiacere a causa dell'ideale che aveva spinto il fratello a partire, ma provava dispiacere perché, in un momento come quello, non aveva nessuno con cui condividere i propri sentimenti.
Giacobbe sospirò "Dispiace a tutti" fu la sua risposta.
Finita la lettera per il fratello, Jessica, come guidata da uno spirito, cominciò a scrivere una nuova lettera per Emilia, sentendo fortemente la mancanza dell'amica e del fratello.
Jessica svuotò il calamaio per scrivere quelle due lunghissime lettere. Ogni parola scritta attirava sul foglio, come le api sui fiori, le parole successive: sembrava che non fosse possibile per lei fermarsi.
Parola dopo parola, frase dopo frase, riga dopo riga, le due lettere furono scritte, ma Jessica, avendo paura di aver commesso, nella fretta, qualche errore, le rilesse riga per riga, frase per frase, parola per parola.
Quando, dopo numerosi controlli, non ebbe più dubbi riguardo la correttezza grammaticale delle due epistole, Jessica prese due buste dallo scrittoio del padre e ripiegò con cura quelle due moltitudini di fogli dentro di esse.
Dopo aver scritto i rispettivi indirizzi, Jessica, soddisfatta, decise di prepararsi per andare a dormire mentre, sotto la sua finestra, risuonavano le urla e i canti gioiosi della festa di un popolo che, finalmente, era libero.
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Tra amore e speranze
Ficción históricaItalia, 1847 Giorgio Bacigalupo è figlio di un mercante genovese, Emilia Felici è una giovane donna romana. I due giovani sono innamorati follemente e vorrebbero sposarsi. Ma il 1848 è alle porte e Giorgio, giovane mazziniano, andrà volontariamente...