Sogno di una settimana di torture infernali

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Era stata una lunga notte, la prima notte in cella, ma se avesse potuto, a posteriori Cori avrebbe preferito che durasse ancora un po'. La noia e il dolore, il dolore e la noia. Le piaghe avevano cominciato presto a pulsare, ed il respiro, profondo, impediva loro di smettere di sanguinare, facevano male ma erano sopportabili. Il dolore più acuto era dato dalla testa, che non perdeva occasione per ricordargli ad ogni movimento la sua dolorosissima presenza, che se fosse servito a qualcosa Cori avrebbe voluto raggomitolarsi e piangere dal dolore. Faceva male! Bashe dormiva nella cella di fronte, raggomitolato nella sua lunga coda serpentina come in un bozzolo, ne sentiva il tenue russare. Si guardò intorno: Pallide mattonelle su pallide mattonelle, le sbarre, la luce azzurrina della sala operatoria. I tubi che aveva attaccati alla testa sembravano delle sanguisughe, o delle tenie. Sentiva che la divoravano dall'interno, e aveva fame, quella vera, non il languorino prima di pranzo. Per far passare il tempo canticchiava. Tutte musiche tristi. Il mattino arrivò con il vecchio che caracollava per i corridoi con quel suo bizzarro oggetto circolare in mano. Con la chiave, aprì la cella e vi entrò. Cori tentò di ritrarsi, ma era inutile: L'uomo la marchiò di nuovo sul braccio, attendendo la sua reazione. La ragazza sentì il braccio andare a fuoco, un fuoco che si espanse ovunque, ma resistette, stringendo i denti, alla nebbia nerastra che tentava di avvolgerla. Il vecchio osservata la sua reazione se ne andò ridacchiando. Cori si piegò in avanti e vomitò l'anima. L'odore penetrante del vomito misto alla bile e al sangue le fece sentire male ancora di più. Non avrebbe saputo dire quanto aveva aspettato in preda ai conati e alla febbre, ma era stato un tempo lunghissimo. La donna, col suo rigido chignon di capelli biondi fece la sua comparsa, ordinando di ripulire lo scempio e di permettere alla prigioniera di liberare gli intestini. Poi fece il suo teatrale trionfo facendo schioccare la frusta e tintinnare gli strumenti. Prima la frustò, aprendo nuove ferite sul torso, urlandole: "Stupida cagna! Ti ostini a trattenerti, ma io saprò bene farti liberare!". Poi, vedendo il sangue colare dalla bocca tumefatta, aveva sghignazzato, godendosi i guaiti di dolore di Cori. Alla fine si era seduta ai suoi piedi, e con pochi rapidi movimenti le aveva scuoiato le piante. Con un coltello aveva inciso un solco sopra il tallone sinistro, leccandosi le labbra alle sue urla, e aveva continuato finché sulla pianta non si lesse la parola 'FECCIA', beandosi di ogni suo lamento, ignorando i suoi vani tentativi di ribellione. Aveva afferrato il piede destro e aveva inciso, solco per solco, con un godimento che rasentava l'erotismo, la parola 'SCHIAVA'. 

"Vediamo se sarai più ragionevole domani" sghignazzò la donna girandosi.
"Non basta un giorno di freddo per gelare un fiume profondo" sentenziò Cori con la voce roca. La donna si sbatté le sbarre dietro di se, sparendo infuriata nel corridoio. Un fugace applauso scoppiò nell'aria, era Bashe.
"Sei un genio! Sei stata grande con quella frase!" gioì. Cori sospirò, buttando la testa all'indietro. Nonostante la sfrontatezza dell'ultima frase, era distrutta, ricoperta di sangue e ferite. In realtà le frustate, passato il bruciore del momento, si erano stabilizzate in un dolore continuo altalenante col respiro, e a poco a poco ci si stava abituando. I piedi bruciavano, e non riusciva a muoverli senza gridare, ma la testa, sempre la testa, non le dava tregua. Aveva la febbre e la vista appannata, ma non abbastanza da non vedere Bashe che tentava di consolarla. Gli sorrise debolmente prima di addormentarsi.


Quando si svegliò non doveva essere passati molto tempo. La dottoressa inveiva contro il baffuto assistente: "Siete uno sciocco dottor Kopechy! Ve l'ho detto, se affretteremo il processo non ne avremo che benefici! Invece lei no, vuole studiare la cavia! Cosa vuole che sia un piccolo sacrificio, in confronto all'evoluzione scientifica! Non vuole capire che se riusciamo nell'intento, quella ragazzina saccente non ci servirà più! Pensate che risvolti avrebbe una scoperta del genere per la battaglia di Marineford mettendo in campo quest'arma! E saremmo stati noi a scoprirla, potremmo addirittura superare quel vecchio pallone gonfiato di Vegapunk!!" Cori era sicura che Miss Scopa nel sedere stesse gonfiando un po' la cosa, perché il teletrasporto era figo si, ma ci voleva allenamento e non era poi così potente! Poi al primo impatto era pure dannoso. Quella era solo una sadica rompiballe, e basta. Altro che scienza. "Quella piccola imbecille, non fa altro che darmi rogne!" Il vecchio provò una debole resistenza, "Ma é solo una povera ragazza innocente, si tratta pur sempre della nipote di un mio caro collaboratore!" ma venne in breve sconfitto e umiliato da quella pazza isterica bipolare.
"Stupidi idioti!" Imprecò fra i denti, progettando la prossima provocazione. Quella donnaccia poteva pure scordarsi che sarebbe rimasta in silenzio! Porca miseria che male i piedi! Bruciavano da impazzire. Li mise bene in equilibrio sulla base dei talloni perché non toccassero terra e bruciassero ancora di più.
"Ti fanno molto male?" chiese Bashe preoccupato.
"Eh, un po'" espirò sofferente osservando le nuove ferite, pulsanti blocchi di dolore rosso sulla pelle appesa sulle costole visibili, il ventre gonfio per il poco cibo straziato da altre bollenti frustate grondanti sangue sugli abiti lerci e strappati, che lasciavano alla vista di tutti (quelle poche guardie di ronda, i due bastardi e, ahilei, Bashe) il corpo smagrito e penosamente martoriato, la pelle floscia sul petto, le gambe nervose ricoperte di sangue a tal punto da nascondere le ferite vere e proprie, e i piedi, massacrati, infamati, appendici rossastre ed inutilizzabili. Quei maledetti tubi sembravano accelerare il metabolismo ad un livello insostenibile per l'organismo. Assomigliava vagamente al Gear Second di Rufy per i sintomi, la pelle fumante e rossa, ma per il resto sembrava solo distruggerla dall'interno. Lei non era mica fatta di gomma!
"Tu... non mi hai detto ancora come...?" chiese al ragazzo con un gesto allusivo della mano per indicare come sarebbe finita.
"Non lo so. Credo che avremo lo stesso destino" le rispose mogio di nuovo con il volto affilato fra le sbarre.
"Intendi ammazzato di botte e dimenticato sul fondo di una prigione? Beh, dai, possiamo farci compagnia" gli sorrise debolmente. "Quando ero ancora nel mio mondo, amavo leggere e scrivere storielle. Era divertente" disse sovrappensiero.
"A me piaceva stare a guardare il cielo e immaginare di navigare col vento fra i capelli. Vedevo il mare, azzurro e bellissimo, ce l'avevo lì, e alla fine quando ho avuto l'occasione l'ho preso. Non credo di essere mai stato più sicuro di una mia scelta che quando sono entrato a far parte dei Pirati Heart." Raccontò nostalgico.
"In effetti, con un Capitano così un pensierino ce lo farei pure io!" ammiccò, e Bashe rise. "Non ti manca mai la tua famiglia?"
"Tanto, soprattutto adesso. Ma mi vogliono bene, e un giorno o l'altro capiranno le mie scelte" scosse la testa, triste "mi manca mio fratello"
"Fidati, nessuno come me ti può capire. Anch'io avevo un fratello" sorrise.
"Avevi? Cosa gli è successo?" chiese increspando la fronte.
"È sparito, da un giorno all'altro. Sono tre anni che è scomparso. Ma ti assicuro che mi manca ancora come il primo giorno." Scosse malinconicamente la testa.
"Io ho conosciuto mio fratello il giorno che siamo rimasti orfani. Io vivevo con mia madre, e quando lei morì a causa della terapia, Lerik mi prese con se. È vero, non siamo del tutto fratelli, abbiamo in comune solo la mamma, ma Lerik diceva sempre che l'avevo conquistato alla fine. Lo assediavo tutti i giorni, gli facevo la posta al lavoro, costringevo quel Dolcecuore della sua ragazza a preparare un posto anche per me a tavola. Una notte, spostai la brandina in camera sua, quando avevo ancora gli incubi. Dopo quell'episodio non mi allontanò più. Ah, sono anche il Babysitter Ufficiale e il gioco preferito di Lurichiyo. Si divertiva a truccarmi e pettinarmi i capelli. Credo che un giorno abbia preso ispirazione dal coinquilino dei piani alti, quel Buggy". Cori si sforzò di non ridere.
"Invece io e mio fratello da piccoli giocavamo alla lotta, a nascondino, ad acchiapparella... Sempre con Emilia, la balia. L'abbiamo fatta impazzire, quella povera donna!" tossicchiò qualche risata ripensando al vecchio sgabuzzino delle scope dove finivano per addormentarsi insieme.
"E i vostri genitori?" chiese curioso Bashe.
"Non ci consideravano molto in genere, erano spesso in viaggio, e Ottavio, che era il più grande, doveva essere sempre all'altezza delle loro aspettative. Un compito che ha lasciato in eredità a me. Prima che sparisse, mia madre era molto più felice, affettuosa quelle poche volte che li vedevamo. L'ultima volta che l'ho vista, gridava come una pazza, e io non ho potuto fare niente per lei. In realtà, gli voglio molto bene, solo che sono lontani per me. In fondo, mi hanno dato tutto, e a modo loro ci volevano bene" ammise alla fine Cori. Era servito dividersi da loro per sempre per capirlo?
"Mi dispiace" proferì il ragazzo.
"Non dispiacerti, non è niente di trascendentale. Come vedi, non ho turbe psichiche e sono sana come un pesce. Beh, più o meno" si corresse vedendo il sopracciglio del moro alzarsi.
Continuarono a chiacchierare del più e del meno (il tuo animale preferito, il colore, discussioni filosofiche sulla reciproca istruzione, una parola che per metà degli onepieceiani corrisponde a leggere, scrivere e far di conto) ancora per una mezz'oretta, poi finirono per tacere di nuovo, sfiniti dalla fame. I loro stomaci brontolavano a fasi alterne.
"Ah, ho faaame!" esplose Bashe.
"A chi lo dici! Mi mangerei un bue, ora come ora" gli diede ragione Cori.
"Secondo te, una scopa ed un mucchio di polvere possono avere un buon sapore? No , perché la prossima volta che passano potrei decidere di azzannarli" propose il ragazzo.
"Non sprecare così le tue ganasce. Di sicuro sono acidi come limoni" sghignazzò Cori appoggiando la testa al muro. Aveva un forte mal di testa e i conati di vomito, ma non aveva nulla da rigettare, e tutto quel rumore cominciava a darle fastidio. "Senti, ti dispiace se ne riparliamo domattina? Sono stanca"
"No, no, fai pure, dormi."


Forse aveva sognato, dato che l'aveva sentito dopo un po', o forse no, ma ad un certo punto, non avrebbe saputo dire quale, Bashe aveva iniziato a cantare. Forse lo faceva per farsi coraggio, non ne aveva idea, ma stava cantando una ninna nanna. Aveva una voce fresca, un po' sibilante, e allungava molto le sillabe mantenendo un tono pacato. C'era silenzio intorno, come se il mondo si fosse fermato per ascoltare l'incanto del serpente.

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