Capitolo 11

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Dal diario di Tom Riddle:

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17 gennaio 1934

Oggi è venuto il prete. Volevano che mi vedesse.

Ha cercato di parlare con me ma io avevo paura, continuava a parlare in latino e a puntarmi il crocifisso addosso.

Non ho aperto bocca.

Il direttore dell’orfanotrofio ha bisbigliato qualcosa alle istitutrici, non so bene cosa, ma suonava come “stupido”.

Mi hanno afferrato per le spalle e mi hanno scosso, facendomi male.

Le unghie annerite e affilate del prete mi entravano nella carne delle braccia, proprio sulla pelle ustionata dall’olio bollente che mi è schizzato ieri sul braccio destro al turno di punizione in cucina.

Continuava a scuotermi e a gridare, il dolore mi faceva appannare gli occhi di lacrime, ma non piansi.

Ero  così arrabbiato.

Ho sentito di nuovo quello strano formicolio alle mani, quella sensazione di potere.

D’un tratto la Bibbia appoggiata sul tavolino accanto a me ha preso fuoco.

Fiamme rosse e blu alte quasi un metro, che fecero gridare le istitutrici, mentre il prete cercava di spegnerle buttandoci sopra l’acqua santa della sua bottiglietta.

Ovviamente credono che sia stato io, anche se non sanno bene come.

Magari avessero preso  fuoco tutti, l’intero orfanotrofio,  insieme al libro.

Hanno detto che prenderanno provvedimenti, visto che non voglio collaborare.

“Una punizione che ti farà passare la voglia di fare scherzi”. Così han detto.

Evidentemente hanno capito che le bacchettate con la stecca di bambù non mi fanno più né caldo né freddo. Ci vuole altro.

Ma io l’ho  giurato: Non riusciranno, a vedermi piangere.

*******

Le giornate alla vecchia Hogwarts passavano veloci come non mai.

Hermione si rendeva a malapena conto di quello che capitava intorno a lei.

Passava le sue giornate in una sorta di automatismo: andava a lezione, studiava, parlava con Sarah e con qualche altra ragazza simpatica.

Ma era come se non esistesse, come se non vivesse veramente.

Quando si prova anche solo per un attimo  l’ebbrezza della vera felicità, quella che ti scuote dentro riempiendo le tue vene di pura linfa vitale, è come se tutto il resto venisse sostituito da un vago, appannato senso di vuoto. Una esistenza priva di vita, come il guscio abbandonato di una crisalide.

Da quella mattina nell’infermeria, non era più riuscita  a parlare con Tom.

Lui non glielo permise.

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