Un giro sul London Eye, una visita al museo delle cere di Madame Tussauds e una foto davanti alla National Gallery: questo è tutto quello che mi è rimasto di Matteo.
È sabato sera, lui se n'è andato stamattina. Probabilmente a quest'ora i miei genitori sono già a conoscenza di tutto, ma non mi sento in grado nemmeno di alzarmi dal letto di questa stanza d'hotel, ora così dannatamente vuota, figurarsi intrattenere una conversazione ed essere, giustamente, assalita verbalmente dai miei genitori.
Il cellulare, abbandonato in modalità aereo sul comodino, non emette alcun suono, proprio come me.
Mi limito a starmene in silenzio sotto alle coperte da un po' di ore ormai, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto bianco e ascoltando il ronzio del condizionatore.
Sto iniziando a pentirmi della mia scelta. All'inizio sembrava così facile rimanere in hotel mentre Matteo trascinava il suo trolley verso il taxi parcheggiato davanti all'hotel. Ora, però, mi rendo conto di aver fatto una cazzata.
Il biglietto aereo non è rimborsabile e giace sulla mia valigia chiusa, quasi mi stesse incolpando silenziosamente. Mi trovo in una città sconosciuta, con i vestiti di una settimana e sono al verde. Inoltre, non ho la minima idea di cosa dovrei fare.
Pensavo che sarei riuscita a gestire la situazione una volta che mi ci fossi trovata dentro, ma ora mi sembra solo di essermi scagliata alla cieca contro un muro più grande di me. Ora giaccio ai suoi piedi, leccandomi invano le ferite.
In più, sento già la mancanza di Matteo. Mi manca non trovarlo più al mio fianco, accarezzare quei suoi riccioli biondi, passare l'indice sui suoi zigomi, vederlo sorridere in quel suo modo strano per una mia battuta. Mi manca lasciarmi guidare da lui per le vie di Londra, sentire le sue dita intrecciate alle mie, respirare il suo profumo delicato, sentire la sua risata cristallina. Mi mancano i suoi grandi occhi gentili, le sue mani calde, la sua pazienza e la sua premura.
Come ho potuto cedere così facilmente ad un vano desiderio che non mi porterà mai da nessuna parte? Come ho potuto rinunciare così a lui? Come ho potuto anche solo pensare che ce l'avrei fatta, che sarei riuscita a cavarmela? Io, che non ho nessuna esperienza?
Sospiro, desiderando con tutto il cuore che il terreno sotto di me si apra e mi inghiotta per sempre. Ormai mi sento così stanca e i miei occhi sono così rossi e gonfi che non ho nemmeno più le forze per piangere.
Sono totalmente, incondizionatamente, semplicemente nella merda.
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Quando riapro gli occhi, sono già la nove di sera. Non mi sono nemmeno accorta di essermi addormentata, eppure eccomi qua, abbracciata al cuscino e coi capelli tutti arruffati. Nel controllare l'ora sul telefono, disabilito per sbaglio la modalità aereo e la schermata viene subito invasa da decine e decine di messaggi e di chiamate senza risposta dei miei genitori e di Matteo. L'ultima risale a dieci minuti fa.
Non me la sento ancora di parlare con i miei genitori, così mi limito a mandare loro un messaggio in cui dico loro che sto bene, pur sapendo in cuor mio che non va bene per niente, che li sto facendo soffrire inutilmente e che stavolta l'ho combinata grossa.
Inizio a piangere sommessamente, raggomitolandomi sul copriletto e nascondendo il viso nell'incavo del braccio.
Non mi sono mai sentita così stupida, incosciente e sprovveduta in tutta la mia vita, perché la libertà non sa sempre di gioia, ma ahimè, come sto sperimentando in prima persona, anche di mancanza, di amarezza e di delusione.
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Au-pair Girl// Blake Richardson New Hope Club
FanfictionLui è inglese. Loro sono razzisti. Lui è bisex. Loro sono omofobi. Lui è un cosmopolita. Loro sono tradizionalisti. Lui è il mio ragazzo. Loro sono i membri della mia famiglia. --------------------- "La verità è che non ho più voglia di fare un ca...