Hana wa Sakuragi, hito wa bushi

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Cori


Cori

Cori

Sentiva la voce di suo fratello rimbombare mentre i medici correvano, ma la crisi era passata. Era rimasta solo quell'eco inquietante, lì, sul fondo della sua coscienza, che attendeva in silenzio che i medici classificassero la sua crisi ed il successivo mutismo come Crisi post-traumatica da stress. Non appena fu sola, si rannicchiò su se stessa. Si sentiva sola come non mai, e triste, e l'unico posto dove sperava di stare erano le braccia di suo fratello, anche con 50 gradi all'ombra e le salamandre cotte sulle pietre del giardino, purché fossero di nuovo insieme. La nostalgia la assalì potente. Le mancavano Emilia, con i suoi capelli pel di carota spruzzati da che ne aveva memoria di neve, il Maestro, Greg, per quanto potesse essere strano, i suoi genitori, cui voleva bene comunque, e il nonno! Il nonno che comunque non avrebbe mai più rivisto. Non ce la faceva più, pianse. Schiacciò la faccia sul cuscino e soffocò i singhiozzi.
Quando Sy scese giú quella mattina la trovò così. Aveva saputo dai medici cosa era successo. Si sedette di fianco a lei, mentre il Reparto si svegliava dopo un'altra agonizzante notte. Altre tre morti, ma potevano aspettare il sole alto. Prese una coperta e se la strinse addosso per metà, e in silenzio offrì l'altra metà alla ragazza spezzata ai suoi piedi, accogliendola delicatamente nel suo magro abbraccio. Nonostante tutto, Cori ancora si forzava a non appoggiarsi a lei, neanche con la testa, cosí Sy se la spinse piano sulla spalla, accarezzando la pelle liscia del cranio sotto le dita, sfiorandole la curva del naso, le guance morbide, i cerchi delle orbite, tratteggiando i lineamenti con le lunghe unghie nere. Accostò le labbra alla sua testa e sussurrò: "Me lo vuoi raccontare?"
Cori rimase in silenzio. Sy le prese una mano, e se la rigirò, massaggiandola. Era bianca come il latte, con le unghie e la pelle intorno tutte smangiucchiate. "Mani grandi, da pianista, e calde." Ma Cori era già di per se un termosifone. " Da chi le hai prese?"
Cori mugugnò un po' prima di rispondere: "Da mia madre, ma lei le ha più piccole. È mio padre che ce l'ha grandi. E se le smangiucchia".
"E gli occhi?" la spinse a parlare Sy, vedendo quanto l'argomento facesse presa sulla ragazza.
"Sempre da mia madre. Anche mio fratello li aveva così, ma più piccoli, come nostro padre" borbottò raccogliendosi.
"Senti Cori, io non posso essere tuo fratello, o tuo padre, o tua madre, ma posso essere tua amica. Per questo ti chiedo di farti aiutare. Non tenerti tutto dentro. Se vuoi, ci mettiamo qui e parliamo, di qualsiasi cosa. Ti dedico tutta la mattina se vuoi! Ma per favore, fammi entrare. Permettimi di ripagare il mio debito" la pregò.
"Gli amici sono i fratelli che scegli di avere. Non ti comprerò con la gratitudine, ti conquisterò." Disse guardandola fisso negli occhi con le sopracciglia aggrottate, stringendole la mano abbronzata nella sua. "Mi fido di te"
Sy annuì, presa. Poi si riscosse. "Allora, raccontami tutto!"
"Sono nata un lontano giorno del 1999..."
"Non così tutto, scema!"

Dopo due lunghe settimane nel ventre della nave, Cori cominciava a sentire i morsi della noia. Symon le aveva fortunatamente reso lo zaino che adesso era il suo cuscino, ma non era più abbastanza per allontanare il tedio di quelle lunghe ore. Era perennemente sotto antidolorifici, una cosa che sballava un po' il suo equilibrio ma le permetteva di avere pensieri lucidi per tutto il tempo. Nel giro di due settimane, di quelle crisi paralizzanti ne aveva avute sei, tutt'e sei terrificanti e distruttive, ma alla fine stava entrando nella routine, anche se ormai il suo sonno rimaneva intermittente e disturbato anche da incubi. Ogni volta abbracciava lo zaino per cercare conforto nel suo odore affumicato, nella foto che il nonno le aveva lasciato. Non aveva più pianto. Stava male, questo è vero, ma stava riuscendo lentamente a riprendere coscienza di ogni parte del proprio corpo, e anche la religione le dava grande conforto. Le piaghe cucite tendevano e tiravano, risanandosi velocemente, tanto che in due settimane gli ematomi erano scomparsi e le ferite pulite, e a far male erano i punti. Quelle ai piedi erano rognose, bastava un movimento per aprirle e non le permettevano di muoversi. Sy le era stata vicina per tutto il tempo, e l'aveva consolata durante i momenti più deprimenti, quando le mancava la sua famiglia e si chiedeva che fine avessero fatto, se sua madre avesse resistito. Era un pensiero ricorrente, un loop che occupava gran parte delle sue noiose giornate. Odiava non avere nulla da fare. Quella mattina, l'alba aveva portato la cessazione del rollio e del beccheggio della barca, facendo risuonare il rumore della risacca all'interno della nave. Verso mezzogiorno, Lerik, Sy e Lurichiyo scesero insieme nel Reparto con una sedia a rotelle. A Cori sembrava di vivere in loro funzione, e non le piaceva molto come cosa.
"Siamo arrivati!" Le annunciò la piccola Chiyo abbracciandola. Lerik si avvicinò con le braccia protese.
"Che c'è?" chiese Cori confusa.
"Ti do una mano a salire" le rispose l'uomo.
"No, no, ci penso da sola. Lurichiyo, scendi" ordinò, poi messasi in ginocchio si issò a forza di braccia ai braccioli della sedia, spostò una mano sul bracciolo opposto e si girò, portando anche l'altro braccio dall'altra parte. "Visto?" Sy alzò gli occhi al cielo, ma si mise dietro di lei a spingerla. Lurichiyo risalì sulle sue ginocchia.
"Allora, com'è fuori?" curiosò la ragazza.
""Per adesso, abbiamo visto solo la spiaggia alla quale siamo approdati. C'è un faro in cima all'isola, dove vivono due marine con un telegrafo. La chiamano Erenajima, o Isola di Erena. Il nostro villaggio si troverà a mezza costa sul monte del faro, al lato sud dell'isola. A est l'isola ha una propaggine che si allunga degradando in mare per circa una sessantina di chilometri." spiegò Lerik. "Sará un bel posto per vivere. Spero."
Uscirono all'aria aperta, su una spiaggia dalla sabbia fine e dorata. Davanti a loro si stagliava un alto monte ricoperto da un fitto bosco. Alzando lo sguardo si poteva vedere l'altissima torre del faro brillare in pieno sole. L'aria sapeva di sale, di mare, e del polline del sottobosco in fiore. Solo un sottile sentiero in terra battuta attraversava il bosco, inerpicandosi su per la montagna, passando per una cresta larga a mezzacosta, il luogo dove sarebbe sorto il villaggio. Dietro di loro, dalla nave scese anche un plotone di carpentieri al servizio della Marina, che montate le proprie cose su un carro, li precedette lungo il sentiero. La carovana degli uomini-bestia si mise in marcia, con a rimorchio carri che a Cori ricordavano quelli che aveva visto nei documentari sulla peste, pieni di creature agonizzanti e morenti. Lei era stata messa a cassetta di uno di quei carri, dove si teneva stretta il suo zaino, ed era straziante. Per quanto poteva, si sporgeva sul cassone scoperto, dando da bere ai poveri malati dalla sua borraccia e cercando di aiutarli un po', ma sembravano già avere un piede nella tomba, non provavano nemmeno a vederla. Erano tutti orribilmente mutati e deformi. In ceppi dietro i carri, scortati da un ulteriore plotone di marine, c'era una folla dall'aspetto e dall'andatura neanche lontanamente umana. Camminavano perlopiù carponi, completamente disinteressati alle incitazioni dei marine, si comportavano come gli animali di cui il corpo aveva preso la forma. Raschiavano il terreno col le dita arcuate e ricurve, annusavano, si azzuffano, lasciando sugli avversari i marchi dei loro morsi sanguigni. Erano lerci, zozzi, e puzzavano tremendamente, una massa cenciosa e ululante, che se solo avessero avuto dono della parola le avrebbe ricordato la Corte dei Miracoli. Impiegarono un'intera giornata alla velocità della carovana per raggiungere la cresta, dove i carpentieri si erano già dati da fare, poiché era piena degli scheletri di legno novello delle loro future case. Gli Alienati vennero chiusi in un serraglio per la notte, mentre il paese si divideva in tante tende appena fuori dal nuovo paese. L'accampamento aveva un'aria da Far West, si respirava l'aria dei film di Bud Spencer e Terence Hill, satura degli odori delle cucine e del fumo dei fuochi. Cori era stata fatta smontare, e ora era di nuovo seduta sul vecchio futon dentro alla tenda della famiglia di Lurichiyo, dove l'avevano mollata per andare a cucinare. Cominciava veramente a scocciarsi di non poter camminare. Le ferite al torso ormai erano diventate cicatrici rossastre e pulsanti, non sanguinavano più, e la testa non le faceva più male da parecchio, quindi mancavano solo i piedi, delicati e sottoposti a perenni pressioni, e le cui piaghe si riaprivano molto più facilmente. Provò a posare il piede, ma una fitta dolorosa si propagò lungo tutto il polpaccio. Prese le bende che avrebbero dovuto sostituire quelle vecchie (teneva solo i piedi fasciati, per far seccare meglio le piaghe ora che avevano smesso di sanguinare), e le strinse intorno al piede sopra le altre, creando un cuscinetto. Finalmente, posando il piede sentì solo un lieve fastidio e un formicolio. Si alzò in piedi sul futon, barcollando si appoggiò al palo della tenda. Da lì poteva vedere fuori. Era il crepuscolo, e davanti alla tenda Sy, Lerik e la bambina erano seduti intorno al fuoco. La sensazione era come quella di quando da piccola, camminando a piedi scalzi, per non sentire il pavimento freddo sollevava le piante dei piedi, tenendo però il tallone e le punte raggrinzite bene a terra. Sy vide uno spettro all'angolo della sua visuale e si spaventò. In effetti, in quel momento Cori aveva l'aspetto di uno spettro, cerea come una statua, con gli occhi brillanti di braci incastonati nella testa smagrita e deturpata dall'orribile cicatrice sembrava un novello fantasma dell'Opera, con gli abiti neri nel buio della notte, e le braccia e le gambe che sembravano troppo lunghe per le maniche, quasi ci fosse cresciuta dentro e la miseria l'avesse costretta a rimanere nella sua sgraziata figura oblunga, quasi troppo massiccia per la testa nuda. Poi la mora capì di non stare di fronte ad un fantasma e si alzò di scatto per andare da lei.
"Cori! Che fai fuori dal letto? Dovresti riposare!" protestò infatti spingendole le mani sulle spalle per farla tornare giù. Aveva dimenticato quanto Cori potesse essere imponente. La superava di due buone teste, e aveva spalle molto più larghe della maggior parte degli uomini del villaggio. In confronto a Cori, erano un popolo di Pigmei. La riccia la prese delicatamente per un polso con la mano libera.
"Non preoccuparti. Non vedevo l'ora di cominciare a camminare!" Le brillavano gli occhi dalla gioia. Finalmente poteva camminare! Non ne poteva più. Euforica, posò il piede sulla nuda terra, ma una fitta la costrinse a ritornare sui suoi passi. Il futon era morbido, più di un tatami, il terreno no, ed era pieno di asperità. Il suo volto si contrasse in una smorfia.
"Te l'avevo detto! È ancora troppo presto" la rimproverò riuscendo finalmente a mandarla seduta sul letto. Cori si prese il piede fra le mani soffiandoci sopra per alleviare il bruciore e togliere i sassolini.
"Non è presto, le servono delle scarpe" borbottò Lerik dal fuoco, infastidito dalla fuga della moglie. Cori fissò Sy di sottecchi. Si stava mordendo il labbro, staccando piccole scagliette iridescenti dalla pelle vicina, e guardava alla sua scarsella con uno sguardo triste. Senza farsi notare, Cori prese una manciata di berry dalla borsetta etnica di Nami e glieli porse. Sy la guardò con tanto d'occhi. "Ma... sono troppi! Con questi ce ne fai tre di paia di scarpe!"
"È giusto così. State facendo tanto per me, dovrò pur ripagarvi in qualche modo" le rispose sfuggendo il suo sguardo.
"Grazie" disse Sy mortificata, raccogliendo le monete nella scarsella. "Hai fame?"
"No, non preoccuparti. Vado a dormire" le rispose sbadigliando, e accoccolandosi nelle coperte posò la testa sullo zaino, sistemò bene la camicia di Zoro che usava come cuscino e si addormentò.

Era di nuovo avvolta nel buio più totale, intorno vedeva solo forme confuse e ondeggianti, i vaghi profili degli altri. Aveva la testa così pigiata sullo zaino da farsi male, e sentiva un punto di fuoco incastonato nel cranio. Era l'ennesimo incubo che faceva da quando si era svegliata sull'Arca? O forse non stava dormendo. Alzando la testa vide la luce della luna illuminare con candidi nastri la terra. Tutto era immerso in una grigia atmosfera, che spegneva i colori. Si buttò la camicia sulle spalle e attratta dalla luce strisciò carponi fino al centro della radura delle tende, sedendosi a gambe incrociate, sola sotto gli occhi di Dio. Faceva freddo, ma non tanto da fermarla. Si stese nell'erba bagnata, fissando la luna piena, che con la sua luce oscurava le stelle. Era immensa nel cielo, un globo latteo butterato che attirava tutti gli sguardi. Faceva freddo, e i brividi la scuotevano, ma non voleva tornare indietro. Da quanto tempo non vedeva la luna? Era bellissima, e bianca. Usando la camicia come coperta, inspirò il profumo di Zoro ancora forte. Aveva veramente un buonissimo odore, e per un po' si cullò nel ricordo di quella nottata sulla Sunny. Faceva freddo. Posò il lato sinistro della testa sull'erba. Il fresco raffreddò la pelle bollente, provocandole un sollievo che non ricordava di desiderare. Tremava ancora, continuamente, ma non voleva tornare indietro. Ricordava che un giorno lei e Ottavio si erano addormentati fuori dalla tenda, una notte in giardino, e lui era vicino al fuoco, con la testa poggiata sulla sua coscia, e lei non riusciva proprio a dormire dal freddo e tremava tutta come un terremoto. Ottavio si era svegliato, chiedendole se aveva freddo, ma lei aveva continuato a negare, dicendo che tremava perché le aveva bloccato il sangue. Non si era nemmeno spostato. Non voleva che si svegliasse e magari decidesse di tornare in tenda. Le piaceva dormire vicino a lui, anche se il fratello aveva avuto la lungimiranza di portarsi il sacco a pelo e lei no. Si sentiva un po' come allora, a tremare dal freddo senza poter dormire, ma con la sua dolorosa assenza, con solo la camicia di Zoro a farle compagnia. Il punto di fuoco nel suo cervello si acuì, esplose dietro al lobo, al sesto buco dello spinotto. Tremò ancora più violentemente per il freddo, spingendo ancora di più la testa nel terreno soffice, quasi potesse soffocare il dolore. Percepiva intorno a se la contrazione dello spazio, le pieghe nell'aria, le deboli aure del villaggio danzare e muoversi, contrarsi insieme ai loro sogni, ondeggiare e intrecciarsi, sollevarsi dal corpo, libere dal loro vincolo. Passò la nottata così, tremando, saltando da un pensiero a un ricordo, finché all'alba il sole non riscaldò la terra e Cori, stremata, si addormentò.

Quando la piccola Lurichiyo si svegliò in braccio al padre aveva una gran sete, così quatta quatta sgusciò fuori dalla stretta paterna e corse fuori dalla tenda, o almeno ci provò, perché la madre la riprese per la collottola e la tenne stretta a se. La bambina cominciò subito a protestare, dimenandosi e lamentandosi. "Tua figlia è sveglia" mugugnò Sy al marito accanto a se.
"Lo sai che prima dell'alba è tua figlia" borbottò Lerik in risposta, girandosi e stringendo con un solo braccio moglie e figlia, ma vide anche qualcosa che sperava, nel suo innocente desiderio di crogiolarsi nel letto ancora per un paio d'ore, di non vedere ancora per un po', ovvero il futon di Cori vuoto. Per diversi minuti fu tentato di girarsi dall'altra parte e tornare a dormire, ma alla fine il dovere vinse, e dando un bacio sulla fronte della moglie disse: "Amore, abbiamo un problema".

Purtroppo per lei, qualcuno si era svegliato prima di Lurichiyo, e parlottava con un marine al margine della piazza, senza nemmeno osare avvicinarsi al fagotto addormentato al centro della radura.
"Una bestia é fuggita dal serraglio. Ci prepariamo a riprenderla, passo" comunicò il marine al lumacofono.
"Mandiamo subito rinforzi, passo e chiudo" rispose il capo del plotone sbadigliando nel microfono.
Prima che l'irreparabile potesse accadere, Sy corse davanti a Cori e fermò i marine. "Non è niente! È della mia famiglia!"
"Ah, si? E da dove l'avete raccattato, questo barbone?" chiese il soldato pungolando Cori con una picca, senza svegliarla. "Perché dorme in mezzo alla piazza?"
"L'abbiamo presa a servizio." Al villaggio era una cosa normale: Le famiglie più ricche prendevano a servizio anche interi gruppi famigliari in cambio di vitto e alloggio, anche se coloro in grado di farlo si contavano sulle dita di una mano, ma mai nessuno aveva preso a servizio una straniera. "È solo una poverina, una naufraga. Non farà del male a nessuno. È la sua prima notte al villaggio, dovete capirla" li pregò.
"La legge è chiara. Gli stranieri colti in flagrante nell'avere contatto col vostro popolo sono condannati alla morte" ghignò il marine, felice di potersi vendicare dell'essere stato svegliato all'alba.
"Non se decidono di non abbandonare l'isola. Garantisco io per lei" asserì Lerik ergendosi in tutta la sua altezza. "Sono il Capo delle Guardie, e dopo il Sindaco sono quello che conta di più qui intorno. Tutti mi conoscono, e sanno che mantengo quello che prometto" fece schioccare la coda sul terreno con un morbido tonfo.
"Come se comandare un branco di bifolchi avesse chissà che importanza" si lagnò il marine sputando a terra. "Tsk, e va bene. Può rimanere. Ma sia chiaro: Se dovesse anche solo decidere di farsi una nuotatina nell'oceano, per lei sarà finita. Uomini, potete tornare a dormire, non c'è niente da vedere. Tzè, che bestie..." brontolò il marine allontanandosi. Tutta la famiglia tirò un sospiro di sollievo. Sy scosse delicatamente Cori.
"Ehi... Che succede?" chiese la ragazza assonnata, stropicciandosi gli occhi.
"Succede che sei una stupida!" la aggredì Lerik con uno scappellotto. "Noi ti accogliamo, mia moglie si fa in quattro per te! E tu, invece di essere riconoscente, ti cacci in un guaio dopo l'altro!" il biondo respirò profondamente, smise di urlare. " Non ti voglio cacciare via, ma devi capire che se vuoi stare con noi ci sono delle regole da rispettare." Cori abbassò gli occhi, contrita. "Non puoi fare come ti pare, e sperare di risolvere tutto con una scusa e qualche moneta". Restarono in silenzio per cinque minuti buoni, Cori ancora seduta a terra e Lerik immobile che con una mano bloccava Symon e Chiyo, pronte a protestare.
"Ora andiamo. Ti procurerò delle scarpe, così che tu non debba uscire fuori carponi la notte, Signorina Sonnambula" sorrise sarcastico Lerik, tendendole la mano. Cori la prese, mentre da una parte e dall'altra i due coniugi la aiutavano a raggiungere la tenda.


NewsCoo dei Pirati Heart, inoltrata richiesta di novità al soggetto clinico n*...,
Cortesemente esaurire il più chiaramente possibile via rapporto epistolare le informazioni richieste sullo stato di salute del soggetto, eventuali scoperte sull'utilizzo del potere dello stesso, eventuale risveglio di capacità e modalità di esso, in una logica di sincerità utile a entrambe le parti. Vi è inoltre concesso intrattenere un rapporto epistolare con il carpentiere di bordo, Bashe, attraverso i rapporti.

Rapporto n*1
Caro Law,
Egregio Capitano,
CHE PIZZA COME SI COMINCIA UN RAPPORTO
Caro Law,
Gli ultimi due mesi sono stati molto impegnativi, e la ripresa lunga e dolorosa. Dopo due settimane, la Nave Arca ci ha sbarcati su di un nuovo isolotto sperduto, Erenajima, dove il villaggio ha finito di insediarsi in una settimana. In tutto questo tempo, le ferite sul torso sono gradualmente guarite, e ora ne rimane solo la cicatrice, un po' sottile ma chiusa grazie ai punti. Le ferite che ci hanno messo di più a rimarginarsi sono state quelle sotto le piante dei piedi, che tengo ancora bendate. Lerik, il fratellastro di Bashe, mi ha procurato delle scarpe particolari che mi permettono di camminare senza problemi e i medici dicono che presto non ne avrò più bisogno. Le ferite alla testa hanno dato una sola volta segni di squilibrio: Sembra che il sesto buco provochi una febbre molto alta, con un graduale assottigliamento fra lo stato normale e quello Nero, e ho un po' paura a verificare gli esiti degli altri in un villaggio senza condizioni di sicurezza. Durante questi due mesi ho subito anche più volte a settimana delle paralisi del sonno, ma non credo sia dovuto solo al periodo difficile che ho vissuto in prigione.
Ti prego di riferire a Bashe quanto sto per scrivere. Qui al villaggio va tutto bene. Io vivo insieme alla sua famiglia, e faccio per loro i lavori pesanti: Lerik, da quando il plotone di marine ha abbandonato l'isola, è spesso occupato ad allontanare gli Alienati, e Symon soffre di una grave forma di osteoporosi che le impedisce di farli. Io sono felice, aiutarli mi fa sentire bene. Lurichiyo è meravigliosa, la adoro, è un vero tesoro, e cresce che è una bellezza. Mi manca un po', sai, la libertà, ma avevo veramente bisogno di riposo. Ora, vivendo con loro, mi rendo conto di quanto mi sia mancata una routine familiare, svegliarsi la mattina, andare a prendere un otre d'acqua, fare legna, occuparsi di Chiyo quando i genitori sono entrambi occupati. Sembra che anche Chiyo abbia una forma precoce di osteoporosi, appena all'inizio, ma proprio per questo non la posso mai perdere di vista. Non riesco a credere di poter tornare a camminare, a muovermi, a portare pesi, ad avere di nuovo il controllo dei miei muscoli! Al villaggio non sono ben vista. Per fortuna, il mio aspetto è anche quello che li tiene a bada. Quella pazza di Gretel ha provato a picchiarmi, ma io le ho restituito prontamente pan per focaccia (un buffetto, niente di che). L'avessi mai fatto! Quella donna potrebbe tranquillamente sostituire le sirene da ambulanza. Poi è arrivato Jord, ma non si è minimamente arrischiato ad avvicinarsi. Comincio a capire come si sentiva il Fantasma dell'Opera. Qui tutti mi vedono come un mostro da evitare, e da cacciare se possibile, ma hanno paura di me come se fossi una maledizione, intangibile e inevitabile, e forse è vero. Mi temono, come se fossi un demone incatenato da Lerik, o votato al loro servizio da un contratto, che non attende altro che una debolezza o una scadenza per divorarli nel sonno e poi violare i loro sogni e ucciderli di terrore. Forse più il Gobbo di Notre-Dame, che il Fantasma. Più crudezza, più violenza, meno poesia, meno musica.
...
Estratto dalla lettera spedita da Cori il giorno stesso dell'arrivo del Newscoo.
...

Cori stava tornando dalla foresta con un carico di legna fra le braccia, quando vide un gran fermento nella piazza del villaggio. Un carro era fermo nel mezzo, carico di fiori fino a strariparne. L'odore che ne proveniva era talmente intenso da risultare nauseante. Tutto il villaggio era accorso, incuriosito dal primo mercante che varcava le loro porte. Un mercante straniero. Le donne e i bambini odoravano i fiori, gli uomini osservavano un po' da lontano. Il carro doveva essere arrivato poco dopo che era entrata nel bosco, se le guardie avevano già permesso agli altri di avvicinarsi. Le poche anziane sfregavano fra le mani nodose i gambi, trasformandoli in poltiglia verde, per poi avvicinarla a naso e bocca, saggiandone con gli artigli la consistenza, per verificare con quest'ultima prova l'innocenza del mercante. I bambini correvano tra le cassette scaricate vicino al carro, rubando alcuni fiorellini e impigliandosene altri tra i capelli e i vestiti, mentre le madri combattute dividevano la loro attenzione tra i ragazzini e le cassette piene, osservando fameliche i petali delicati, le sfumature di ogni colore dell'iride e le forme più variegate, attratte inesorabilmente dalla loro bellezza. Sembrava la classica scena di mercato, nonostante tutto. Davanti alla merce c'erano un uomo e una ragazza. L'uomo era più massiccio che alto, probabilmente era più basso di Cori di qualche centimetro. Aveva la pelle abbronzata dal sole, e nonostante fosse vestito da contadino, tutto in lui, dal modo di muoversi allo sguardo, mostrava una sicurezza in se stesso maturata dopo un lungo lavoro, una forza, o un potere, fuori dal comune. Aveva gli occhi dello stesso azzurro del suo Maestro, che potevano gareggiare con quelli di Terence Hill, e in mezzo a tutti quegli sguardi bruni e alla sua pelle erano come magneti. Aveva i capelli rasati a spazzola, e una rete di morbide rughe intorno agli occhi. La ragazza al suo fianco aveva un'età indefinita tra i sedici e i vent'anni. Aveva un'espressione apatica, con un sorriso lieve stampato sulla faccia, che inquietava sotto il suo grande sguardo castano, quasi bovino, tanto che nessuno si avvicinava a lei. Il volto, piccolo rispetto ai grandi occhi, era incorniciato da lisci capelli castani lunghi fino alle spalle, tutti ordinatamente raccolti da mollettine, ovviamente. Stava di fianco al carro, risistemando le sue composizioni e curando i fiori come una maestrina cura i bambini dell'asilo. Al contrario del suo compagno, invece di vesti da contadina portava un kimono viola prugna lungo fino ai piedi, con un largo obi rosso che ogni volta che si girava Cori temeva potesse falcidiare qualcuno con il suo enorme fiocco, deludendola ogni volta, perché la ragazza sembrava una ballerina nata. I suoi movimenti erano aggraziatissimi, ma lenti, come se viaggiasse ad una velocità diversa dal mondo intorno a lei. Era una creatura inquietante, lontana dal mondo circostante, quasi facesse universo a se stante. Quando Cori passò dietro alla massa di gente, osservando con interesse i meravigliosi fiori, all'improvviso il silenzio calò sulla piazza. Cori era concentrata a guardare il carro, ostinata a decifrare i servizi proposti, la vendita dei fiori, la possibilità di avvalersi di un'esperta di Ikebana...
La folla la fissava come un sol uomo mentre il mercante dagli occhi azzurri le veniva incontro con in una mano un garofano rosso e nell'altra un ramo fiorito di ciliegio. Nessuno capiva perché il mercante dovesse parlare, ne tanto meno offrire dei fiori alla serva del Capo delle Guardie. Cori si fermò, drizzando la schiena e fissando l'uomo che le veniva incontro. "Allora, bella ragazza." esordì l'uomo. "Quale vuoi?". Risolini diffusi attraversarono la piazza. Credevano tutti che il mercante la stesse prendendo in giro. Chiamare bella ragazza quella sottospecie di mostriciattolo ripugnante, quello spettro pallido che con il suo terribile aspetto popolava gli incubi dei bambini? Ma Cori non li ascoltava nemmeno. Lasciò la legna a terra.


E prese il ramo di ciliegio.  

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