Elise pov
[Caos]Se ve lo state chiedendo si, non se lo merita un cognome.
Le ferite che Colton mi aveva provocato erano riuscite a guarire velocemente, ma ciò che era stato rotto lo rimaneva e mi procurava un dolore immane.
Mi diressi in ospedale per farmi controllare le medicazioni su alcune abrasioni e mentre camminavo per i corridoi bianchi e silenti un improvviso fermento mi apparse dinnanzi.
Un gruppo di medici e infermieri correva verso le sale operatorie mentre spingeva una barella con un paziente e da quello che compresi si trattava di arresto cardiaco, non ero molto interessata, era un ospedale dopotutto.
Cambiai velocemente idea quando su quella barella intravidi una chioma corvina e dei tratti ben marcati che conoscevo bene, si trattava di Christophe, che diavolo gli era capitato?
Preoccupata mi precipitai al bancone d'accettazione e chiesi di lui, dissi che ero una sua amica, la donna mi sorrise mestamente e controllando suo computer mi disse il numero della stanza dicendomi che il ragazzo era stato ricoverato a causa di profondi tagli sulle vene dei polsi e che si era salvato miracolosamente.
Mi spiegò che era stato proprio il biondo a chiamare aiuto che gli era rimasto accanto per tutto il tempo, che letteralmente, non se ne era andato se non per andare in bagno e che aveva finito così per farsi ricoverare anche lui.
Io mi diressi verso la stanza di Christophe, mi sedetti su una delle numerose sedie scomode aspettando che lo riportassero nella camera e cercai di non farmi riconoscere da chi passava per di là.
«Su calmati, sono certo che andrà tutto bene, da quello che mi hai raccontato è forte come una roccia » disse una voce a me sconosciuta con tono calmo e cadenza gentile.
«Io lo spero, è tutto così tanto complicato... » sospirò l'altro coprendosi il volto con le mani per poi lasciarle scivolare lungo i fianchi mostrandomi dei tratti molto simili a quelli del mio amico.
Loro si sedettero un paio di posti lontano da me e non mi notarono, si misero a parlare del più e del meno nell'intento, probabilmente, di distrarsi da quella situazione e di non pensare alla snervante attesa a cui eravamo sottoposti.
Un paio di ore dopo un medico si fece finalmente vivo portando notizie del moro «Si è stabilizzato, credo che prima di svegliarsi abbia bisogno di qualcuno accanto, dopo quello che è successo... » disse tristemente abbassando lo sguardo al pavimento.
In quell'esatto momento dalla stanza uscì Colton, quando lo vidi sbiancai, non potevo credere che si fosse ridotto a quel modo, probabilmente lo amava sul serio « Papà, sta bene?! » «Si, è stabile... » «Posso...?» chiese mentre si trascinava dietro la sacca della flebo.
Il dottore lo condusse in un'altra stanza, ma mentre camminava il biondo mi rivolse uno sguardo che ebbi paura mi uccidesse da un momento all'altro «Tu cosa diavolo ci fai qui? » chiese a denti stretti risultando minaccioso nonostante il suo pessimo stato psicologico e fisico.
«Sono venuta a farmi controllare le ferite che TU mi hai fatto e ho saputo di- » non potei finire la frase che quello che sembrava essere il fratello mi prese per il colletto della maglia «Non provare a pronunciare il suo nome, questa è tutta colpa tua! » urlò mostrando chiaramente la sua rabbia.
Poco dopo mi arrivò uno schiaffo e Colton se ne andò nella stanza in cui, con tutta probabilità, si trovava Chris mentre il castano e il moro mi avevano 'gentilmente' chiesto di andarmene e scortata verso l'uscita dell'edificio con delle espressioni tutto tranne che rassicuranti.
La frase che avevano detto però, mi era rimasta nella testa "questa è tutta colpa tua" si ripeteva ancora e ancora senza la possibilità che smettessi di pensarci o di sentire la voce accusatoria del castano.
Non riuscivo a capire cosa intendesse ma poi ci arrivai, conoscevo da tanto tempo il moro e sapevo bene che era molto fragile e facile da ferire, se arrivava qualcosa che non riusciva ad affrontare poteva avere delle reazioni molto più che esagerate che sfociavano, solitamente nella violenza.
Probabilmente la foto del suo ragazzo che si baciava con un altro lo aveva distrutto e preso alla sprovvista, probabilmente la loro relazione non era così debole, fragile e falsa come credevo che fosse e questo aveva spinto Christophe al suicidio.
Nel esatto momento nel quale realizzai la situazione mi sentii morire, le lacrime cominciarono ad uscire e continuai a chiedermi come avevo potuto fare una cosa simile a causa del mio stupido egoismo.
Tornai nel piccolo appartamento che avevo affittato, presi un foglio di carta e una penna iniziando a scrivere una lettera che avrei consegnato all'infermiera da dare al mio amico.
Sapevo che non sarebbe stato abbastanza, che non potevo rimediare alla marea di problemi che avevo causato in così poco tempo, credevo che sarei riuscita a salvarlo e donargli finalmente un po' di pace ma quello che avevo fatto era stato semplicemente stravolgere l'equilibrio che si era creato e che lo aveva salvato.
Consegnai la lettera il giorno seguente poi preparai le valige mettendoci tutto ciò che mi ero portata dalla Francia pronta a tornarci, non meritavo di essere sua amica, non meritavo do restare lì, così tornai nel mio paese giurando che non avrei mai più fatto ritorno e che non avrei mai, per nessuna ragione, avuto più alcun contatto con quella coppia, sempre se fosse rimasta una coppia.
Con le lacrime agli occhi mi trovavo sulle scomode sedie dell'aeroporto attendendo l'arrivo del mio volo così da separarmi per sempre dall'unica persona che avevo sentito vicina nella mia vita, allontandomi dall'unico che si era accorto di me, ma anche se faceva male era la cosa giusta da fare, l'unica cosa giusta che io potevo fare arrivata a quel punto.
Una volta giunto il momento seguii le normali procedure e mi imbarcai sul primo volo verso il mio paese nativo, una volta accomodata sull'aereo mi affacciai dal finestrino e osservai come il panorama diventava sempre più piccolo e lontano mentre il tormento e il dolore nel mio cuore so faceva pungente e sempre più presente.
Nel bel mezzo del volo, in piena notte, una scossa mi svegliò, fu un movimento brusco compiuto dal mezzo di trasporto a cui si susseguirono varie altre scosse e tremori, eravamo finiti in una tempesta.
Sembrava come di essere nel fulcro di un terremoto e presto le sacche dell'ossigeno vennero fuori annunciando la pericolosità della situazione, allora pensai che il karma mi stava punendo per quello che avevo fatto.
Continuavo a guardare fuori dal finestrino mentre l'aria iniziava a diventare via via più irrespirabile, i miei occhi incontrarono qualcosa che non mi piacque, c'era del fumo che proveniva dai motori dell'aereo.
Non ci volle poi molto perché il mezzo cominciasse a perdere quota e perché iniziasse a precipitate fino a schiantarsi sulla superficie dell'acqua.
L'ultima cosa che fui capace di sentire e di vedere furono le urla e le facce terrorizzate delle persone che insieme a me avevano scelto quel volo, per un motivo oppure per un altro, ma almeno il mio cuore si sentiva leggero.
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L'amore cos'è?
ChickLitDue ragazzi, uno diverso dall'altro che si ritrovano a porsi la stessa domanda: l'amore cos'è? Un amore omosessuale non è mai qualcosa di semplice da vivere, c'è la paura di non essere accettati, gli insulti delle persone, di tante persone, c'è la s...