19- Il sabato prima di Capodanno

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La prima settimana da ragazza alla pari non sarebbe potuta procedere meglio. In pochi giorni mi ritrovo coinvolta in una rassicurante routine, che mi aiuta a rilassarmi mentre inizio a godermi sul serio questa nuova esperienza. Difatti, nelle ultime settimane mi è mancata la stabilità e la certezza conferite dal sapere con esattezza cosa si farà il giorno successivo.

La mattina faccio colazione con Abbie, chiacchieriamo un po' mentre sorseggiamo un tè caldo e poi va a svegliare i bambini, in modo da poterli salutare prima di andare al lavoro. Dopodiché Beth ed Edward giocano un po', guardano la TV e fanno i compiti fino a quando non mi sentono preparare la tavola per il pranzo. Allora insistono per aiutarmi e io li lascio fare, tenendoli sempre sotto controllo quando maneggiano i coltelli. Solitamente o scaldo ciò che ha preparato Abbie la sera prima oppure mi cimento in qualche semplice piatto in base a ciò che c'è nel frigorifero.

Nonostante la mia camera non abbia mai sperimentato la parola "ordine" nemmeno per scherzo, qui cerco di rifare bene il letto tutte le mattine e spolverare. Abbie non mi ha dato molte faccende domestiche da sbrigare, a parte lavare i piatti e tenere a posto la mia camera. Tuttavia, per non sembrare un'ingrata che si approfitta della sua ospitalità, ogni mattina spolvero anche i mobili del salotto e le foto sopra al camino oppure lavo il pavimento.

Spostando alcune fotografie appoggiate sulla mensola del camino, un giorno ho urtato per sbaglio una scatolina di legno che nei giorni precedenti non avevo mai nemmeno notato. Sul coperchio c'erano incise due lettere, una "B" e una "E". Ho pensato che dentro ci fosse qualche disegno spiegazzato di Beth ed Edward o magari i loro dentini da latte, così l'ho rimessa al suo posto senza pormi troppe domande, anche perché Beth mi stava chiamando dalla cucina. Ricordo però che la posizione della scatolina mi aveva incuriosita, perché sembrava più un portagioie da tenere sulla toeletta piuttosto di una scatola di ricordi da piazzare in salotto.

Il sabato prima di Capodanno Abbie ha insistito affinché uscissi e andassi a fare un giro. Le ho assicurato che badare ai bambini non è assolutamente un peso per me, anzi, è un piacere. Le ho anche fatto notare che sbrigare qualche faccenda di casa mi fa sentire utile, perciò sono ben contenta di contribuire. Tuttavia, lei non ha voluto sentir ragioni e mi ha quasi obbligata a prendermi un giorno da dedicare solo a me stessa. Eccomi dunque seduta su una panchina fuori dalla National Gallery. Ho girato un po' per il centro della città, ho comprato un regalo ai miei genitori da consegnare loro appena ritornerò in Italia e, verso le quattro, sono andata a comprarmi qualcosa da Starbucks. Ora il bicchierone di plastica ormai vuoto è appoggiato a fianco a me. Sulla parte superiore si è accumulato un sottile strato di neve. Nonostante la temperatura glaciale, adoro la tranquillità che vige sovrana in questo momento: poche persone in giro, un candido manto di neve che copre il grigiore della strada, il silenzio dato dalla mancanza di bambini che strillano strattonando per un braccio i genitori.

Quando finalmente mi decido ad alzarmi, mentre faccio per buttare il bicchiere nel cestino noto una rivista sul fondo del sacchetto. Sulla copertina c'è la foto di una ragazza tutta intenta ad ammirare allo specchio il suo vestito per Capodanno. Mi viene in mente che forse dovrei comprarmi qualcosa anch'io, anche se probabilmente me ne starò a casa. Non conosco nessuno con cui uscire, quindi farò come a Natale: me ne starò in camera, forse guarderò i fuochi d'artificio dal terrazzo se riuscirò a rimanere sveglia fino a mezzanotte.

Il cellulare vibra nella tasca posteriore dei jeans, riportandomi alla realtà. Quando sblocco lo schermo, noto un messaggio da parte di Abbie. Mi chiede se voglio qualcosa di particolare da mangiare stasera. Le rispondo che qualsiasi piatto va bene, il che è vero. Tutto ciò che cucina è una delizia. La gentilezza e l'affabilità di questa donna non smettono di stupirmi. Vorrei essere anch'io sempre sorridente, cortese ed educata come lo è lei.

Mentre mi incammino verso la stazione di Charing Cross, che si trova a soli tre minuti dalla National Gallery, mi viene in mente di impegnare l'attesa del treno entrando in uno dei negozi all'interno della stazione e comprare un regalo per Abbie. Penso di prenderle un mazzo di fiori per ringraziarla e dimostrarle quanto mi stia trovando bene con lei e i suoi figli. Così, dopo aver controllato l'orario del treno, mi avvicino ad un piccolo stand a pochi metri dal mio binario. Dietro al banchetto un signore dall'accento indiano mi aiuta a scegliere i fiori per comporre un mazzo da quindici sterline. Dopo avergli allungato anche la mancia, afferro il piccolo mazzo colorato che mi sta porgendo. Dietro di me sento il fischio di un treno in arrivo. Preoccupata che sia il mio e che lo stia perdendo, mi affretto a raggiungere la banchina, per poi rendermi conto che in realtà è solo giunto al capolinea e che non conduce da nessuna parte. Quando le porte del treno si aprono, una marea di ragazzi, uomini ben vestiti, coppiette, anziane si riversano sulla banchina. Mi sposto un po' in disparte per non intralciare il passaggio e attendo con pazienza che il treno si svuoti, osservando la folla eterogenea disperdersi per la stazione.

Ad un tratto, il mio sguardo si posa su una figura che emerge fra gli ultimi che stanno scendendo dal treno. Dapprima la osservo distrattamente, di sfuggita, come ho fatto con tutti gli altri, ma poi il mio sguardo ritorna indietro con un guizzo. Spalanco gli occhi e trattengo il fiato mentre un ragazzo alto, dalla pelle candida, gli occhi scuri e i capelli neri nascosti sotto a un berretto sdrucito si ferma per cercare qualcosa nel suo zaino. Lo osservo meglio, mentre il cuore manca un battito quando il cervello identifica- ora con sicurezza- il ragazzo a pochi metri da me.

Vorrei poter dire che mi sento svenire, che ho le gambe che mi cedono o le dita delle mani che tremano. In realtà, ciò che provo è molto, molto di più, un turbinio di emozioni contrastanti, sia positive sia negative e tutte mi scuotono dall'interno senza manifestarsi all'esterno, come se il mio spirito si fosse completamente distaccato dal mio corpo. Forse è per questo che quando comincio a mettere un piede davanti all'altro, prima camminando lentamente e poi iniziando a correre verso Blake, quasi non me ne rendo conto. È come se non fossi più padrona del mio corpo, come se le emozioni mi avessero sopraffatta a tal punto da avermi offuscato il cervello e le capacità cognitive. Anche se volessi fermarmi, sento che non potrei farlo. Anche se volessi voltare le spalle a Blake, la mia anima e il mio corpo tornerebbero indietro a cercare quell'anima e quel corpo che in qualche modo sembrano appartenermi, a cui mi sento attratta quasi come se fossero una parte di me inserita nel corpo di un altro.

Blake si gira verso di me un momento prima che io mi tuffi fra le sue braccia. La sua bocca si spalanca, i suoi lineamenti vengono attraversati dall'incredulità e i suoi occhi sembrano celare lo stesso struggimento che provo io.

Un attimo dopo, le sue braccia sono strette attorno a me, il mio viso affondato nel suo petto. Lo stringo più forte che posso, senza curarmi dei fiori che ho ancora in mano. Lo stringo al limite delle mie forze, come a volergli fare del male; come se, aumentando la presa e aggrappandomi disperatamente a lui, potessi inglobarlo dentro di me, far legare gli atomi del mio corpo ai suoi, diventare un unico essere.

Ad un tratto, sento le sue lacrime bagnare le mie guance e mescolarsi alle mie. È allora che lo stringo ancora più forte a me, improvvisamente terrorizzata dall'idea che possa sfuggirmi di nuovo.

Au-pair Girl// Blake Richardson New Hope ClubDove le storie prendono vita. Scoprilo ora