Extra: Doveva essere Natale, e invece è Quaresima!

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Cori si svegliò nel vecchio futon consapevole che l'aria era diversa. C'era come un odore di neve fantasma che permeava l'aria in quelle prime ore mattutine, quando la luce entra radente da sotto l'uscio con il suo pallido lucore invernale. Quasi per istinto, afferrò il suo vecchio MP3, che non aveva mai avuto il coraggio di tarare alla giusta data, e guardò lo schermo. Nel suo mondo, era appena cominciato il 24 dicembre, e lei, troppo presa dal nuovo mondo in cui abitava, dove le festività non avevano una data fissa e universale, aveva dimenticato l'Avvento. Promise a se stessa che per l'anno nuovo avrebbe fatto un calendario comparato, sapendo giá che prima della prossima uscita non avrebbe fatto un bel niente. Ma ormai la frittata era fatta, e tanto valeva fare il possibile. Si inginocchiò davanti al crocifisso e pregò a lungo. Quando uscì sciabattando dalla stanza, si rese conto che l'odore di neve non era affatto fantasma: La vallata era coperta da una bianca, soffice coltre. Sarebbe stato il suo primo bianco Natale! Tutta baldanzosa, si vestì e uscì con l'otre dell'acqua. Aveva tanti regali da fare, e non sapeva da cosa cominciare! Pensò che per il Sensei e Mitsuru avrebbe preparato una bella festa di Natale. Prima però, avrebbe dovuto preparare il resto. Cosa avrebbe potuto fare per gli altri? Se avesse cominciato adesso per le dieci, al passaggio del NewsCoo, avrebbe avuto una cofana di biscotti alla cannella. Ora mancavano solo Greg, il Maestro e suoi genitori. Persa nei suoi pensieri, si inoltrò nel bosco fino alla Parete di Rovi di More, scese giú alla Fonte e riempì l'otre. Mentre aspettava, ragionò sulla cosa. Pensò e scartò qualcosa come un migliaio di proposte, prima di arrivare a quella definitiva: Non potendo tornare lei da loro, sarebbero venuti loro da lei! Ormai aveva imparato a memoria le proprietà dei fiori più famosi, non sarebbe stato difficile portare un frammento dei suoi ricordi (quasi della loro essenza) all'interno di uno di quei fiori, in modo che ogni volta che ne avrebbe guardato uno, avrebbe pensato a loro. Si caricò l'otre sulle spalle, e come ogni mattina si diresse verso la casa. Le piaceva questo nuovo rituale di quotidianità che aveva instaurato, per quanto potesse essere faticoso, la faceva sentire a casa. Arrivata in cima alla Scesa delle Liane, posò l'otre e si guardò intorno. Mitsuru entro un'ora si sarebbe alzata per cominciare la giornata salutando i suoi fiori, il Sensei l'avrebbe seguita a breve con il suo rito mattutino, per poi reclamare la sua colazione, ma ora la bassa casa di legno dormiva ancora, ignara di ciò che era successo nella notte, adagiandola in una nuvola bianca. Cori riprese il cammino, raggiunse la spoglia cucina e lasciò l'otre, chiudendosi la porta alle spalle e avvertendo con un cartello che per quella giornata e la seguente la cucina era off limits, poi uscì dalla porta sul retro e attraversò la neve che arrivava ai ginocchi, portandosi dietro la pala. Spalò la neve tra la porta e lo sportello della serra, poi vi entrò, rubando quattro talee: Dittamo, per suo padre. Bardana, per sua madre. Geranio rosso, per Greg. Un ramo di ciliegio in fiore, per il Maestro. Poi tornò di corsa nella sua stanza, e lasciò le piantine sul davanzale della finestra. Aveva poco tempo, prima che cominciassero a svegliarsi. Scaldò il latte e preparò generose razioni di miele e marmellata di rose, poi si chiuse in cucina e cominciò a pasticciare con l'impasto dei biscotti, finché dal forno non uscirono delle informi patacche dall'odore stranamente gradevole. Il Sensei, messo di buon umore dalla colazione, le permise di prendersi la sua bimestrale giornata di pausa. Impacchettò il tutto e cinque minuti dopo il dispaccio era in zampa al NewsCoo. Ma la sua giornata era appena cominciata.


Erano passati sei mesi dal fatidico giorno in cui nella casa del vecchio si era scatenata la battaglia, e la villetta giaceva abbandonata nel freddo, secco clima invernale di Roma. Greg, bagaglio in mano, aprì la porta cigolante, lasciando che il vento muovesse le tende. Al centro del salone, una macchia nera restava a monito per chiunque avesse osato avventurarvisi. La solitudine era nell'aria come qualcosa di palpabile. Greg, nonostante i suoi trascorsi, non si era mai considerato un assassino, ma fino a quel 24 dicembre non era mai entrato nella casa, limitandosi a curarne il giardino. Non superò la soglia. Osservò la polvere ricoprire ogni cosa, e planare giù dai mobili in morbidi riccioli. La lampadina non si accendeva più. La fotografia di famiglia giaceva abbandonata, riversa sul tavolino, anch'essa tanto ricoperta di polvere da rendere difficile riconoscerne i volti. Greg doveva partire, tornare dalla madre per la Cena della Vigilia, avrebbe perso il treno, non poteva rimanere lì, ma quella casa possedeva una sorta di magnetismo. Estrasse il ramo di quercia dalla bisaccia delle semenze e lo depose davanti all'entrata. Uscì e se ne andò, lasciando che la porta sbattesse aperta al vento.
Gregorio guardò inorridito quello che aveva fatto. La sua amica era sparita, il suo mentore ucciso, e c'era un uomo morto con un'ascia nel collo ai suoi piedi. Quasi in stato di shock, trascinò il corpo di Raven nel cassone del furgone, mise in moto e guidò lontano, fino ad un campo incolto dove lo seppellì, poi buttò la copertura di cartone del furgone e tornò. Sembrare sconvolti quando avrebbe dato la notizia non sarebbe stato difficile, era già sconvolto di suo.


"Signore! Signore!" Giuliano De Santis alzò la testa dai documenti della sua impresa, alle grida disperate del giardiniere, che spalancò le porte dello studio di slancio gridando: "Vostro padre! Vostra figlia! Una tragedia!". Si alzò di scatto. "Cosa è successo?"
"Non lo so, venga a vedere!" piagnucolò il servo. Giuliano corse giù e senza pensare spalancò le porte della sua vecchia casa. L'odore di bruciato gli fece lacrimare gli occhi. O almeno così si disse, nel vedere lo scempio. "Dov'è Cori?"
"Signore..." tentò Gregorio. Il padrone sembrava un gigante infuriato.
"Dov'è mia figlia?!" urlò con rabbia, mentre il suo volto si contraeva in un'espressione angosciosa.
"Mi dispiace, signore"
L'uomo si strinse la testa fra le mani, mentre le lacrime gli rigavano il viso. Urlò. Poi con un balzo e una bracciata scaraventò a terra tutti i vecchi ninnoli sui mobili, un servizio di calici di vetro sul tavolo, per poi ricadere in ginocchio accanto al corpo distrutto del padre, schiacciandosi gli occhi nelle orbite, come mille volte Greg aveva visto fare a Cori.
"Vada via!!!" gridò l'uomo in lacrime. E Greg obbedì.


Quando lo disse alla moglie, sapeva di star caricando un peso di troppo – il peso della Verità – sulle sue fragili spalle, e che di nuovo lei – colei che aveva a lungo amato – non lo avrebbe retto, scaricandogli addosso la sua isteria, la sua pazzia, ma reggere da solo il peso di quel dolore era veramente troppo per lui. Uno ad uno, lo stavano abbandonando tutti, sua madre, suo figlio, sua moglie, suo padre e sua figlia, la più piccola, quella che ancora provava a sorridergli, a renderlo fiero, lui lo sapeva, con tutte le sue forze, per sopperire alla mancanza del maggiore, e che lui invece aveva caricato di tutte le sue insicurezze, del suo dolore. Non era stato un buon padre, se ne rendeva conto ora, mentre stringeva a se la donna a cui doveva tutto, sua moglie, accasciata fra le sue braccia dopo un lungo pianto, forse la prima volta che si stringevano dopo tre anni. Se ne rendeva conto ora, che apriva la porta comunicante fra le camere dei suoi figli, e vedeva la polvere contagiare, come una malattia, la stanza della sua bambina, piena di tante cose che non si era dato la pena di conoscere, e che invece ora gli facevano capire quanto di sua figlia avesse perso. Le sembrava di vederla ancora lì, con la testa china sui libri, e stavolta avrebbe voluto accarezzarle la tonda testa ricciuta, e farsi abbracciare, perché sentiva che senza di lei era come vivere senza un braccio, o una gamba. Storpio come giá era da tre anni, non avrebbe dovuto far differenza, invece era un dolore cronico, perenne, che lo divorava come un lento tumore. Suo padre – colui che per tanto tempo aveva ignorato – l'aveva avvertito, ma lui, sciocco, non gli aveva dato ascolto. Ed ora era solo con il monito dei suoi errori, la donna che aveva amato che lo tormentava, come il più crudele degli aguzzini, con la sua debolezza. Ma in fondo, cosa l'aveva affascinato di lei, se non quella leggiadria da farfalla, quella leggerezza che lui non aveva mai posseduto, se non quando non aveva ancora memoria del suo passato?


Gregorio non voleva avere la serata libera, ma purtroppo capitava, il giorno dei funerali del padre e della figlia del padrone, nonché sua amica. Greg non ci era andato, almeno non ufficialmente. Non se l'era sentita. Sapeva che Cori poteva essere morta il secondo stesso in cui era sparita quanto poteva essere ancora viva. Era come un gatto di Schrödinger, e finché non avesse aperto la scatola (o il gatto ne fosse saltato fuori) non l'avrebbe potuto sapere, e credeva che il vecchio Claw avrebbe capito. Così, come tutti gli uomini in serata libera sulla via della depressione, entrò in un bar, ma al primo sorso alcolico che bevve gli salì la nausea. Continuò a bere, sbronzandosi.
Stava per andarsene, quando il Maestro di judo di Cori si sedette di fianco a lui e chiese un bicchiere di latte caldo. Sapeva che era lui, l'aveva visto al funerale giusto quella mattina, nascosto fra gli alberi, mentre seguiva curvo tutta la cerimonia, finché non aveva lasciato un ramo di ciliegio fiorito sulla tomba vuota di Cori, della ragazzina che aveva visto crescere più di quanto non avesse fatto suo padre.
"Ehi, bel ragazzo. Come mai qui tutto solo?" gli chiese sarcastico, ma senza ombra di un sorriso. Greg borbottò qualcosa in risposta, il Maestro giocherellò un po' col suo latte, prima di girarsi di nuovo verso di lui, deciso sparato. "Senti, dimmi la verità. Cosa è successo veramente a Cori?"
"Se anche glielo dicessi, non mi crederebbe." Biascicò.
"Se mai ci provi, mai lo potrai sapere" lo incalzò posandogli quella pesantissima mano sulla spalla, come un macigno.
"È andata. Sparita. Finita in un'altra dimensione" rise ubriaco. " Potrebbe essere morta come viva, o essere entrambi, le possibilità sono infinite". Il Maestro si accigliò.
"In che modo? Racconta tutto dall'inizio". Non aveva intenzione di fermarsi alla classica rapina finita male. La casa era intera, e solo uno dei corpi era stato ritrovato. Avevano trovato macchie di sangue sul pavimento, ma sembrava che appena avessero provato ad analizzarlo, quello si fosse dissolto nel nulla, sparito. Lo stesso giorno era scomparso anche un altro uomo, antico rivale del nonno di Cori, di cui si ignorava la fine, insieme al figlio (un lombrico disonorevole, una specie di mostriciattolo). Non poteva essere tutto casuale, e lui non si sarebbe arreso, avrebbe cercato la Verità finché avesse avuto il senno per farlo.
"C'era... un ragazzo. Zeno, mi pare. È cominciato tutto con lui. È comparso a casa nostra una mattina, mandato da Cori, ma credo che c'era da prima. Poi il vecchio l'ha chiamata, e poi ha chiamato me. Non capivo perché, credevo che volesse farle... una sorpresa. Poi è arrivato uno stronzo, che ha preso e lo ha ucciso con uno strano aggeggio, ma io ho ucciso lui, l'uomo con una mano sola, poi è tutto confuso, ricordo solo di essere svenuto. Mi sono svegliato, e ho trovato questo." Disse indicando un taccuino di pelle marrone che si portava appresso da allora "e questo" si sganciò un braccialetto con una piastra verdastra e glielo lanciò. L'uomo lo prese al volo. "Prendili, tutti e due. Non li voglio più, li so a memoria"
"Grazie. Stammi bene" e sparì. O forse fu solo Greg che si addormentò.


Dopo mesi di studio, Angelo non era ancora venuto a capo di niente. Il taccuino era colmo di formule matematiche incomprensibili, e solo una cosa sembrava essere chiara: Dovunque potesse essere finita la sua allieva era un luogo impossibile da raggiungere. In cima alle pagine ingiallite c'erano una serie di quesiti alcuni barrati, altri no. Erano tutti incentrati sulla teoria dei warmholes.
Cori e il Maestro non avevano mai passato una Vigilia insieme: Per il dojo era vacanza, e lui in genere la passava con la moglie e i due figli, che era esattamente il programma del prossimo pomeriggio. Quella mattina però aveva altri programmi. Erano mesi che organizzava questa cosa non perfettamente legale. La Vigilia tutti i servitori di casa De Santis avrebbero avuto la giornata libera tranne la vecchia Emilia, e il sistema di allarme si era provvidenzialmente rotto grazie ad uno dei ragazzi del corso che era stato a lungo in coppia con Cori, il suo uke preferito, o meglio, quello che lui le aveva affibbiato (anche se avevano ruoli variabili, lui era di cintura inferiore). In livrea da cameriere, si intrufolò nel giardino scavalcando la ringhiera dietro la parete di alberi ed entrò dalla porta della cucina che Emilia teneva sempre aperta per Cori dai tempi delle prime zuffe, e che lui sapeva non era più riuscita a chiudere. Come tutti gli antichi palazzi nobiliari, anche casa De Santis aveva corridoi interni per i servitori, anche se non più utilizzati da molto tempo. Aprì la piccola porticina a scomparsa e si addentrò nei corridoi scuri. Si stava rivelando più facile del previsto. Facile entrare in una casa quando ne conoscevi a memoria la pianta (tutto merito di Cori che fin da piccola lo assillava sulle sue 'scoperte' in giro per la casa. L'aveva accompagnata piú volte a casa quando si era fatta male sul serio durante una delle sue baruffe e aveva insistito per allenarsi lo stesso, e visto che Emilia a casa non c'era dato che in genere tornava molto più tardi, aveva dovuto arrabattarsi lui con i medicamenti. Un pastrocchio, ma la ragazzina era riuscita a raccontargli praticamente tutto). Si intrufolò nella stanza. Sapeva di chiuso, dopo sei mesi. La prima cosa che fece fu aprire i cassetti, da cui spuntarono una serie di immagini di un viso a lui conosciuto. Zeno. Doveva immaginarlo che quel ragazzo nascondeva qualcosa. Forse nemmeno si chiamava Zeno. Erano tutti disegni di lui, che combatteva, che parlava, che faceva qualsiasi cosa. Ma non era il solo. C'erano per lo meno un'altra ventina di personaggi, lì dentro, probabilmente molti di più sparsi nei vari cassetti. Cori stava indagando su questa gente. Perché? Era chiaro: Si trattava di personaggi di manga e anime. Ma c'erano dei personaggi di un autore in particolare (si riconosceva dal tratto) che erano invece studiati, analizzati, intere schede sul mondo d'ambientazione, sulla linea temporale... la data sulle stampe era sempre successiva al 6 giugno. Sentì la porta sbattere al piano di sotto, e capì di avere poco tempo. Rimise tutto a posto in un lampo e corse via per le scale. Rimase bloccato dietro la porta a scomparsa della cucina finché Emilia non si decise ad andare ad imboccare la signora, poi fuggì via di corsa, scavalcò la ringhiera e se ne andò.


Quando il Sensei e Mitsuru tornarono dai loro lavori era già sera inoltrata, e Cori aveva avuto tutto il tempo per decorare la casa col vischio e qualche Stella di Natale. Aveva imbandito una grande tavola con tutto il ben di Dio che era riuscita a cucinare, tutto rigorosamente a base di pesce. Era uscita fuori a pescare una grassa anguilla, ma invece di marinarla l'aveva cotta al forno, poi l'aveva fatta seguire dagli spaghetti ai gamberetti di fiume, tutto immerso in una distesa di verdure cotte. Ok, le verdure erano un po' troppo cotte, e il pesce non assomigliava neanche lontanamente a quello che Emilia le aveva preparato solo l'anno scorso, e la cucina era già tanto se era ancora in piedi, ma era comunque una splendida cena! Il Sensei si fermò stupefatto sulla soglia. "E questo cos'è?". Mitsuru come suo solito non emise verbo, ma rimase a guardare la scena con i suoi grandi occhi bovini.
"È il mio regalo per Natale!" esclamò Cori accendendo le candele e portando in tavola i portatovaglioli a forma di angioletto. "In questo giorno, nel mio mondo, è nato Gesù, il Figlio di Dio, e noi sulla Terra ci scambiamo i regali per tradizione!"
"La tua isola deve essere certamente alquanto bizzarra, se per onorare la nascita del Figlio del vostro Dio, vi scambiate doni!" commentò il Sensei.
"Oh, ma il Natale non è solo quello! Il Natale è un modo di vivere, con gioia ma anche con attenzione presso coloro che ci stanno affianco. I regali sono una cosa secondaria. Io li faccio per far sapere a chi mi sta vicino quanto gli voglio bene, non per ricevere qualcosa in cambio. Almeno, non solo, perché averne uno indietro è come essere ricambiati" gli sorrise e li invitò a sedersi. Passarono una serata tranquilla, dove Mitsuru per la prima volta non condivideva il peso dei suoi 'doveri' con lei, con se stessa o col Sensei, il Sensei rilassava quel suo grande viso pieno di rughe dolci nonostante il rigore, quello sguardo ceruleo che tante volte gli aveva ricordato il suo Maestro, la voce tonante, finché non si addormentò. Cori, non il Sensei. E la mattina dopo fu felice di svegliarsi in una calda coperta, al mattino del suo Bianco Natale, e ringraziò il Bambinello per averle ricordato la gioia, per averle riportato una casa, almeno per un po'.


Quando nel cielo di Roma cadde il primo fiocco di neve, Noemi De Santis parlò al marito per la prima volta dopo sei mesi. "I bambini guardano la stessa neve". Giuliano era contentissimo. Le fece avere il più bel Natale dopo anni, solo per vederla migliorare. Sua moglie, o quel che ne restava, quel fragile involucro, era tutto ciò che gli rimaneva, e aveva imparato a sue spese a coltivare le cose importanti, a non lasciarsele sfuggire dalle mani. A piccoli passi, come in una riabilitazione, stava reimparando ad amare. Dapprima, passava ogni giorno delle ore vicino alla moglie, a volte con il lavoro, a volte la guardava semplicemente muoversi nel suo piccolo mondo chiuso, in quell'acquario dove lui non poteva immergersi. Poi, piano piano, aveva cominciato a parlarle, di ogni cosa, a portarle lui i pasti, ad imboccarla e a starle vicino. Nonostante ciò, era difficile ripudiare anni di amarezza, che ritornavano a sotterrarlo con una vanga. La vedeva lì, distante e pure vicinissima, tanto da poterla toccare. Ma era una statua di vetro, un simulacro. La sua anima era volata via, o forse lottava per uscire dalla fossa in cui era stata spinta dalla morte dei figli, ma non era lì. Non era lì quel suo vispo sguardo castano di cui si era innamorato, quella ragazza che vedendolo sempre imbronciato gli aveva tirato su gli angoli della bocca e sorridendogli gli aveva parlato, in quell'afoso pomeriggio, quella ragazza che lo baciava sulle punte dei piedi, quasi pregando che il suo grande corpo la proteggesse, la stringesse come non aveva mai desiderato con nessuno. Quella giovane donna che aveva stretto a sé il giorno che avevano deciso di fuggire e lei si era fatta la treccia di Raperonzolo. Poteva sentire ancora quelle sue bianche, lunghe mani sugli avambracci, quelle sue labbra avide e pallide contro le sue, ma erano passati i secoli da allora, erano nati i loro bambini, e com'erano nati da loro orgoglio e gioia erano morti, costringendoli a fronteggiare realtà che avevano attentato, quasi riuscendoci, a dividerli. Ma non avrebbe permesso alla Nera Signora di prendersi anche lei, gliel'avrebbe strappata dalle grinfie, l'avrebbe stretta a se. Fu per questo, quando la mattina di quel 25 dicembre Noemi parlò per la prima volta, che Giuliano diede una gran festa per lei. Per un breve istante l'aveva strappata alla sua bolla. Forse ci sarebbe riuscito ancora, pensò stringendola a sé, seduta sulle sue gambe. Niente poteva di più, pensò guardando le vecchie tegole sul caminetto. Niente che non fosse già stato inghiottito dalla terra.

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